All'assalto del cielo
La nostra è un’insurrezione che tende verso il potere popolare, del tutto simile alla Comune di Parigi
Intervista a Miguel Linares, insegnante e membro APPO (Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca)
Hernán Ouviña, 1° novembre 2006

Da cinque mesi, lo stato di Oaxaca, a sud del Messico, sta vivendo un’intensa mobilizzazione politica. Sulla scia delle lotte di altre organizzazioni in altri posti del Messico, come l’Altra Campagna promossa dal FPDT, il Fronte Popolare in Difesa della Terra di Atenco, i minatori di Sicarsa e Cananea, incluso il movimento di resistenza civile antifrode di Città del Messico, la Sezione 22 del Sindacato Nazionale dell’Educazione, che riunisce gli insegnanti di Oaxaca e, in modo molto più generale, l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO), stanno portando avanti un inedito processo di auto-organizzazione e controllo politico della città, che include l’occupazione permanente degli edifici pubblici, la costruzione di centinaia di barricate da parte dei comitati di autodifesa, potere decisionale nelle mani di assemblee dinamiche e l’autogestione di svariati mezzi di comunicazione “recuperati”.

La ribelle Oaxaca, terra natia di Benito Juàrez e dei fratelli libertari Flores Magón, ha alle spalle una lunga tradizione di resistenza. Bastione storico del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), Oaxaca è lo stato con la più alta concentrazione di popolazione indigena del Messico, la cui bellezza e ricchezza contrastano con l’alienazione e la grande povertà in cui gran parte della popolazione vive da anni. Quella che segue è un’intervista a Miguel Linares Rivera, uno dei 21 insegnanti e attivisti dell’APPO, l’assemblea che da quindici giorni sta manifestando davanti al simbolico Monumento a Juàrez, a Città del Messico.

Potrebbe presentarsi e spiegare il perché di questa “lunga attesa” e dello sciopero nel Distretto Federale?

Siamo scioperanti dell’Assemblea Popolare dei popoli di Oaxaca. I motivi per cui stiamo scioperando sono essenzialmente tre. In primo luogo, chiediamo la caduta del governatore dello stato di Oaxaca, Ulises Ruiz Ortiz. In secondo luogo, vogliamo rendere pubblica, attraverso i media nazionali e internazionali, la situazione che stiamo vivendo. Infine, vogliamo richiamare alla solidarietà tutte le organizzazioni indipendenti, in Messico e nel resto del mondo, per mettere fine al massacro che il nostro popolo sta attualmente subendo nella città di Oaxaca.

Qual è la situazione in cui oggi si trovano gli insegnanti di Oaxaca?

Una minoranza di colleghi si trova nei centri urbani più grandi, nei capoluoghi di municipio, ma la maggior parte si trova a vivere una situazione estremamente precaria. Molti di noi devono viaggiare anche 18 ore al giorno per andare a lavoro e tornare a casa. Spesso ci troviamo a spendere metà del nostro stipendio soltanto per spostarci, per non parlare poi degli affitti. In più, nelle zone costiere, in particolar modo quelle turistiche, il cibo è molto costoso. Nonostante gli stipendi bassi, dobbiamo anche pagare di tasca nostra il materiale di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo addirittura pagarci i corsi di aggiornamento. Gran parte del magistero di Oaxaca si trova in una situazione gravissima.

Il sistema educativo statale mostra un atteggiamento colonialista e un disprezzo molto forte della cultura indigena. Come intendete combatterli?

All’interno delle diverse comunità della sola Oaxaca, si parlano 16 lingue differenti. Sono molti gli insegnanti che conoscono un’altra lingua, oltre lo spagnolo. Io, per esempio, parlo lo zapoteco. In ogni modo, salvo alcune eccezioni, siamo consapevoli che il nostro compito non è entrare in queste comunità per colonizzarle o imporre ai nostri compagni una cultura diversa dalla loro. Chiamiamo i bambini “compagni” perché sentiamo che impariamo anche da loro. Quando un insegnante entra in una comunità, è tenuto a rispettare il linguaggio del bambino. Non c’è niente di peggio che imporre lo spagnolo. Spieghiamo ai bambini che imparare lo spagnolo li aiuta a preservare la loro lingua e la loro cultura. Cerchiamo, inoltre, di creare un processo democratico all’interno delle classi, nonostante il maestro sieda ancora su una specie di pedana rialzata, che lo mette quindi su un livello superiore. Ci stiamo battendo perché questo tipo di strutture vengano abbandonate ad Oaxaca. Una volta in classe, molti di noi tentano di trasmettere ai bambini il senso della collettività, dal momento che fanno tutti parte dello stesso processo. Ad Oaxaca, le idee di Paulo Freire sono molto popolari tra gli insegnanti e le applichiamo spesso. Nonostante tutto, le stesse idee di Freire non hanno convinto tutti, dal momento che la sua pratica pedagogica è rimasta in parte attaccata alle istituzioni brasiliane. Quindi, la sua esperienza è sicuramente un esempio, come quella cubana del resto, ma non dimentichiamo la nostra esperienza di insegnamento educativo ad Oaxaca.

