il manifesto 30 giugno 2005
L'Ezln dalle «armi» al fronte politico?
Durante la alerta roja è stata votata e approvata in più di mille assemblee con la Comandancia zapatista la «proposta di un nuovo passo nella lotta»

GIA. PRO. - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

Calma, calma. Che gli zapatisti stiano dando l'«addio alle armi», finora l'hanno detto solo Fox e Televisa. Dalla mirabile penna del sup Marcos - in piena ripresa e a metà della Sexta declaración de la Selva Lacandona (www.jornada.unam.mx) - non è mai uscita una tale enormità. Perlomeno, non ancora. Che se poi gli zapatisti decidessero di seppellire il loro quasi simbolico arsenale, non succederebbe gran cosa. Il punto forte è un altro. Siamo alla vigilia di una grande iniziativa politica, in cui gli zapatisti hanno deciso di giocarsi il poco - o molto - conquistato finora. Si tratta di «un passo per trasformarsi in un'organizzazione politica legale», come ipotizza Ana Esther Ceceña? E' la creazione di una specie di braccio politico dell'Ezln o piuttosto di un frente amplio che raccolga tutti gli scontenti e i dimenticati (anche dalla sinistra), disposti a lottare? Entrerà, questa nuova forza, nell'arena elettorale, sconvolgendo così i già precari equilibri politici messicani, o continuerà nella linea del rifiuto? «Un nuovo passo avanti nella lotta indigena è possibile solo se gli indigeni si uniscono agli operai, ai contadini, agli studenti, ai maestri, agli impiegati...ossia ai lavoratori della città e del campo», conclude - per ora - la Sexta declaración, lasciando in sospeso i lettori.

Favorita dall'assenza di notizie sicure, aumentata dalla malafede governativa, c'era stata una certa maretta dell'informazione nei giorni della alerta roja zapatista. Oggi si sa che la consulta tenuta dalla Comandancia General dell'Ezln in più di mille comunità «en el suroriental estado mexicano de Chiapas» fra il 20 e il 26 giugno, con gli inevitabili movimenti che ha comportato, ha provocato un forte nervosismo fra i militari. Nell'incertezza, l'esercito messicano - una buona metà del quale funziona da forza di occupazione in Chiapas da dieci anni - ha dato ordine di concentrarsi, abbandonando alcuni accampamenti periferici. La cosa curiosa è che la Sedena - la Secretaría de Defensa Nacional - stavolta non si è vantata dei ritiri.

Anzi, in un momento in cui la lotta contro i narcos negli stati del nord stava mostrando che gli imperi del crimine sono molto più forti dello stato e saldamente infiltrati nelle istituzioni - tanto da far parlare di un narcoestado - l'esercito annunciava la scoperta di tre ettari di marijuana in territorio zapatista, rubando le prime pagine dei giornali. Poco importa che lo stesso portavoce del presidente Fox abbia smentito quasi subito che le comunità coinvolte fossero zapatiste. Ma i militari non lo hanno mai fatto.

La alerta roja è stata quindi una reazione difensiva dell'Ezln ai movimenti dell'esercito, attuata per difendere le comunità durante la consulta. Ma che cosa si è discusso in più di mille assemblee, cui hanno partecipato «uomini e donne bases de apoyo dell'Ezln»? Dopo aver ascoltato le relazioni della Comandancia zapatista e un'analisi della situazione nazionale, le comunità hanno votato sulla «proposta di un nuovo passo nella lotta», approvandolo con il 98% dei voti. Fino a questo momento, si sa solo che si tratta di «una nuova iniziativa politica di carattere nazionale e internazionale», ma la nebbia durerà solo poche ore.

E il presidente Fox, salutando precocemente un «disarmo» dell'Ezln e dando il benvenuto all'integrazione degli zapatisti nella vita politica, si è detto «a las órdenes del señor Marcos». Il fatto che Fox muoia dalla voglia di dare l'abbraccio dell'orso al subcomandante davanti alle telecamere, non commuove granché gli zapatisti, che ricordano tutti gli inganni, i tradimenti e le persecuzioni che hanno dovuto subire da questo e dai precedenti governi. Fox parlava dal summit che in Belize inaugurava la «frontiera flessibile» voluta da Washington. È una nuova formula, «suggerita» da Condoleezza Rice nella sua visita in Messico in marzo scorso, che prevede un rafforzamento della frontiera sud del Messico in funzione della sicurezza Usa. L'operazione instaura un maggior controllo sul flusso di persone, raccomanda più repressione della Mara Salvatrucha e delle bande delinquenziali centroamericane, agita perfino lo spettro della presenza di Al Qaeda. E comprende un accerchiamento militare degli zapatisti, spingendoli contro la frontiera con il Guatemala. Sarà l'abbraccio di cui parla Vicente Fox?


