La Jornada - Sabato 23 Luglio 2005
Marcos Roitman Rosenmann
La transizione dal neoliberalismo

In America Latina si vivono tempi contraddittori. Continua l'azione del neoliberismo in un contesto di giorno in giorno sempre più ostile ai suoi postulati. Per 30 anni, dai '70 del secolo XX, i paesi della regione, ad eccezione di Cuba, hanno abbracciato l'ideologia di una seconda modernizzazione influenzati da un discorso messianico basato sui principi dell'economia di mercato e sulla critica alla democrazia sociale.

I suoi ideologi hanno presentato il progetto come parte di una rifondazione del capitalismo in mezzo ad una crisi economica di grandi proporzioni. Il nuovo fenomeno di un'inflazione ed una recessione contemporanee, sembrò essere il principio della fine dello Stato del benessere, e sulle sue rovine si articolò un progetto politico destinato a cambiare gli eventi: con una trasformazione radicale nelle modalità di accumulazione del capitale e nei rapporti sociali di produzione e con la sostituzione della vecchia classe dominante e della borghesia nazionalista.

Si richiedeva una nuova élite dirigente ed imprenditoriale non attaccata a valori ideosincretici e culturali nazionali, che disprezzasse le politiche pubbliche, apertamente antistatale e ideologicamente anticomunista. Questi sarebbero stati i predestinati a distruggere lo schema keynesiano di un capitalismo dal volto umano e pronti a lanciarsi nell'avventura del neoliberismo selvaggio.

Era il momento di passare all'offensiva e di imporre con la forza o col consenso, se si riusciva, una dinamica dove la razionalità e l'efficienza dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo fossero fissati nelle leggi di mercato e con una competitività senza limiti.

Le nuove élite imprenditoriali e politiche spostano il loro sguardo verso la trasformazione dell'ordine economico mondiale nel contesto di un capitalismo transnazionale che cerca imperiosamente di ricostruire la sua egemonia politica colpita dalle lotte antimperialiste e di liberazione nazionale in Africa, Asia, America Latina e Medio Oriente.

Il mondo della guerra fredda si trasforma. Gli Stati Uniti perdono la guerra nel sudest asiatico. Le sindromi del Vietnam e del Watergate, unite ad una forte depressione mondiale ed al rialzo dei prezzi del petrolio, fanno temere lo sfondamento dell'ordine mondiale. Molti hanno parlato di débacle del capitalismo. La paura ha fatto sì che cambiassero le cose. Per la prima volta, dopo gli anni '50, gli Stati Uniti si sono visti obbligati a condividere la loro leadership. Giappone ed Europa occidentale guadagnano protagonismo. La distribuzione del potere nel blocco capitalista si basa su un altro consenso.

È la nascita di un'organizzazione proposta dalla volontà di David Rockefeller, la Commissione Trilaterale, creata nell'ottobre del 1973. La sua composizione non lascia dubbi sui suoi obiettivi: impresari e banchieri, alte cariche delle amministrazioni politiche, ideologi e teorici della nuova destra e dirigenti sindacali di marcata impronta anticomunista. Per citare alcuni dei suoi membri ricordiamo: IBM, Hewlett-Packard, Xerox, Coca-Cola, EXXON, AFL-CIO, CBS, The New York Times, persone del Dipartimento di Stato, dell'amministrazione pubblica e dei servizi segreti di Europa occidentale, Stati Uniti e Giappone.

La sua prima relazione, con prologo di Zbigniew Brezezinski, è redatta nel 1975 da Samuel Huntington per la parte statunitense, Michel Crozier per quella europea e Joji Watanuki per quella giapponese. Da quel rapporto nascono concetti quali: democrazie tutelate, ristrette, governabilità ed ingovernabilità. Il suo titolo generico è: La crisi delle democrazie. Rapporto su governabilità e democrazia. Approvato dalla sua assemblea generale, diventò il suo testo programmatico. Da sottolineare: la critica all'influenza degli intellettuali, ai mezzi di comunicazione e alla mobilitazione dei settori marginali nella dinamica di governo.

Per la Trilaterale, il miglior ordine governabile - dice il rapporto - richiede generalmente misure per incentivare l'apatia ed il disimpegno della cittadinanza o dei gruppi di individui. Insomma, è necessario: smobilitare e disarticolare la società civile. Correggere gli eccessi della democrazia sociale e politica per imporre una democrazia di mercato sono al centro della strategia della commissione. Bisognava metter mano all'opera e realizzare una seconda modernizzazione del capitalismo.

Per l'America Latina, si confeziona un rapporto specifico: America Latina al crocevia, le sfide della Trilaterale. I suoi autori, l'ex ambasciatore statunitense in Cile, George Landau, presidente della Società delle Americhe; Julio Feo, presidente di Holmes and Marchant-Spagna e segretario generale della presidenza del governo socialdemocratico di Felipe González, e Akio Hosono, presidente dell'associazione del Giappone per gli studi latinoamericani. Il prologo è a cura dell'ex segretario della Cepal ed in quel momento presidente della Banca Interamericana di Sviluppo affinché prepari i verbali di morte delle politiche pubbliche e dell'azione sociale dello Stato proposti anni fa da lui stesso.

Nel paragrafo di raccomandazioni si segnala: "dato che le economie dei paesi della Trilaterale hanno fondamentalmente un carattere liberale, non saranno i nostri governi quelli che assegneranno le risorse nella quantità e tipologia che le nazioni della regione necessitano. Solo il settore privato dispone del capitale, della tecnologia e della perizia realmente necessari e, di fatto, la comunità imprenditoriale impegnerà queste risorse in quei paesi che abbiano creato le condizioni in cui si possano usare in maniera redditizia". Tutto è stato pensato.

Riforma dello Stato, apertura economica finanziaria e commerciale, preminenza del capitale privato per l'assegnazione delle risorse, flessibilità del mercato del lavoro e liberalizzazione del mercato del denaro. In definitiva, il progetto neoliberista.

Negli anni '90, in America Latina la modernizzazione sembrava essersi completata. Tutti i paesi, eccetto Cuba, avevano seguito alla lettera le raccomandazioni della Trilaterale, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, eccetera. Tuttavia, la disarticolazione dello Stato e l'applicazione delle proposte neoliberiste non hanno risolto nessun problema strutturale delle società latinoamericane.

La capacità di generare ricchezza, lavoro e benessere da parte degli impresari non è apparsa da nessuna parte. Le privatizzazioni e la riconversione industriale hanno indebolito lo Stato ed i servizi sociali. I cambiamenti nella struttura sociale e di potere hanno portato con loro un ordine oligarchico ed escludente, di maggior emarginazione, povertà e dipendenza economica dei paesi centrali. Il neoliberismo è stato un fallimento ed oggi si mettono in discussione i suoi principi.

È necessaria una nuova transizione che parta dal neoliberismo per la ricostruzione di uno Stato politico con una democrazia sociale capace di rompere il circolo neoliberista. Venezuela in primo luogo, Brasile, Uruguay e le lotte in Bolivia, Ecuador, Messico ed Argentina possono indicare il cammino verso le riforme e le rivoluzioni.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino e dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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