Quali sono state le risposte del governo alle richieste degli insegnanti?

Le nostre proposte non hanno ricevuto nessuna risposta: il governo ha avuto un atteggiamento di chiusura e non si è nemmeno mostrato interessato a negoziare. Il 22 maggio abbiamo deciso di iniziare lo sciopero e la “lunga attesa” ad Oaxaca, pensando che avremmo avuto presto una risposta. Invece, il governatore Ulises Ruiz ha fatto orecchie da mercante fino al 14 giugno, data in cui la sua risposta è arrivata, alle quattro del mattino, con più di tremila poliziotti statali e municipali, sia a piedi che in elicottero. Siamo stati attaccati con tutti gli strumenti che le forze repressive hanno a loro disposizione: cani, gas lacrimogeni, ecc., e nonostante la gente si sia ritirata per proteggersi (in particolare gli insegnanti in pensione, i bambini e le donne incinte), ci sono stati molti feriti. Alle sei del mattino, gli insegnanti, grazie anche all’aiuto della gente, sono riusciti a raggiungere di nuovo lo zócalo [piazza centrale], cacciando via la polizia dall’area. Questo ha fatto sì che la gente ci vedesse come donne e uomini che lottano coraggiosamente per affermare i propri diritti. A seguito di ciò, gran parte della gente di Oaxaca ha cominciato a riunirsi, inizialmente nella capitale e in seguito in tutto lo stato. E l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca è stata fondata proprio in quel periodo, quando alle richieste degli insegnanti si è sostituita un’unica richiesta centrale :“Ulises Ruiz fuori da Oaxaca!”. La gente ha assunto il controllo di Oaxaca e ha iniziato a costruire delle barricate a causa degli “squadroni della morte”, i poliziotti in borghese, che è possibile vedere anche nelle riprese televisive o nelle fotografie, e i gruppi paramilitari che sparavano addosso. Abbiamo perso ben 15 attivisti e sono stato appena informato della morte di un altro compagno, ucciso durante un’incursione ad Oaxaca del Governo Federale tramite la Polizia Federale Preventiva (una specie di polizia paramilitare) e un distaccamento militare.

Che cosa è successo dopo questo primo tentativo di repressione?

Abbiamo organizzato delle grandi marce con più di 500.000 persone nelle strade di Oaxaca, una cosa mai vista prima che, tuttavia, non ci ha portato ad essere ascoltati dal governo. Non solo non ci hanno ascoltato, ma hanno pure continuato ad attaccarci. Allora abbiamo deciso di far conoscere la nostra situazione anche fuori da Oaxaca. Il 22 settembre abbiamo iniziato a marciare verso Città del Messico. C’eravamo noi insegnanti ma anche gente appartenente ad alcune organizzazioni sociali e abbiamo camminato per centinaia di chilometri. Siamo arrivati il 9 ottobre e una settimana dopo abbiamo messo su questo accampamento e iniziato lo sciopero della fame a oltranza.

Che tipo di iniziative e organizzazioni comunitarie state mettendo in piedi ad Oaxaca?

