La Jornada - Domenica 28 agosto 2005
MARCOS NEGA CHE SI FACCIA IL GIOCO DELLA DESTRA O CHE SI FAVORISCA IL RITORNO DEL PRI
L'EZLN non è soggetto ai tempi del potere, "per questo sono disperati per il nostro modo di fare"
ELIO HENRIQUEZ - Corrispondente

Poblado Juan Diego, Chis., 27 agosto - L'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) non è soggetto ai tempi del potere, ma ha un proprio calendario che si "impone al calendario in alto", ha dichiarato il subcomandante Marcos. Ha ricordato che nel maggio del 1993, dopo uno scontro contro l'Esercito federale "qui in questa zona, le truppe zapatiste si ritirarono perché la sollevazione doveva iniziare quando lo avremmo deciso noi, non il nemico".

Davanti ad alcune migliaia di persone presenti alla quarta delle sei riunioni preparatorie per promuovere l'altra campagna, Marcos ha segnalato che nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona "ci sono poche cose definite e molte da definire", tra le quali "come organizzeremo la pazzia di percorrere tutto il paese per ascoltare ed imparare da chi è come noi e resiste e lotta".

Nell'unica allusione presente nel suo messaggio di oggi al PRD e al suo precandidato presidenziale Andrés Manuel López Obrador - che ha generato un ampio dibattito nelle settimane scorse per le sue critiche ad entrambi - il subcomandante ha sostenuto che l'argomento che l'EZLN "sta facendo il gioco alla destra e favorendo il ritorno del PRI, come se un giorno l'una e l'altro se ne fossero andati via, è una baggianata".

Per la prima volta nei quattro incontri, il dirigente ribelle è arrivato scortato da non meno di 20 guerriglieri armati, alle 10:15, per il suo incontro con 650 delegati di 220 organizzazioni non governative, gruppi e collettivi e 258 osservatori. Marcos è arrivato in mezzo a grida di "Zapata vive, la lotta continua", e "EZLN, EZLN", fino al palco dove qualche attimo prima avevano preso posto i 16 comandanti che fanno parte - insieme allo stesso sup - della Commissione Sesta per promuovere l'altra campagna.

Il primo a parlare è stato il comandante Simón che ha dato il benvenuto ed ha ringraziato per la presenza dei delegati ed osservatori. Quindi ha preso la parola la comandante Rosalinda che ha citato nome per nome le organizzazioni presenti.

Donne con "più forza"

Ha chiesto che siano rispettati i diritti e la cultura indigeni ed ha chiesto alle donne di lottare insieme affinché "abbiamo più forza per fare il nostro lavoro quando gli uomini si mettano di traverso". In risposta ha ricevuto una forte ovazione dal settore femminile presente in numero considerevole. È stata poi lei ha dare la parola al subcomandante che, come nelle riunioni precedenti, ha spiegato la meccanica dell'incontro e gli obiettivi della Sesta Dichiarazione: "Siamo qui per tirare fuori proposte che discuteremo insieme alle altre già segnate ed alle altre che saranno presentate nelle successive riunioni", il tutto nella riunione finale del 16 settembre.

Quindi ha comunicato che fino al 24 agosto hanno aderito all'altra campagna 48 organizzazioni politiche di sinistra, 95 organizzazioni indigene, 135 gruppi sociali, 287 ong, gruppi e collettivi, 1.079 individui singoli e 286 a livello internazionale.

Dopo aver rilevato che la maggioranza dei presenti all'incontro sono giovani, il sup ha riconosciuto ai presenti: "a noi sembra che con voi ci intendiamo bene" su qualcosa che "si è costruito, in alcuni casi da prima dell'inizio della nostra sollevazione" e perché in quasi 12 anni "abbiamo costruito, insieme, un linguaggio comune, un modo di parlarci ed ascoltarci".

Forse per questo, ha sottolineato Marcos, "non vi siete bevuti questa baggianata che stiamo facendo il gioco della destra e favorendo il ritorno del PRI".

Ha commentato che tra i presenti e l'EZLN "ci sono molte cose in comune: l'esperienza del lavoro in piccolo, quando si comincia avendo tutto contro, quel lavoro che è ignorato e disprezzato dai grandi" e non solo disprezzato, ma anche calunniato e denigrato, perseguito, imprigionato, come l'ecologista incarcerato a Guerrero, Felipe Arreaga, o assassinato fisicamente e moralmente, come Digna Ochoa e Pável González.

"Noi vediamo in voi più di uno specchio. La vostra ribellione. Il vostro sacrificio. Il vostro non aspettarsi nulla in cambio. Il vostro pagare rigorosamente la quota di ingresso richiesta dalla lotta per un posto per chi non ha un posto. Il vostro impegno per costruire qualcosa di meglio", ha aggiunto.

"Se qualcosa può definire, in sintesi, quelli che oggi sono qui, è il duplice sproposito che li anima: lo sproposito di intraprendere una lotta gigantesca e quello di farlo con un piccolo gruppo".

Conscio della presenza di rappresentanti di enti ufficiali, il subcomandante ha affermato: "sicuramente gli agenti che il governo, gli impresari ed i partiti politici hanno mandato per essere informati su quanto accade qui, dopo aver sentito noi e dopo aver ascoltato voi, scriveranno nel loro rapporto: 'falso allarme. Nulla di cui preoccuparsi. Sono pochi, sono pazzi, e non si rendono conto né dell'una né dell'altra cosa. Fine del rapporto' ".

Poi, ha dedicato una buona parte del suo messaggio a spiegare gli obiettivi della Sesta Dichiarazione e dell'altra campagna. La prima definisce una concezione della realtà, un'idea di com'è il mondo, il continente, il paese e l'orizzonte geografico immediato, ha precisato.