INTERVISTA
Quello che ci aspettiamo da Marcos
Immanuel Wallerstein analizza il ruolo avuto dalla rivoluzione zapatista di fronte alla crisi della sinistra mondiale degli ultimi decenni. E spiega perché sia il momento di aspettarsi l'avvio di una «seconda fase», che forse sarà di grande importanza per tutti
GIANNI PROIETIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

Insieme a Noam Chomsky e a Arundhati Roy, Immanuel Wallerstein è un indiscusso maître à penser del movimento no-global, che in America latina si chiama altermundista. Basandosi sulla teoria dei cicli di Kondratiev - un'alternanza di espansioni e crisi del capitalismo - Wallerstein afferma che l'attuale sistema economico mondiale è entrato nella sua fase terminale, diagnostica il crollo del neoliberismo e racconta l'Iraq come tomba dell'impero americano. Wallerstein è a San Cristóbal per inaugurare un centro di ricerca e documentazione che porta il suo nome e fa parte della Universidad de la Tierra, un'iniziativa di democratizzazione della cultura.

È di questi giorni la dichiarazione di un'alerta roja zapatista. Cosa pensa degli ultimi comunicati di Marcos e come valuta l'esperienza zapatista?

Quando Marcos dice che è la fine di una fase ha assolutamente ragione. L'esperienza zapatista di questi anni è stata molto importante non solo per il Messico ma per il mondo. Per me lo zapatismo ha tre aspetti di rilievo. Innanzitutto è una ribellione degli indigeni: e questo è molto importante soprattutto in America latina - dove le indipendenze del XIX secolo erano essenzialmente indipendenze dalla Spagna, in cui gli indigeni non hanno mai potuto avere il loro posto o, se provavano a prenderlo, venivano repressi.

In secondo luogo, lo zapatismo è il primo grande sforzo di concretizzare un progetto politico in cui la conquista del potere centrale non costituisce l'obiettivo, e anzi è qualcosa che si rifiuta. È stato un rifiuto della via della sinistra tradizionale, comunista o socialdemocratica, e degli stessi movimenti di liberazione nazionale, che hanno tutti cercato di conquistare il potere dello stato e ci sono spesso riusciti.

Il terzo aspetto importante è stato che la sinistra mondiale ha passato brutti momenti negli anni `70-'80, culminati con la fine del Pcus in Urss. C'era come un senso di depressione nella sinistra di fronte a quella che sembrava una marcia trionfale del neoliberalismo in tutto il mondo. Ebbene, la ribellione zapatista fu il primo movimento che andava in direzione opposta, riprendeva la marcia della sinistra e produceva conseguenze. Dopo sono venute Seattle, Genova, Cancun e le tante contestazioni al Wto, al G8, ai centri del potere mondiale; e il Forum Sociale mondiale, una riattivazione della sinistra mondiale. Bene, ora siamo arrivati al 2005 e in questi anni, qui in Chiapas, si è realizzato qualcosa, forse non tutto quello che si sarebbe voluto, però siamo arrivati a un punto in cui i metodi, le strategie e le tattiche utilizzate sono ormai all'esaurimento e non possono andare oltre. Quando sono andato all'ultimo Forum Sociale a Porto Alegre, in gennaio, ho avuto la stessa impressione: siamo in un momento critico, ci sono stati enormi successi negli ultimi cinque anni, ma le possibilità si sono un po' esaurite, bisogna entrare in una seconda tappa. Può essere che il suo lancio venga ancora una volta dagli zapatisti. Non sappiamo ancora che proposte usciranno dalla loro consulta: se prenderanno iniziative importanti, come promettono, questo avrà grandi ripercussioni non solo sulle elezioni messicane dell'anno prossimo, ma sullo stesso Forum Sociale mondiale e nel mondo in generale.

Che pensa dell'attacco del subcomandante Marcos al più forte candidato della sinistra messicana, Andrés Manuel Lopez Obrador (Amlo)?

