il manifesto - 4 novembre 2006
Oaxaca, la chiesa prova a mediare
Il movimento popolare che ha respinto l'attacco in forze dei federales festeggia «la vittoria» e pensa al domani
Sette ore di cruenta battaglia, giovedì, intorno al campus dell'università. Destra furiosa, il governo annaspa. Via ai negoziati?
Gianni Proiettis - Oaxaca

È durata sette ore la battaglia di giovedì fra il movimento e la polizia intorno all'università, ha lasciato una cinquantina di feriti, più di trenta arrestati e, fortunatamente, nessun morto. Ma fa già storia. «Questo giorno rimarrà registrato nella storia di Oaxaca come una pagina gloriosa», ha dichiarato Flavio Sosa, il corpulento dirigente della Appo anch'egli minacciato da un mandato di cattura, di fronte a una moltitudine che festeggiava la vittoria.

Ma la Secretaria de Seguridad Publica, braccio repressivo del governo Fox, canta un'altra canzone e nega di aver mai avuto intenzione di irrompere nell'università Benito Jarez. «Si è diffusa informazione falsa al riguardo, il nostro obiettivo era solo quello di ripristinare la circolazione nelle strade adiacenti all'università». Sarà. Ma allora perché i poliziotti premevano in forze ai cancelli del campus, inondandolo di lacrimogeni?

Sia come sia, l'incursione della Policia Federal Preventiva intorno all'università non ha dato i risultati sperati e, al contrario, ha mostrato come manifestanti con armi rudimentali - pietre, molotov, bazooka caserecci fatti con tubi e fuochi d'artificio - possono tenere in scacco, grazie alla loro determinazione, interi reparti dotati di un'attrezzatura sofisticata come elicotteri, bulldozer, lacrimogeni e blindati con idranti. Ecco perché la combattiva Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca, ha festeggiato un evento che ha messo un freno, almeno temporaneo, alla repressione governativa.

E che per il governo e per il Pri - il partito al potere in Oaxaca, che sostiene a qualunque costo il governatore Ulisses Ruiz - si è trattato di una sconfitta, lo denunciano le dichiarazioni scomposte del giorno dopo. C'è addirittura chi taccia il rettore dell'università, Francisco Martinez Neri, di «sovversivo» per aver affermato che «l'università non si merita incursioni di questa natura». E chi accusa Lopez Obrador, che si dichiarerà «presidente legittimo» il 20 novembre, di «aver gettato la maschera e di voler prolungare il conflitto» solo perché ha manifestato il suo appoggio al movimento di Oaxaca.

D'altra parte, la chiesa, per bocca dell'arcivescovo José Luis Chavez Botello, ha accettato di mediare nel conflitto, mettendo a disposizione un salone annesso alla cattedrale come sede del dialogo. Le condizioni poste dall'arcivescovo, che conta sull'appoggio della Conferenza episcopale messicana, sono che le trattative portino a soluzioni concrete, che si rispetti una tregua fra le parti mentre durano i negoziati e che siano presenti tutti i settori sociali.

Il portavoce della Appo, Florentino Lopez Martinez, ha chiesto la partecipazione della senatrice Rosario Ibarra de Piedra, presidente della Commissione dei diritti umani del senato, del pittore Francisco Toledo e del sociologo Pablo Gonzalez Casanova. Le trattative potrebbero cominciare oggi stesso.

Intanto, la città di Oaxaca sta tornando lentamente alla normalità. Dissipato il fumo dei lacrimogeni, rimossi i rottami delle auto incendiate, i negozi cominciano a riaprire, i mezzi pubblici a funzionare e la gente torna al lavoro. Ad ogni angolo si discute di politica, si commentano le notizie dei giornali, si spiega la situazione ai turisti un po' impauriti ma molto interessati.

Di fronte alla chiesa di Santo Domingo, che ospita uno stupendo museo-centro culturale, nella giornata di ieri si sono susseguite varie assemblee all'aperto. I tradizionali altarini per i morti, pieni di fiori, offerte e sculture artigianali, adornano ancora le principali strade del centro. La creatività popolare li ha arricchiti con le calacas i sonetti satirici sul tema della morte, molti destinati a Ruiz.

Lo Zocalo è presidiato da cordoni di poliziotti in assetto di guerra, fotografati con i cellulari dai passanti. Un poliziotto che sfoggiava una maglietta con il Che il più fotografato, insieme agli elicotteri che sorvolano la città.

I fedelissimi del governatore sono furiosi, invocano l'esecuzione dei mandati di cattura e minacciano nuovi raids armati.

Per loro anche Noam Chomsky e Arundhati Roy, fra i firmatari di un appello di solidarietà al popolo di Oaxaca, sono dei «pericolosi delinquenti».

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