Prima che iniziasse la repressione, avevamo una piccola stazione radiofonica chiamata “la lunga attesa” che trasmetteva in tutte le Valli Centrali e nella capitale. Questa stazione radio è stata la prima vittima della repressione. L’hanno distrutta! Ma contemporaneamente a questa repressione, alle sei del mattino, gli studenti, che avevano scoperto quello che era successo a “La lunga attesa” e dell’interruzione delle nostre comunicazioni con la gente da parte del governo, hanno preso il controllo di Radio Università per farne la voce del popolo. Sfortunatamente l’abbiamo persa subito dopo. In seguito, il 1° agosto, le donne hanno preso il controllo di una televisione e di una stazione radio appartenenti al governo. Non molto tempo dopo i paramilitari hanno cercato di distruggere i trasmettitori e di cacciarci via da lì. Durante questa operazione è morto un altro compagno. La gente ha risposto assalendo altre stazioni radio di Oaxaca. Dopo una serie di trattative con le autorità, abbiamo dato indietro solo 10 delle 12 stazioni radio di cui avevamo preso possesso. L’unico vero collegamento con la gente era Radio Legge, finché il governo ha distrutto il segnale. Questo è quanto successo prima che riuscissimo a rimandare in onda Radio Università, che al momento sta ancora trasmettendo. Queste mobilitazioni ed il controllo delle stazioni radio sono state la reazione spontanea della società civile di Oaxaca, stanca dei 76 anni di governi priisti. I mass media sono stati sempre usati per la loro promozione, insultando gli insegnanti ed elogiando il governo 24 ore al giorno. Ecco perché la gente ha reagito dicendo “basta!”a tutti i media che stavano ridicolizzando Oaxaca.

Come sono sorte le barricate e qual è la situazione lì?

All’inizio nemmeno gli insegnanti pensavano che Oaxaca sarebbe esplosa in questo modo. Quando ci hanno attaccato il 14 giugno, la popolazione ha reagito immediatamente. La gente si è unita agli insegnanti per partecipare alle azioni. E nel momento in cui i paramilitari hanno cominciato ad attaccare, sono state erette le barricate. Gli stessi comitati di autodifesa hanno preso forma in quel periodo per permettere alla gente di girare liberamente per le strade di Oaxaca. Inizialmente si sono costruite barricate di piccole dimensioni, quelle grandi sono state una risposta all’attacco dei gruppi armati del governo a Radio Legge e alla morte di altri compagni. A Oaxaca, sono state erette centinaia di barricate. Prima degli attacchi della Polizia Preventiva Federale e dell’esercito, c’erano più di 1.600 barricate. È per questo che, arrivati a questo punto, si tratta di una vera e propria insurrezione popolare.

Durante questo lungo periodo di lotta, sono stati occupati anche degli edifici?

Certo, i tre poteri di Oaxaca. Svariati uffici pubblici sono stati nelle mani degli insegnanti per diverse settimane e sono stati protetti proprio dalle barricate. In risposta a ciò, questo venerdì, i nostri fratelli della costa, insediati nella sede del governo, sono stati brutalmente attaccati dai gruppi paramilitari. La stessa cosa si è verificata all’esterno dell’ufficio del Ministero della Giustizia, dove si è cercato di reprimere le manifestazioni con la forza o addirittura assassinando la gente, come si può leggere anche sulla stampa.

Chi sono i membri della APPO e in che modo vengono prese le decisioni?

All’inizio l’APPO era costituita da 340 organizzazioni, con lo scopo comune di far cadere Ulises Ruiz. Successivamente abbiamo tentato di creare delle commissioni interne come quelle per la stampa, per le barricate, la propaganda, ecc. Abbiamo creato una rete di organizzazioni a Oaxaca ed ogni azione proposta deve essere esaminata sia dagli insegnanti che dagli altri membri della APPO prima di essere realizzata. Questo sistema funziona parecchio e organizziamo sempre incontri con tutti i delegati delle varie organizzazioni sia nei quartieri che alle barricate. Ogni decisione viene presa collettivamente. È così che portiamo avanti la nostra pacifica e civile resistenza nella città di Oaxaca. Stanno nascendo Assemblee Popolari dei Popoli in Guerrero, in Morella e nello Stato del Messico, al momento soltanto allo stato embrionale, ma in futuro potranno crescere e diventare organizzazioni nazionali. È un processo che interessa tutto il paese proprio come quello elettorale che vede milioni di Messicani rifiutare il nuovo presidente [Felipe Calderón, del Partito Azione Nazionale].

Qual è stata la risposta dei partiti politici nazionali all’auto-organizzazione dell’APPO?

Le organizzazioni istituzionali, come i partiti politici di Oaxaca, sono state totalmente rovesciate. Sia il PRI che il PAN si sono dimostrati nemici del popolo. Ma anche il PRD, che si proclama di centro-sinistra, è stato rovesciato: nonostante molti suoi membri siano a favore dell’APPO, parecchi leader sono rimasti in silenzio e sono stati spinti ad ammettere che la gente aveva agito da sola, senza il loro supporto.