L'analisi dei partiti politici messicani ha aperto la serie dei comunicati zapatisti, prima ancora della dichiarazione di alerta roja, e riflette uno stato d'animo generalizzato in America latina. Negli ultimi cinque anni, sono arrivati al potere una serie di partiti che si dichiarano di sinistra, con Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, Tabaré in Uruguay, Chavez in Venezuela. In Messico ci si aspetta la vittoria di Lopez Obrador, alla testa del più grande partito della sinistra messicana. L'Amlo è dello stesso stampo di questi governi, che non hanno fatto gran cosa sul piano interno - forse Hugo Chavez un po' più degli altri, ma solo perché aveva più soldi e questo ha facilitato una certa ridistribuzione - e hanno generato una gran disillusione, soprattutto fra gli intellettuali di sinistra, che non hanno visto sufficiente differenza fra le «nuove» politiche e quelle dei vecchi governi. Tuttavia sul piano esterno ci sono stati dei cambiamenti, per esempio il Brasile ha formato il Gruppo dei 20 in seno al Wto, ha lavorato al rafforzamento del Mercosur, ecc.. Lo stesso si può dire del governo dell'Ecuador e di quello venezuelano. Si nota che c'è una maggiore indipendenza, soprattutto rispetto agli Usa. Lo si è visto con lo scacco subìto da Washington quando ha cercato di imporre il suo candidato alla presidenza dell'Organizzazione degli stati americani. È la prima volta che succede. Sul piano interno, però, questi governi non hanno realizzato gran cosa. È quel che denunciano gli zapatisti riferendosi alla loro situazione e a quella del Messico in generale: si è conquistato qualcosa, ma ora è arrivato il momento di una seconda fase, in cui si decide di rischiare anche quel poco che si è ottenuto. È in questo contesto che apprezzo la loro analisi della figura di Lopez Obrador, che definiscono un derechista moderado, ponendolo sulla stessa linea di Lula e degli altri. In realtà, non dicono di non votare per lui, puntualizzano solo che non è la rivoluzione desiderata. Le parole di Marcos sono molto ben ponderate, non sono retorica ai quattro venti. Suppongo che, dopo la consulta, ci diranno quello che pensano di fare e ci inviteranno - almeno quelli che vorranno seguirli - alla seconda fase.

Lei sostiene che ci troviamo a un bivio storico, che la moneta sta in aria dagli anni `70, da quando è iniziata la crisi dell'impero americano e del sistema neoliberale. Quando cadrà la moneta? e cosa vede sulle due facce?

Potrebbero passare dieci, venti o trent'anni prima che la giocata sia conclusa. Quanto alle due facce della medaglia, le posso descrivere solo in un modo molto generale. Una delle due possibilità è un sistema diverso dal capitalismo, ma che ne riprende due aspetti centrali, gerarchia e polarizzazione. Non voglio chiamarlo un nuovo fascismo, perché evoca troppo Mussolini e il fascismo storico mentre in realtà sarebbe un sistema originale, non facile da definire, ma in cui chi gode di grandi privilegi riesce a conservarli. L'altra possibilità è un sistema relativamente democratico e ugualitario, che minimizzi la colonizzazione e le gerarchie, ma che non si può denominare socialismo né comunismo, perché farebbe pensare a realtà del passato mentre potrebbe avere un aspetto completamente diverso. È un sistema ancora tutto da creare, che nascerebbe da una situazione tumultuosa. Questa è l'alternativa in gioco: fra lo spirito di Davos e quello di Porto Alegre.

Si può vedere l'intervento Usa in Iraq come un nuovo Vietnam?

L'Iraq si sta rivelando peggio del Vietnam. Dal punto di vista dell'establishment statunitense, l'intervento in Iraq rappresenta il maggior disastro dalla fine della seconda guerra mondiale. Si è investito tutto nell'avventura irachena e non se ne ricaverà nulla. Pochi giorni fa lo stesso segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, mentre affermava che gli Usa non perderanno la guerra, ha ammesso che un eventuale ritiro Usa aprirebbe le porte alla possibilità di un governo addirittura peggiore di quello di Saddam Hussein. Vuol dire che si rende conto dei rischi impliciti nella situazione. Da noi si dice che he's whistling in the dark, sta fischiando nel buio per disperazione, simulando ottimismo.

Dopo la fine del bipolarismo, la società civile in movimento è davvero «la seconda superpotenza», come ha affermato il New York Times?

Mi sembra che negli ultimi cinque anni il Forum Sociale Mondiale abbia costituito l'unico spazio serio di azione della sinistra mondiale. Ora, però, bisogna andare avanti. Alcuni dicono che per avanzare bisogna creare un nuovo tipo di organizzazione, altri, più anarchizzanti, sostengono che vanno distrutte tutte le strutture autoritarie, perfino all'interno del Fsm. Altri ancora, che bisogna formare nuclei d'azione politica in seno al Forum. C'è chi dice che vanno create strutture più funzionali, che si occupino di problemi specifici come il commercio, l'ecologia, l'acqua. Ci sono molte tendenze e nessuna è in grado di dominare il campo. Ne risulta una situazione un po' confusa e di crisi. Per il prossimo anno si è deciso di non convocare un Forum mondiale, ma solo Forum regionali, rinviando il prossimo Forum mondiale, che si terrà in Africa, al 2007. Ci sarà una partecipazione significativa per allora? Usciranno proposte nuove e importanti sulla scena africana? In caso affermativo, nel 2008 il Forum sarà veramente the only game in town. Se no, assisteremo alla sua disgregazione.


Voto ai messicani all'estero

Quasi all'unanimità (455 deputati favorevoli e 6 contrari) il Congresso messicano ha riconosciuto il diritto di voto ai messicani residenti all'estero. Una decisione che consentirà a milioni di migranti negli Stati uniti di votare per le elezioni presidenziali dell'anno prossimo.


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