il manifesto - 7 novembre 2006
Tutti in piazza, Oaxaca comincia a negoziare
Gianni Proiettis - Oaxaca

Gli slogan gridati sono di tutti i tipi: trionfalisti - «ya cayò, ya cayó, Ulises ya cayó» -, insultanti - «esto no es un gobierno, es una puta de cabaret»-, ideologici - «lucha, lucha, lucha, por un gobierno obrero, campesino y popular» -, studenteschi - «la Uabjo (l'università autonoma) presente, en la lucha combatiente» -, antipartitici - «no que no, sí que sí, ya chingó su madre el Pri». Quasi tutti diretti, come uova o pomodori, contro il governatore Ulises Ruiz che non se ne vuole andare e contro il suo partito, il Pri, che si è incaponito a sostenerlo.

Partita dal monumento a Benito Juarez, la megamarcha di domenica mattina ha visto sfilare almeno centomila persone nei cinque chilometri che separano la periferia dal centro di Oaxaca, la città ancora in rivolta, ed è durata più di quattro ore. I manifestanti sono stati almeno centomila. Il governo dello stato ne ha contati solo 7.500. E la Policia federal preventiva, di cui tutti reclamano il ritiro, è ancora più precisa: 6.900, calcolati da «un matematico e un capo della polizia che sa di queste cose».

Ancora in periferia, la marcia passa davanti a un parcheggio di auto tutte con la $ sul parabrezza, che vuol dire «para vender». «Sono le macchine dei maestri che con ce la fanno più dopo cinque mesi senza stipendio», spiega Adriana, anche lei una maestra in sciopero. Il ministero sta pagando gli arretrati solo agli insegnanti che sono tornati al lavoro, un'infima minoranza. Occhialetti tondi e cellulare in mano, Adriana fa da guida.

«Dopo l'omicidio di Brad Will i giornalisti devono mettersi il giubbetto antiproiettile», dice l'inviato de La Jornada. «Stiamo aspettando che vengano i genitori di Brad, per dichiararli oaxaqueños distinguidos con una gran cerimonia», anticipa un'altra maestra. «Lui era uno di noi». La Appo, la Asamblea popular de los pueblos de Oaxaca, ha già dato disposizioni ai manifestanti perché non attacchino il centro, alla riconquista dello zócalo attualmente occupato dalla polizia in assetto antimotín.

Il corteo rispetta la consegna e confluisce nella spianata di fronte a Santo Domingo, dove i banchetti della Appo distribuiscono cibo - ne approfittano soprattutto gli indios, fra cui spiccano le vesti scarlatte delle ragazze triqui. La folla è tranquilla, solo una banda di giovani a viso coperto arriva davanti ai federales che difendono la piazza per tirare qualche pietra.

Gli interventi dei dirigenti della Appo vertono tutti sull'inasprimento della lotta, propongono di rafforzare blocchi stradali e barricate e di aumentare le occupazioni di municipi. Ancora non si sa che a Città del Messico sono esplose tre bombe - al tribunale elettorale, a una banca e a una sede del Pri - che non hanno fatto vittime ma che un ex-ministro di pubblica sicurezza si affretta ad attribuire alla Appo.

Quest'ultima aveva appena ripreso i colloqui con il governo federale, che ha iniziato un'indagine sulle bande paramilitari del Pri. Qui ad Oaxaca, lunedì mattina, è cominciato il dialogo fra la società civile e alcuni delegati della Appo. Il negoziato si è svolto nella biblioteca di Santo Domingo, sede di un centro culturale. Per ora vi partecipa solo un rappresentante governativo, un sottosegretario agli interni. Ha l'aria di un foro di riconciliazione.

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