La Jornada - Domenica 28 agosto 2005
Figli dello zapatismo, in maggioranza, disponibili all'azione immediata
Senza protagonismo politico, più di 200 persone portano proposte all'EZLN
L'incontro più nutrito dei quattro: una riunione di gente senza paura
HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO

Comunità Autonoma Zapatista Juan Diego, Chis, 27 agosto - Postrupestri, postzapatisti, postmoderni, i figli del nuovo secolo, di varie tendenze anarchiche, o democratici diretti, hanno partecipato alla riunione più frequentata finora. Qui, ogni settimana arriva più gente alle riunioni. Ora, si sta tenendo nello spazio interno del vasto villaggio di San Miguel, enclave tzeltal dove incominciò nel 1994 l'incontro della stampa e della società civile con l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Bene, ora esiste un nuovo villaggio Juan Diego (chiamato così per un Juan ed un Diego caduti nel corso della guerra del sudest, e non per un qualche miracolo guadalupano). Siamo qui, sotto un tendone ed in una capanna aperta (senza la quarta parete), fatta di tavole e tegole, che funziona da palco e scenario, per il comando zapatista ed i conferenzieri, gli oratori o icantastorie che sono in duecento all'ordine del giorno. Un nuovo record numerico di gente in lista d'attesa per prendere sicuramente la parola, non importa a che ora.

Collettivi, brigate, antigruppi ed altre variabili della stele zapatista nelle città di tutto il Messico si uniscono oggi qui alle ong (più circospette), così come ai comitati dei diritti umani, ai gruppi cittadini come Paz con Democracia e ai progetti di uguaglianza sessuale. Un brodo di ragazzi, tanto nel campeggio sulla china, come durante le sessioni d’incontro. Dà, nei fatti, una risposta immediata all'alternativa esposta dal subcomandante Marcos all'inizio dell'incontro sulla maniera in cui si prenderanno le decisioni e sula direzione dell'altra campagna. Orizzontalmente, non dall’alto. Tra tutti.

La Brigada por la Esperanza Zapatista, di Puebla, direbbe: "Nessuno deve essere governato". Si tratta di un gruppo che ha osservato la corruzione profonda nell’università e nella classe politica poblana, insieme alla migrazione massiccia dai villaggi mixtecos ed all'incremento dei suicidi (uno ogni tre giorni nel 2005) a livelli storici. Non mi sono sembrati molto anarchici, ma il tono prevalente è stato quello di una forte autodeterminazione (sessuale, culturale, comunitaria) e di un altrettanto spiccato antiautoritarismo.

Il fatto di aderire alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona non presenta oggi nessun problema. Né il Foro Gay, né l’Alleanza Civica Chiapas, né il collettivo La Banqueta Izquierda, né Paz con Democracia hanno avuto tentennamenti ad unirsi all'altra campagna, perché la considerano già dall’inizio come il "loro" posto.

A nome del suo collettivo, un giovane di 27 anni, con una grande e nera maglietta del Che, illustra il percorso cronologico dalla sua infanzia ad oggi. I capitoli sono segnati dal terremoto del 1985, con il germe della solidarietà popolare, al movimento cardenista del 1988 che fu abbandonato dal suo stesso dirigente, e da lì all’insurrezione dell'EZLN nel 1994, alla difesa della dignità universitaria nel 1999 e dopo della dignità indigena nel 2001, per sboccare in questa preparazione dell'altra campagna. Dà abbastanza idea della materia di cui si compone la riunione, anche se ci sono pure dei contadini del Guerriero, gruppi binazionali, lesbiche radicali, soneros e huapangueros, storiografi braudeliani, ex ambasciatori ed ex funzionari ex-perredisti che non si sono mai allontanati dallo zapatismo.

"Abbiamo messo in marcia il pensiero zapatista", affermano senza vantarsene quelli di Homo Sapienz che sviluppano lavoro comunitario ed artistico nel Centro del DF. Il Centro dei Diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas, primo a prendere la parola, aveva detto che "l'altra politica inizia nell'esperienza delle giunte di buon governo e nei municipi autonomi zapatisti" e si era pronunciato per un "mai più" riguardante desaparecidos, torture, violazioni, sfollamenti, villaggi militarizzati.

Fra lo stupore di tutti, in questa amalgama Don Pablo González Casanova è riuscito ad incarnare la voce più alta, quella di tutti. "Questa è una cosa nuova", ha detto nel pomeriggio. "Una riunione politica dove invece di dire agli altri che cosa devono fare, si domanda loro che cosa stanno facendo. Questa è la meravigliosa lotta per la dignità, l'autonomia, che propone tutta la sua forza fisica", ha detto. L'hanno applaudito molto. La gioventù può essere ancora contagiosa.

