OAXACA BRUCIA
Non possono cacciarci dalla nostra città

Claudio Albertani

Oaxaca è oggi lo specchio del Messico. Una ricchezza indecente si mescola qui con una povertà insultante: i palazzi coloniali nascondono a mala pena le case di cartone, i numerosi ipermercati esibiscono merci inaccessibili ai più, i pistoleros e le guardie bianche massacrano chiunque protesti.

Crogiolo di culture -zapoteca, mixteca, triqui e mixe-, negli ultimi anni la città capitale è stata rimessa a nuovo e trasformata in una colossale impresa turistica che apporta molti soldi agli investitori e poco o nulla agli indigeni che continuano ad essere vittima di un razzismo crudele anche se, paradossalmente, essi costituiscono la principale attrazione locale.

In queste condizioni non è possibile governare senza ricorrere alla violenza mafiosa. Come Felipe Calderón -il presidente “eletto” che sostituirà Fox il primo dicembre- il governatore di Oaxaca, Ulises Ruiz Ortiz (del PRI) è arrivato al potere per la via di una colossale frode elettorale e dunque senza la minima legittimità. Come i suoi predecessori, si sostiene grazie all’alleanza con i cacicchi locali e ad un patto tacito con il PAN, il partito del presidente Fox.

Nel 2004, appena eletto, Ruiz dichiarò guerra al quotidiano indipendente Noticias, mandando a bruciare i chioschi dove si vende ed occupando militarmente la sua sede, senza tuttavia riuscire a farlo tacere. Poi venne il turno della Sezione 22 del sindacato degli insegnanti elementari -70.000 aderenti-, un organismo indipendente con una lunga tradizione di lotta e radici profonde nella realtà locale.

Il 14 giugno di quest’anno, Ruiz fallì un tentativo di sgomberare il centro della città occupato dagli insegnanti della Sezione 22 in sciopero per ottenere l’equiparazione salariale. La popolazione li difese spontaneamente e nei giorni successivi vi furono due grandi manifestazioni alle quali parteciparono decine di migliaia di persone.

Il 23 giugno, circa 400 organizzazioni sociali dettero vita alla APPO -Asamblea Popular del Pueblo de Oaxaca-, foro permanente ed organo decisionale del movimento. Significativamente, la voce Pueblo fu trasformata poi in Pueblos, per indicare la pluralità dei partecipanti e l’esplicita esclusione dei partiti politici tradizionali.

L’occupazione si rafforzò e, di fronte ai persistenti attacchi dei paramilitari, si innalzarono centinaia barricate non solo nel centro, ma anche nei quartieri periferici (se ne sono contate fino a 3000). Il movimento si unì intorno ad una domanda non negoziabile: la cacciata di Ulises Ruiz. Venne istituita una commissione formata da delegati revocabili con il compito di portare avanti le trattative con il governo federale. Di fronte all’assenza di una risposta chiara, la APPO rispose occupando gli uffici di governo, la procura della repubblica ed il parlamento locale.

Il 5 luglio, tre giorni dopo le elezioni presidenziali, la APPO si proclamò unico governo legittimo di Oaxaca, il che non è una affermazione esagerata se si considera che da allora Ulises Ruiz ha fatto solo rare apparizioni in città e le istituzioni ufficiali operano nella clandestinità.

Una data molto importante è il 22 agosto quando di fronte ad un’ennesima aggressione, la APPO assunse il controllo delle 12 stazioni radio di Oaxaca trasformate da allora in strumenti di comunicazione alternativa.

I grandi problemi nazionali ed il movimento contro la frode presidenziale fecero passare in secondo piano la situazione di Oaxaca. Le trattative con la sezione 22 e con la APPO continuarono, senza tuttavia approdare a nulla. In un certo senso questa assenza dello stato offrì un respiro al movimento che rinsaldò la sua anima autogestiva ed anti-istituzionale.