Quindi ha chiarito che la Sesta espone un problema: il limite dell'azione locale, ma anche una posizione di fronte a questo problema, quindi sceglie di "dire 'no' e dire 'sì'. No a cercare di organizzare sottomettendo le realtà in cui si colloca il proprio ambito", cioè, "no a far sì che un'organizzazione nazionale, continentale o mondiale assorba e subordini gli altri localmente, nazionalmente, continentalmente o mondialmente".

Ma propone anche "di riconoscere che nella realtà propria ed in quelle che questa include, ci sono altre forze, ovvero, organizzazioni con lo stesso pensiero e con il cuore nello stesso posto, cioè, a sinistra ma con diverse storie, esperienze, passati e presenti".

Marcos ha ribadito che la Sesta invita ad un'unione in cui si condividono i progetti presentati con una sfida: un'altro modo di fare politica, di costruire un programma nazionale di lotta di sinistra anticapitalista, una nuova Costituzione, "che è un'altro modo di dire, un nuovo accordo per una nuova società".

Ha affermato che la sfida per far funzionare la Sesta e l'altra campagna è quella di "trovare una figura ed un colore che non significhi sfumare né stingere quello che ognuno è, dovunque sia e con la sua storia. Una figura ed un colore che possa contenere tutte le figure ed i colori che si uniscono in una stessa direzione e con lo stesso obiettivo".

In questa parte, il sup si è riferito al problema della struttura organizzativa, poiché, essendo schematici, si aprono due grandi posizioni su quello che si deve fare per l'altra campagna. "Una, la struttura centralizzata per le decisioni e linee di azione: si fa questo e si fa così. Implica un centro di comando ed una periferia subordinata".

Questa, ha spiegato, è una struttura di quadri attraverso i quali "esce l'informazione ed 'il sentire' dei suoi ambiti di azione, i luoghi dove si muovono ed agiscono", il che significa che "in alto si elabora l'informazione ed il 'centro' interpreta queste informazioni e 'sentimenti'; prende decisioni e dà indicazioni".

Questa struttura, ha aggiunto, si basa sulla convinzione di punti chiave: un'identità che definisce, un obiettivo comune, una meta da raggiungere, un piano per procedere verso questa meta ed un piano per realizzare l'obiettivo comune.

L'altra, ha segnalato, è una struttura ampia, senza gerarchie, che traccia linee generali col consenso dei partecipanti e lascia all'iniziativa, alla creatività, all'immaginazione ed all'intelligenza di ogni persona o collettivo la realizzazione di queste linee. "Non c'è verticalità, ma orizzontalità. C'è accordo su un obiettivo comune ed ognuno nel proprio luogo e a modo suo, cioè in completa autonomia e indipendenza, procede verso questo obiettivo".

Detto quanto sopra, il dirigente ribelle ha raccontato la storia di questo nuovo villaggio zapatista Juan Diego, creato ad un lato della comunità San Miguel, dopo che nel 1995 le autorità autonome del municipio autonomo Francisco Gómez distribuirono le terre della finca Santa Rita, di 6.000 ettari, che si trovava su queste terre, ed il cui ultimo proprietario fu Adolfo Nájera Domínguez.

Raccontò che il padrone pagava 7 pesos agli indigeni per una giornata di dodici ore. 13 anni fa, ha detto, quando gli abitanti volevano andare a pescare, raccogliere lumache o tagliar legna, il padrone non lo permetteva attraverso le sue "guardias blancas".

Dopo aver raccontato una storia di vessazioni e maltrattamenti che il padrone infliggeva agli abitanti di San Miguel, Marcos ha fatto riferimento ad uno dei principali dirigenti indigeni dell'EZLN: Francisco Gómez, il cui nome di battaglia era Hugo, ma si faceva chiamare il "signor IK".

Ha raccontato che questo indigeno, che dà nome al municipio autonomo di questa zona, "con il suo parlare tranquillo spiegava (ai nativi della regione) lo sfruttamento, il disprezzo, la repressione", quando il movimento zapatista era ancora in formazione. Il sup ha raccontato che il "signor IK" diceva loro: "c'è una parola che si chiama zapatista e che dice che la terra è di chi la lavora e che dobbiamo organizzarci e lottare per la nostra libertà come contadini e come indigeni e come messicani quali siamo". Era un segreto che bisognava custodire.

Al termine della storia su Francisco Gómez, il subcomandante ha ricordato che nel maggio del 1993 sulla catena montuosa Corralchén, che si trova molto vicino a qui, l'EZLN aveva un quartier militare che si chiamava El Calabaza. "Una colonna di federali era entrata nella valle e, facendo base a La Garrucha, era salita in montagna dove le due formazioni si scontrarono con un saldo di tre militari ed uno zapatista - sconosciuto, si disse allora - morti", come pubblicò La Jornada giorni dopo. "Dopo alcuni combattimenti, le nostre truppe si ritirarono e furono accolte dagli abitanti di San Miguel e poi accompagnati da loro in una zona sicura", ha raccontato ed aggiunto: "quindi, tutto l'EZLN ripiegò. Secondo la nostra concezione, la sollevazione doveva iniziare quando lo avremmo deciso noi, non il nemico".

Già da molto tempo prima, ha concluso Marcos, "avevamo imparato che non dovevamo mai sottometterci ai tempi del potente, ma che dovevamo invece seguire il nostro calendario ed imporlo a quello dell'alto. Così abbiamo continuato a fare. Per questo sono disperati per il nostro modo di fare".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home