il manifesto - 27 settembre 2005
MESSICO
Dallo schianto di un elicottero emerge l'ombra dei narcos
Nel velivolo caduto la settimana scorsa viaggiavano i responsabili della lotta anti-criminalità del paese nord-americano - Carteles senza freni - Molti boss del narcotraffico continuano a imperversare, ordinando esecuzioni dall'interno delle carceri dove sono detenuti con tutti i privilegi
GIANNI PROIETTIS - CITTÀ DEL MESSICO

L'elicottero Bell 412 precipitato la settimana scorsa una trentina di chilometri da Città del Messico, con un bilancio di 9 vittime, non è solo l'infortunio più recente in un annus terribilis per la navigazione aerea. Data l'importanza dei passeggeri - quattro di loro erano i massimi responsabili della lotta alla criminalità nel paese - e il contesto in cui avviene - quello di una guerra crescente fra lo stato e i narcos - il sinistro assume le dimensioni di una catastrofe per la sicurezza nazionale, la stabilità delle istituzioni e lo stesso governo di Vicente Fox. Anche perché sono in molti a diffidare della tesi dell'incidente dovuto alla nebbia, divulgata con troppa fretta dalle autorità. «In attesa che le perizie stabiliscano la verità ufficiale, quello che è sicuro è che il narcotraffico sta alzando sempre più la mira nella scala istituzionale», scrive Julio Hernández López su La Jornada, il più autorevole giornale messicano. Di fatto, da quando il governo ha deciso, nel gennaio scorso, di usare la mano dura per rimettere ordine nel sistema carcerario, la reazione dei principali cárteles della droga è stata violentissima e ha prodotto più di mille esecuzioni dall'inizio dell'anno.

La situazione all'interno delle 452 prigioni messicane è allucinante. La popolazione carceraria è raddoppiata negli ultimi 10 anni, passando da 92mila a quasi 200mila reclusi. La corruzione permette incredibili privilegi e i capi continuano a dirigere i propri imperi dall'interno dei penitenziari, usano cellulari, stipendiano guardie e direttori.

Un tentativo di «disciplinare» alcuni boss detenuti in un carcere di massima sicurezza provocò a gennaio l'esecuzione, dopo tortura, di sei funzionari del penitenziario di Matamoros, fermati all'uscita dal lavoro da un commando di Beta, un corpo speciale passato al servizio dei narcos. L'esercito dovette circondare alcune carceri con blindati e militarizzare gli stati del nord. L'incauta offensiva del governo Fox ha mostrato con chiarezza qual è il primo potere in Messico.

Osiel Cárdenas, capo del cártel del Golfo, si era permesso di minacciare di morte, dal carcere di massima sicurezza di La Palma, vari funzionari governativi, fra cui un visitador della Commissione nazionale dei diritti umani, José Antonio Bernal Guerrero, che si trovava nell'elicottero precipitato. Ma le vittime di maggior rango istituzionale sono state Ramón Martín Huerta, segretario di pubblica sicurezza, e Tomás Valencia, capo della polizia federale. Il primo era anche amico fraterno e operatore politico del presidente Fox. Quando è caduto, l'elicottero si stava dirigendo proprio al carcere di La Palma, dove gli alti funzionari avrebbero dovuto inaugurare un nuovo corpo di sorveglianza e nuovi sistemi di sicurezza.

In un rapporto sulla situazione degli istituti di pena, il visitador Bernal Guerrero aveva denunciato l'anno scorso: «In quasi tutte le carceri si violano i diritti umani. Persistono la segregazione, i pestaggi, le violenze sessuali, la prostituzione e la vendita di ogni tipo di droga. Dall'interno delle carceri operano reti criminali organizzati, a cui partecipano ugualmente direttori e funzionari minori». Lo stesso giorno della disgrazia, definita «un golpe aereo», è stata diffusa la notizia della liberazione di Omar Romano, l'allenatore argentino della squadra di calcio Cruz Azul, rapito due mesi prima. Se l'intenzione delle autorità era quella di oscurare la caduta dell'elicottero esibendo un successo nella lotta al crimine, il giochetto non è riuscito: dalle prime indagini è emerso che il sequestro dell'allenatore era stato ideato dall'interno di un carcere, quello di Santa Marta Acatitla.

Mentre il portavoce presidenziale ha invitato a «non speculare» sull'ipotesi di attentato, la stampa nazionale non smette di evocare l'ombra del narcotraffico e la Commissione nazionale dei diritti umani preme per un'inchiesta a fondo condotta dai periti dell'aviazione civile. Per ora, è trapelata la versione di un incendio improvviso che si sarebbe prodotto all'interno della coda del velivolo, all'altezza del rotore.

Se si pensa che i narcos messicani, secondo l'Interpol, riciclano più di 60 miliardi di dollari l'anno nelle banche nordamericane, che dispongono di armi più moderne di quelle dell'esercito e che possono comprare generali, governatori e intere campagne presidenziali, si capisce in che ginepraio si è cacciato Fox.

Neanche a dire che in altri campi le cose vadano meglio. La perdita dell'autosufficienza alimentare, l'invasione delle multinazionali, la crescita di emigrazione, criminalità e disoccupazione, i maldestri tentativi di privatizzazione del petrolio e dell'energia elettrica, lo smantellamento di una tradizione dignitosa in politica estera, la crescente subordinazione a Washington hanno creato tutti i presupposti per una bruciante sconfitta elettorale nel 2006. Il Partido de Acción Nacional, espressione dell'estrema destra cattolica, ha giocato le sue carte, con il primo governo dell'alternanza dopo 72 anni di Pri, e ha perso.

Fox non è riuscito neanche a mantenere la promessa di far luce sui crimini di stato del passato. Pochi giorni fa, l'ultimo tentativo di processare l'ex-presidente Luis Echeverría per la strage di Tlatelolco (2 ottobre 1968) è fallito miseramente. Nel presentare l'accusa, il fiscal especial nominato da Fox ha scagionato completamente l'esercito, che fu l'esecutore materiale della strage di centinaia di studenti. «L'istituzione armata cadde in una trappola», ha affermato. Alla faccia della verità storica.

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