La Jornada 23 maggio 2005
Carlos Fazio
Il nodo chiapaneco

Da un paio di settimane, lavoratori della scuola e della sanità e diverse organizzazioni contadine, indigene e della resistenza civile chiapaneca sono in sciopero a Tuxtla Gutiérrez per respingere le politiche neoliberiste, federali e statali, volte a privatizzare i settori della sanità e dell'istruzione. Il movimento che si somma all'irruzione di nuovi attori in quest'entità del sudest messicano, sullo scenario di un conflitto armato irrisolto con l'EZLN, ha dovuto affrontare una tendenziosa campagna di propaganda orchestrata dal governatore del Chiapas, Pablo Salazar, che, fedele alla sua politica di ricorrere a pratiche repressive per "risolvere" i conflitti sociali, ha provveduto al licenziamento in massa di maestri e maestre.

La "contrainsurgencia economica" del governatore Salazar, vincolata all'imposizione dei piani neoliberisti nel contesto del Plan Puebla-Panama della Banca Mondiale e del Progetto di Sviluppo Sociale Integrato e Sostenibile nella Selva Lacandona (Prodesis), sotto l'ombrello dell'Unione Europea, ha un precedente nella chiusura dell'Istituto Normale Mactumactzá ed un lungo rosario di repressioni contro contadini della Casa del Popolo di Venustiano Carranza, la resistenza civile che chiede riduzioni delle tariffe della luce a Puerto Madero, Tapachula, e il movimento che protestava per l'imposizione di un presidente municipale del gruppo paramilitare Paz y Justicia a Tila, a cui si somma il caso di San José a Marqués de Comillas.

Un altro punto del conflitto in cui interviene Salazar ad un livello subordinato, poiché la sua "soluzione" ricade direttamente nell'ambito della Sicurezza Nazionale, è quello dei Montes Azules, dove il governo federale sta portando avanti l'espulsione forzosa di famiglie indigene, in maggioranza basi civili zapatiste. La zona è l'asse di una disputa intercapitalista ed interatlantica tra multinazionali, con casa madre negli Stati Uniti ed Europa, per le risorse energetiche e genetiche dell'entità, sotto il pretesto "conservazionista" e di "ecoturismo". Lotta nella quale si inseriscono la Legge sulla Biosicurezza (legge Monsanto), approvata dal Senato nel febbraio scorso, e l'acquisto della multinazionale Seminis, del Gruppo Saia-Pulsar del magnate messicano Alfonso Romo, precisamente da parte di Monsanto, leader mondiale di semi ed oleose geneticamente modificati, cosa che colloca questa società statunitense, favorita dall'amministrazione di Bush, all'ingresso meridionale della Riserva della Biosfera dei Montes Azules, ricchi di acqua, biodiversità e riserve forestali.

Questo cumulo di fattori si inserisce nella lunga tregua armata tra l'EZLN ed il governo federale. Il governo di Vicente Fox lo definisce "un conflitto di natura politica locale che ha ormai superato la fase di confronto armato". Per l'EZLN, invece, il conflitto è sfociato in una guerra di sterminio diretta contro le forme di vita e riproduzione comunitarie ed opera sotto la forma di una guerra di bassa intensità da parte di uno Stato che mantiene la logica militare come fattore dominante per imporre la sua soluzione. Di fronte a questo, il movimento zapatista definisce una strategia di resistenza attiva ed autonoma, e di accumulazione politica e territoriale di forze, rivolgendo il suo discorso ed azioni contro le fonti di legittimità dello Stato. Sostiene che le sue cause sono strutturali e nazionali, e che per risolverle è necessaria una profonda trasformazione dello Stato e del modello economico, a partire dal riconoscimento dei diritti indigeni, lotta che è oggi elemento di identità fondamentale del movimento.

A partire da questi concetti e dalle denunce presentate da diversi attori chiapanechi ad una missione del Gruppo Pace con Democrazia nel febbraio scorso, che alludono all'esistenza di un'azione bellica governativa sotto la modalità di "guerra integrale di logoramento" e che avvertono della riarticolazione dei gruppi di potere politico ed economico tradizionali e della riattivazione di bande paramilitari appoggiate dall'Esercito, dalla Pubblica Sicurezza e dal PRI locale e nazionale, si può concludere che il conflitto di tipo militare è tuttora in corso, nonostante questa componente non abbia operato in maniera intensiva e costante nello scontro tra le parti.

L'assenza delle forme della guerra aperta non indica il fine del conflitto ma, a partire dalla strategia dell'Esercito federale, questo si manifesta come una guerra contrainsurgente. Come parte del conflitto, il governo e l'esercito continuano ad agire con la logica militare ed autoritaria dello Stato che dispiega la sua forza in maniera sproporzionata: esistono 91 accampamenti militari solo nella zona di conflitto, area in cui l'esercito garantisce il controllo territoriale, amministra e canalizza la violenza e, secondo la congiuntura, può ricorrere di nuovo ad una fase di paramilitarizzazione. Mentre non ammette il carattere strutturale del conflitto, la dimensione nazionale e profonda delle sue cause, la capacità referenziale dell'EZLN per diversi settori della società messicana ed in particolare per i popoli indigeni, il governo ha optato per uno schema di sminuzione e di logoramento, cercando di imporre soluzioni a partire dalle sue diverse strutture di potere e dall'uso della forza.

La rapida virata strategica dell'EZLN verso la ponderazione della lotta politica ed ideologica dentro e fuori gli ambiti politici istituzionali, mantenendo una resistenza armata senza scontri cruenti nei territori sotto la sua influenza, così come il rafforzamento della sua capacità di comunicazione contro le fonti di legittimità dello Stato, stabiliscono una contesa non solo in termini di cause e progetti, ma modi di confronto e vie di soluzione.

È in questo contesto, in un anno pre-elettorale, che si inserisce l'attuale conflitto tra Pablo Salazar e diversi attori sociali del Chiapas, cosa che potrebbe essere il brodo di coltura di una nuova provocazione dello Stato a scopo destabilizzante.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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