La Jornada - Venerdì 23 settembre 2005
Francisco López Bárcenas
L'invisibile lotta dei popoli indigeni

Non compaiono nelle relazioni ufficiali, ma esistono. Vogliono renderli di nuovo invisibili, ma loro insistono per essere visti; li vogliono quieti, ma allora è quando si muovono di più. Sono i popoli indigeni del Messico che come quelli dell'America Latina camminano sciolti, lottando per continuare ad essere quello che sono e per difendere quelli che considerano i loro diritti, anche se gli stati glieli negano nella legge. Ci sono state manifestazioni recenti in varie parti del paese.

In Guerriero si mobilitano per opporsi alla costruzione della diga La Parota, promossa tanto dal governo statale di filiazione perredista, come da quello federale panista che si sono impegnati a portare avanti quel progetto voluto dal gran capitale, messicano e transnazionale. Gli uni e gli altri tentano di convincere i villaggi che conviene loro vendere le terre e che se ne devono andare chissà dove alla ricerca di un migliore futuro per loro e per i loro discendenti, ma ostinati come sono si oppongono, perché sanno già com’è andata a finire con quelli che hanno accettato in altri tempi: decenni dopo continuano a non aver riscosso le loro indennità.

Lo stesso si è visto in Yucatan, governato dal PAN, mobilitatosi con lo slogan "Non nel nostro nome" per protestare contro il governo dello stato che vuole approvare una legge sui diritti indigeni che è una brutta copia della legge federale promossa all'inizio dal governo panista, nella quale con il pretesto di mantenere l'unità nazionale si trafugarono i diritti dei popoli indigeni.

È paradossale, ma lo stato che non ha detto nulla sulla riforma respinta dai popoli indigeni è uno dei pochi che si ricorda che la Costituzione federale li obbliga a riformare la loro costituzione per riconoscere i mutilati diritti indigeni incorporati nella Costituzione.

Allo stesso modo camminano in Oaxaca, resistendo alla repressione del governo di turno che, preoccupato di metter insieme alleanze sufficienti affinché Roberto Madrazo possa essere il candidato del Partito Rivoluzionario Istituzionale nelle prossime elezioni a presidente della Repubblica, non ha dubbi nell’applicare la politica del bastone e della carota, che tanto apprezzano i governi autoritari e dominati dai caciques: premi per ballare al ritmo deciso dall’alto, bastoni per quelli che osano annacquare la festa.

E se non siete convinti, domandate alla comunità di San Isidro Vista Hermosa, nella regione Mixteca, dove da anni sono molestati dalle autorità del municipio di Santa Cruz Nundaco, solo perché non accettano di sottomettersi alle loro decisioni autoritarie. Distruzione di case, bastonate, sequestri, violazioni di donne giovani sono il quotidiano e le autorità non fanno nulla per punire i responsabili.

Un altro metodo molto utilizzato è quello di provocare divisioni tra le comunità per sottometterle. San Pedro Yosotatu nella stessa regione mixteca ne è buon esempio. Nata da un conflitto agrario provocato dalla allora Procura Agraria per avviare Procede, la violenza è stata una costante negli ultimi dieci anni, nei quali si sono perse vite sia da un lato che dall’altro.

L'anno scorso si è tentato di raggiungere un accordo negoziato tra le comunità e quando stavano per arrivarci la Segreteria della Riforma Agraria ha convinto una parte della comunità a vendere tutto l’ejido, più di quanto gli invasori avevano come terreno loro. La maggioranza si è opposta ed i funzionari agrari si inventarono delle finte assemblee. Quelli che non erano d’accordo cercarono la difesa dalla giustizia federale e ci riuscirono: ora la loro pratica è al Tribunale Agrario e stanno cercando di annullare i finti verbali redatti senza di loro. Vogliono un accordo negoziato, ma non imposto da fuori ed ancor meno che implichi la perdita del loro patrimonio.

Possiamo continuare a fare esempi così di ogni tipo. Tutto questo mentre il Presidente che vuole passare alla storia come colui che ha portato la pace nella campagna, secondo le sue stesse parole, li ignora nel suo rapporto alla nazione ed i partiti politici fanno scena muta. E quando alcuni funzionari cercano di informare sulle politiche della trasversalità che dicono di portare avanti, quello che si vede sono numeri, non persone, ancor meno popoli.

Fanno male i funzionari ed i politici in dare per morti i popoli indigeni. Tra molti di loro esiste il fermo credo che quando i morti partono lasciando i loro conti pendenti ritornano sempre a riscuoterli. E la nazione non ha saldato ancora il suo debito storico con loro. Non succeda che un giorno, all’improvviso, ci appaiano e ci spaventino.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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