La Jornada - Lunedì 5 giugno 2006
Lo stato sta diventando un importatore di alimenti, segnalano universitari
Le rimesse degli emigrati, un palliativo per l'impoverita campagna del Chiapas
Sono del 400 per cento superiori a ciò che dà la coltivazione di caffè, ma non riducono la povertà

ANGELES MARISCAL - CORRISPONDENTE

Tuxtla Gutierrez, Chis, 4 giugno - La nuova industria di Chiapas è l'emigrazione negli Stati Uniti. Gli emigrati chiapanechi sovvenzionano già la campagna e le migliaia di milioni di pesos che ogni anno inviano le loro rimesse sono stati solo un palliativo per lo scontento sociale e la lotta per la terra.

Gli studi sull'impatto del fenomeno migratorio in Chiapas - che si è acutizzato dalla decade dei novanta - sono recenti e coincidono che le entrate per le rimesse non garantiscono né lo sviluppo familiare né quello comunitario.

Jorge López Arévalo, dottore in economia dell'Università di Salamanca, Spagna, dice: "Il ribasso del prezzo internazionale del caffè, accompagnato dalle catastrofi naturali e dagli effetti negativi del Trattato di Libero Commercio dell'America del Nord (TLCAN) e della politica neoliberale ci convertiranno rapidamente in importatori di alimenti ed esportatori di agricoltori, di manodopera economica".

Daniel Villafuerte Solís, vincitore del Premio Nazionale di Economia, ricercatore del Centro di Studi Superiori del Messico e dell'America Centrale dell'Università di Scienze ed Arti del Chiapas, è d'accordo. "La conseguenza di questo processo (l'emigrazione) sarà la scarsità di manodopera per le coltivazioni come il caffè e la canna di zucchero. Le rimesse sovvenzioneranno sempre di più l'agricoltura. Si provocherà una differenziazione sociale tra le famiglie che ricevono e quelle che non ricevono le rimesse".

Per Germán Martínez Velasco, segretario tecnico del Consiglio Statale della Popolazione, l'emigrazione non è male di per sè, visto che "se non se ne fosse andata la popolazione dello stato, ora non riceverebbe le rimesse. L'emigrazione è una ricerca di opportunità che serve per riattivare le entrate economiche famigliari e le condizioni economiche dello stato".

Ha aggiunto che non esistono cifre precise di quanti vanno via, ritornano o muoiono lungo la strada per arrivare agli Stati Uniti, "perché è un qualcosa che si fa di nascosto e quindi non si è riusciti ad elaborare un censimento. L'unico parametro per misurare il fenomeno sono le rimesse".

Secondo il funzionario, il denaro che mandano gli emigranti viene utilizzato soprattutto per le necessità di base: alimentazione, salute, educazione ed acquisto di elettrodomestici. Al secondo posto ci sono le opere di miglioramento della casa ed, in pochi casi, il risparmio. Così, "anche se una famiglia ha un emigrante negli Stati Uniti, questo non basta per uscire dalla povertà".

Nel 2005 l'ammontare delle rimesse in Chiapas è stato di 674,65 milioni di dollari, quasi il 35 per cento in più rispetto al 2004, secondo la Banca del Messico.

L'impatto di queste risorse è evidente: rappresentano 12 volte più che quanto raggiunto nel 2005 con la produzione di mais, quattro volte di quanto ottenuto dalla vendita del caffè, dieci volte quello che ha portato il turismo, sei volte quello che lo stato ha investito in sistemi di acqua potabile e 30 volte l'investimento per l'elettrificazione.

"Da una parte (il fenomeno) è positivo, perché permette l'entrata di risorse e pertanto la riproduzione familiare, ma dall'altra è altamente negativo, perché genera problemi legati alla disintegrazione familiare e pertanto modifica la vita comunitaria" - ha precisato Villafuerte.

Ha aggiunto che sostenere l'economia familiare con le rimesse implica che "l'agricoltura si sta sovvenzionando grazie alle rimesse, perché queste risorse sono trasferite al processo produttivo per acquistare semi, fertilizzanti, insetticidi, pesticidi e manodopera".

Jorge López ha sostenuto che l'emigrazione "è il settore più dinamico dell'economia chiapaneca. Le rimesse, oltre a mitigare la povertà per coloro che le ricevono, incidono positivamente sugli indicatori economici".

Entrambi gli specialisti sono d'accordo che l'entrata di risorse ha aiutato a contenere la lotta per la terra e lo scontento sociale acutizzato dall'insurrezione dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Però hanno sottolineato che le rimesse non garantiscono sviluppo familiare né comunitario. Basta osservare l'esperienza in stati di vecchia tradizione migratoria, come Zacatecas, Michoacán, Guanajuato, dove esistono ancora disuguaglianza, povertà ed emarginazione.


Migrazione, industria in crescita
Angeles Mariscal - corrispondente

San Juan Chamula, 4 giugno - Casette di cemento con grosse colonne, porte di cedro e pavimento piastrellato si elevano in mezzo a comunità indigene come Crushtón, Romerillo, Nishamtic ed in questo capoluogo municipale. "È il risultato di 15 anni di emigrazione" - spiega Marcelina Alvarez, donna tzotzil che ha lavorato clandestina negli Stati Uniti.

Victor, di 29 anni, guida un'automobile nuovo modello ed all'autoradio ascolta le canzoni di Los Tigres del Norte. Veste jeans e maglietta. È il prototipo del chamula migrante. Parla uno spagnolo smozzicato ed è già andato negli Stati Uniti tre volte.

- Per dove passate? - domandiamo a Marcelina.

- Per il deserto di Sonora.

- Non hai paura di morire?

- Quelli che muoiono sono quelli che non conoscono la strada, i nuovi, quelli di altri posti. Loro, i chamula, entrano ed escono come se niente fosse. C'è un signore che vive un po' più in su del capoluogo municipale. Lui è andato via con sua moglie. Quando stavano ancora nel deserto il pollero li ha abbandonati perché la donna camminava piano. Hanno proseguito da soli per cinque giorni. Arrivarono. Così adesso conoscono le strade. Oggi si dedicano a far passare la gente.

Le nuove case di Chamula hanno portico, colonne, garage ed alcune il giardino davanti. I gabinetti sono fuori dell'abitazione, come nelle comunità rurali.

"La gente di Chamula non si dedica al narcotraffico, anche se ce ne sono. La maggioranza dei nostri compaesani si fatto i soldi emigrando" - commenta Marcelina.

Quando i chamula ritornano aprono negozi o diventano presta-denaro per quelli che vogliono andar via e devono pagare almeno ai polleros 10mila pesos. Marcelina non lo racconta, ma ci sono versioni che molto del benessere di Chamula proviene dalla sua partecipazione nel traffico di clandestino che cresce in tutto il Chiapas.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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