Oltre la caduta di Ulises Ruiz, quali sono le proposte politiche dell’APPO?

Di fatto, indipendentemente da quanto è successo, ci eravamo già riuniti per formare un Congresso Costitutivo dell’APPO. In pratica, la nostra intenzione era di nominare dei delegati delle comunità, dei quartieri, dei sindacati e delle altre organizzazioni che costituissero un Congresso per la discussione dei programmi, dei principi, delle forme organizzative. Avevamo proposto l’8, il 9 e il 10 novembre, ma credo che dovremo fissare altre date a causa degli ultimi eventi. Speriamo che non passi troppo tempo così saremo in grado di dare forma, il più presto possibile, al nuovo potere popolare di Oaxaca [il Congresso si è poi tenuto dal 10 al 12 novembre, nota del traduttore].

Molti definiscono il vostro processo “Comune di Oaxaca”. A cosa si riferiscono?

Credo che si riferiscano ai nostri processi di organizzazione internazionale: per i nostri “topiles”, per le nostre assemblee e barricate e per il fatto che affrontiamo direttamente le forze di polizia. Si riferiscono alla questione dell’auto-organizzazione, anche se, per il momento, non siamo riusciti ad ottenere quello che vogliamo, come nella Comune di Parigi. Ma soprattutto,la Comune di Oaxaca si riferisce alle pratiche ancestrali delle comunità indigene che mantengono questi processi da moltissimi anni. La nostra è un’insurrezione che tende verso il potere popolare, del tutto simile alla Comune di Parigi.

Può spiegarci brevemente che cosa sono i “topiles”?

Torniamo indietro alle comunità indigene dove non ci sono poliziotti in uniforme con armi da fuoco. Qui l’autorità è costituita dagli stessi contadini e indigeni che normalmente tengono in mano un bastone a rappresentare la loro autorità. Loro rappresentano l’autorità e senza bisogno di portare delle armi. In caso di una disputa locale, loro arrivano e tentano di risolvere il problema. I “topiles” prestano servizio ed esercitano la giustizia gratuitamente.

Come vengono eletti?

Nelle assemblee comunitarie. Abbiamo portato l’esempio delle comunità indigene nella capitale di Oaxaca quando il nostro movimento ha avuto inizio. I “topiles” sono compagni volontari o scelti dalle organizzazioni che si occupano principalmente delle barricate e dell’autodifesa contro la polizia e i ladruncoli.

Lasciamo da parte la forte influenza indigena? Come si incastra la lotta di Oaxaca con i movimenti di resistenza del resto della America Latina?

Nonostante ci sia stata questa influenza da parte delle comunità indigene, governate dai loro usi e costumi tramite assemblee comunitarie: il nostro non è un esempio isolato, fa parte, al contrario, di un progetto molto più ampio. L’esperienza che stiamo portando avanti oggi è frutto di quello che è già accaduto in Ecuador, Brasile e Argentina. Abbiamo osservato attentamente tutti questi esempi latinoamericani ed anche quello statunitense, grazie ai nostri compagni immigrati. È per questo che speriamo che la risposta nazionale ed internazionale di solidarietà alla nostra lotta sia immediata. In effetti, sappiamo già che in Spagna, in Italia, negli Stati Uniti e in molti altri posti, ci sono state molte manifestazioni e proteste davanti ai Consolati e alle Ambasciate messicani. Crediamo che il futuro dell’umanità possa cambiare e noi possiamo contribuire dal luogo in cui viviamo.

Qual'è la situazione attuale di Oaxaca, dopo le recenti repressioni?

Credo che se il governo si comporterà in modo intelligente, ritirerà le sue forze di polizia. Altrimenti si scatenerà una battaglia campale a Oaxaca perché non abbiamo intenzione di restituire la città alla Polizia Preventiva Federale.

Ultima domanda: qual è il vostro stato d’animo?

Siamo fiduciosi che il nostro movimento trionferà perché questa non è la ribellione di piccoli gruppi isolati o radicali, ma una vera insurrezione popolare. Quelli che non lo capiscono, continueranno a cercare di far tacere le nostre voci con le baionette. Devono capire che non potranno riuscirci per molto perché la battaglia continuerà.

[tradotto dall'inglese da Maria Teresa Masci e revisionato da Fausto Giudice, membri della rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale: è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne l'autore e la fonte - http://www.tlaxcala.es/pp.asp?lg=it&reference=1617]

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home