Anche l'ex rettore dell'Università Nazionale Autonoma del Messico ha parlato come insegnate, come anziano che ha visto molte cose, ed ha ricordato il colpo di stato in Cile. "Non bisogna fidarsi" ha detto ai ragazzi. Ed ha parlato loro del mondo: della lotta mondiale che si libra anche qui, anche oggi. "Voi lo sapete e per questo motivo state qui. Come Don Pablo".

Gli interventi parlano di tutto. La "lotteria" di Iztacalco, un buffo numero del folclore contemporaneo, accende le risate così come si sono animate le simpatie per i collettivi La Curva, Ciudad Humana, Callejero, Brujas, Heberto Castillo, Abusos y Costumbres, Zopilotes Negros, Conciencia Crítica, Pintar Obedeciendo.

Le radio comunitarie La Voladora, Zapote e Pacheco si uniscono ad ONG che lavorano nelle comunità degli stati del sud, a gruppi ecologista e centri di studi sociali ed economici. "Se la Sesta non arriva alla gente, rimane un puro schema mentale", sintetizza un collettivo Sin Nombre (nella riunione ce n'erano due che si chiamavano così).

Nessun protagonismo politico, ma sì disponibilità immediata all'azione, alla performance esistenziale ed alla resistenza nel quartiere, nella scuola, negli spazi pubblici e nei comportamenti privati. In questa direzione vanno, una dopo l’altra, le proposte pratiche della maratona partecipativa dei più di 200, che al tramonto non erano ancora arrivati a metà.

Un collettivo di distributori di caffé delle comunità ribelli ha detto: "gli zapatisti sono la nostra coscienza critica". Così, semplicemente. L'avrebbe potuto dire la gran maggioranza dei presenti.

Radio Vacilón, trasmettendo via satellite dal territorio liberato zapatista, ha intonato una canzone sconosciuta in tutto il mondo: "Che lo vengano a vedere / che lo vengano a vedere / cambia di colore / e cambia anche pelle", dedicata a Vicente Fox. I 1.200 presenti ridono, applaudono, imparano il ritornello di quella "relazione".

Un clima da scampagnata con canzoni ritmate battendo le mani, musica e balli fino alle ore piccole va avanti insieme a discorsi, testimonianze, proclami che confermano l’adesione alla Sesta in modo talmente coerente, che alcuni si risparmiano pure di dirlo. Regna un clima di sollievo festivo, senza fardelli ideologici (col rischio, mi dice uno dei presenti, che il tutto risulti "poco politico", ed in termini convenzionali, sì: lo è). Probabilmente avrà a che vedere con la "nuova politica" che la nascente mobilitazione dello zapatismo dichiara di cercare.

Figli e nipoti

Paragonandola alle quattro riunioni precedenti, questa è organicamente la più zapatista: quasi senza eccezione, tutti i gruppi presenti sono nati dall’insurrezione ribelle, o dalle sue idee ed azioni. Sono figli dello zapatismo. Oppure, nipoti.

Ascoltano tutta la sfilza degli interventi, la Commissione Sesta dei comandanti zapatisti, il dispiegamento di insurgenti armati che accompagnano e scortano il subcomandante Marcos, e tutto allo stesso modo, con un'attenzione che va dal divertito allo stoico, perché anche in questo modo si allena la resistenza.

Donne ed uomini della comunità indigena si mescolano tranquillamente con l'estranea moltitudine che inonda i loro cortili: i bambini giocano coi visitatori e tra di loro. Le basi di appoggio zapatiste prestano attenzione a tutto, e quello che vedono e sentono, le rende allegre.

A ciò che fermenta qui mancano pochi gradi per diventare un happening e se non arriva a tanto è perché, anche se non sembra, tutti i presenti sono gente seria in quello che fa, che utilizzino o no la metodologia della tranquillità. Il Multiforo Alicia, la Quinta Brigada, il gruppo Timón (sequela del memorabile gruppo di donne professioniste Rosario Castellanos che nacque ed operò nei dialoghi di San Andrés), il peculiare universo delle ong nazionali ed internazionali di San Cristóbal de Las Casas, le bande di Guadalajara, Tlaxcala e Morelos. Alcuni rappresentano ciò che vien fuori quando il lavoro umanitario si politicizza; altri, con gli artigli, incarnano la quarta o quinta generazione dello zapatismo di Zapata in un mare di tatuaggi in posti insospettati del corpo e collane di cuoio (che potrebbero essere usate per un cane) che per loro esprimono libertà. Poi gli orecchini, i piercing, le borchie, i neri adesivi antifascisti. Alcuni sono graffittari. Il gruppo Tomas las Calles assume la precarietà come "progetto di vita" a partire dalla disoccupazione e dal lavoro temporaneo e sfruttato.

Una riunione di gente senza paura. Qualcuno si pronuncia perché "in ogni lotta ci sia sempre un artista". Ci sono quelli che intraprendono "l'altra campagna dall'altro lato", oppure parlano del loro collettivo a Los Angeles. Le frontiere non sono problema per il "mero zapatismo" non indigeno, che pure esiste e sembra farsi spazio in questo momento.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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