Continuò tuttavia la sporca guerra di Ulises Ruiz contro la APPO e a principio di ottobre vi erano già una dozzina di vittime. Le cose precipitarono venerdì 27 ottobre quando paramilitari e pistoleros del PRI ammazzarono Brad Will, giornalista indipendente di Indymedia e due membri della APPO in scaramucce verificatesi presso barricate situate nel comune di Santa Lucia del Camino, a pochi chilometri dal centro di Oaxaca. Tali provocazioni furono usate dal governo federale per giustificare l'intervento della Policia Federal Preventiva (PFP), un corpo militarizzato, specializzato in operazioni di ordine pubblico e controinsurrezione.

Il ministro degli interni, Carlos Abascal, lanciò un ultimatum: consegnare immediatamente il centro storico della città, gli edifici pubblici e gli uffici di governo o attenersi alle conseguenze. Nel frattempo, la PFP avanzava su Oaxaca allo scopo di “rimuovere le barricate e liberare le vie di comunicazione”. Sabato notte, la APPO esortava il popolo a rinforzare l’autodifesa.

Domenica 29, la città fu sigillata ed isolata dal resto del Messico: non si entrava e non si usciva se non attraverso i posti di blocco dell’esercito. Verso le ore 14, 4.000 agenti della PFP appoggiati da elicotteri e blindati occuparono Oaxaca. Nel frattempo, circa 5.000 soldati prendevano posizione nei punti nevralgici delle regioni circostanti.

Simultaneamente, la Agenzia Federal de Informaciones (AFI) e la Procura della Repubblica perquisivano le case degli attivisti della APPO e della sezione 22.

Alle 19, dopo varie ore di scontri, la PFP riuscì ad entrare nello zócalo (piazza principale) prendendo possesso delle radio occupate che interruppero quindi le trasmissioni. Domenica sera trasmetteva solo Radio Universidad, ultimo bastione della comunicazione alternativa in città.

Di fronte ai gas lacrimogeni ed agli idranti che sparavano acqua con acido (non si sa quale e soprattutto si ignorano i suoi effetti), la APPO si difese con pietre, bottiglie molotov ed incendio di autobus. Malgrado l’occupazione riuscì ad organizzare immediatamente una manifestazione di protesta alla quale parteciparono varie migliaia di persone.

All’imbrunire la città presentava un aspetto desolato: veicoli in fiamme, case danneggiate, strade distrutte. E nuove vittime: l’infermiere Jorge Alberto López Bernal, il maestro Fidel García ed un ragazzo di 12 anni, ancora non identificato. Vi erano inoltre circa 60 detenuti –tra i quali un numero indeterminato di torturati- decine di abitazioni perquisite ed un numero indeterminato di desaparecidos.

Verso sera la APPO si ripiegava in direzione della Città Universitaria mentre il centro si copriva nuovamente di barricate che, in pratica, circondavano i militari che dormivano nello zocalo (dopo aver saccheggiato i negozi).

Lunedì 30 ottobre, in città non vi era elettricità e neppure trasporto pubblico. Le televisioni ammettevano che la PFP non riusciva a controllare la situazione mentre la APPO continuava a tenere alcune barricate nei quartieri periferici. Martedì 31, aveva ripreso il controllo di una parte del centro nei prssi della piazza Santo Domingo.

Sebbene è improbabile che la APPO riesca a mantenere le sue postazioni, è chiaro che la storia non è finita. “Non possono cacciarci dalla nostra città” era lo slogan che trasmetteva in continuazione Radio Universidad assediata dai paramilitari e dalla polizia.

Nel frattempo arrivava la solidarietà dell’EZLN che mercoledì primo novembre realizzava blocchi stradali in Chiapas ed una concentrazione a Città del Messico con la partecipazione del comandante Zebedeo. Nei prossimi giorni, è possibile che il conflitto si estenda ad altre regioni.

La Comune di Oaxaca non è morta.

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