La Jornada – Sabato 4 novembre 2006
Neil Harvey
Chiapas 1994, Oaxaca 2006

La repressione scatenata a Oaxaca negli ultimi giorni merita il ripudio totale e la più ferma solidarietà con la APPO. Il fatto che ufficiali e poliziotti locali hanno potuto agire con tanta impunità dimostra la mancanza di interesse del governo federale nell'arrivare ad una reale soluzione politica.

I paragoni con il Chiapas sono numerosi e preoccupanti, perché dimostrano un'altra volta l'incapacità del governo di riconoscere rivendicazioni legittime, come per esempio le dimissioni di un governatore che ha ordinato l'uso della forza per tentare di soffocare il malcontento sociale.

Nel gennaio del 1994 l'allora presidente Salinas cercò di schiacciare gli zapatisti con azioni militari fino a che la società civile si mobilitò per chiedere una soluzione politica. Gran parte della popolazione riconobbe che l'EZLN era ed è un movimento che pone giuste rivendicazioni e che la sua ribellione apriva uno spazio importante nella lotta per la democrazia nel paese e non solamente in Chiapas. A Oaxaca, anche la richiesta della sparizione di poteri vuole qualcosa di più profondo di una semplice alternanza dei partiti nel governo. Sono la democrazia partecipativa, il miglioramento del sistema educativo e l'attenzione ai bisogni dei settori più emarginati, le basi per una vera trasformazione democratica.

In Chiapas, il cambio del potere alla fine del 1994 avvenne nel contesto di una profonda crisi politica ed economica. Il governatore Eduardo Robledo non poté evitare il rifiuto di una parte importante della popolazione che continuò ad appoggiare un governo ribelle. Durante il sessennio 1994-2000 il Chiapas ebbe tre governatori, compresi due provvisori, che ricorsero all'uso della repressione. Da parte sua, Ernesto Zedillo tentò di superare la crisi finanziaria con l'appoggio del governo di Clinton e lanciò una nuova offensiva contro l'EZLN nel febbraio del 1995. Di nuovo si mobilitarono migliaia di cittadini e cittadine per chiedere il dialogo e la fine della repressione. Bisogna segnalare che, come Abascal e Fox, il governo di Zedillo utilizzava un doppio discorso. Zedillo tradì il dialogo ed avviò un processo di militarizzazione che continua ad avere effetti disastrosi sulle comunità indigene chiapaneche.

In Chiapas, la mancanza di volontà politica del governo si riflesse anche nella formazione e attivazione di gruppi paramilitari legati al vecchio regime priista, organizzati ed addestrati dalle autorità per attaccare i simpatizzanti dell'EZLN. Tale fu la protezione a questi gruppi che le denunce fatte da organismi di diritti umani settimane prima del massacro di Acteal nel 1997 furono ignorate. Al contrario, la risposta ufficiale al massacro non fu l'arresto degli autori intellettuali di questo crimine, ma l'incremento delle truppe federali negli Altos del Chiapas, con il pretesto che era necessario "ristabilire l'ordine, la pace e la legge", cioè, lo stesso discorso che ora il governo utilizza per Oaxaca.

L'azione successiva furono gli attacchi ai municipi autonomi, l'espulsione di stranieri e la gestione clientelare dei fondi federali e dell'assistenza medica. Come abbiamo visto in Chiapas, è impossibile vivere in questa "normalità" che il governo ha voluto imporre con la forza. La militarizzazione divide e polarizza le comunità, allontanando sempre di più le possibilità della pace.

Il governo e tutti i partiti nel 2001 ricusarono l'opportunità di ratificare gli accordi di San Andrés. Invece di riconoscere l'autonomia indigena come un diritto costituzionale, i legislatori lasciarono i popoli indigeni senza possibilità giuridiche di esercitare la loro autonomia nell'uso e sfruttamento delle loro risorse e territori. Nello stesso tempo, il governo foxista promosse il suo Piano il Puebla-Panama (PPP), col fine di costruire l'infrastruttura necessaria (strade, porti ed aeroporti, integrazione energetica, dighe di sbarramento, ecc.) per attrarre investitori interessati ad approfittare delle risorse naturali, la manodopera economica e l'ubicazione strategica nel sudest messicano. Tutto questo a beneficio dei gruppi al potere e non della maggioranza della popolazione. Il PPP trovò talmente tanta resistenza in Chiapas e Oaxaca, oltre a San Salvador Atenco, che il governo ha smesso di fare propaganda al suo piano, anche se continua ad implementare alcune delle opere. Ora Felipe Calderón promette di resuscitare il PPP, cosa che provocherebbe altri conflitti in una regione di per sé agitata. Il fattore comune tra Chiapas, San Salvatore Atenco e Oaxaca è questa resistenza all'imposizione di un piano di sviluppo escludente ed insostenibile che è stato formulato senza l'approvazione delle comunità direttamente interessate.

In questi giorni in Messico ed all'estero si stanno svolgendo proteste contro la repressione. Per esempio, lunedì 30 ottobre ci sono state proteste davanti ai consolati messicani in più di 15 città statunitensi ed è stata occupata l'ambasciata a Barcellona. Da parte sua, l'EZLN ha invitato la popolazione a manifestare contro la repressione il 1° ed il 20 novembre. Queste proteste non solo dimostrano la mancanza di democrazia nelle istituzioni, ma anche la grande perseveranza dei movimenti sociali nella lotta per le loro legittime rivendicazioni.

[nharvey@nmsu.edu]

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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