22 dicembre 2005
VIII anniversario della strage di Acteal

Acteal, che inizialmente era una piccolissima comunità di 471 abitanti, sul ciglio della strada che comunica il Municipio di Chenalhò con la cittadina di Panthelhò, a circa un’ora e mezzo di auto da San Cristobal, nel ‘97 , in seguito ad un’ondata di sfollamenti nelle comunità limitrofe, dovuto all’inasprimento della tensione e alle minacce di bande paramilitari, accolse 52 famiglie zapatiste e 539 rifugiati appartenenti a Las Abejas che si organizzarono in due accampamenti, distinti ma limitrofi, che accettarono la presenza e l’aiuto umanitario della Croce Rossa Messicana oltre a ricevere un grande appoggio dalla solidarietà nazionale e internazionale.

L’organizzazione civile Las Abejas

Las Abejas (le Api) è un’organizzazione, fortemente legata alla Diocesi di San Cristobal, che riunisce famiglie appartenenti a diverse comunità indigene del municipio di Chenalhò, nella zona de Los Altos de Chiapas.

Nacque nel 1992 in occasione di una protesta contro la ingiusta reclusione di cinque contadini indigeni della comunità di Tzajalchén accusati, arbitrariamente, dell’omicidio di un proprietario terriero.

In seguito all’insurrezione dell’E.Z.L.N., i membri de Las Abejas si schierarono al loro fianco pur condannandone fermamente la scelta armata e per questo facevano parte di quella società civile organizzata che è stata negli anni la principale interlocutrice del movimento zapatista e che ne ha accompagnato la lotta quando questa si esplicitava con iniziative politiche non violente. Le modalità di protesta scelte da questa organizzazione si manifestano prevalentemente con marce e processioni, riunioni di preghiera e digiuno: Las Abejas hanno partecipato al cordone di pace durante le trattative di San Andrés e, nel ‘99 hanno organizzato una marcia a piedi da San Cristobal de Las Casas fino a Città del Messico per denunciare la situazione di violenza e chiedere una risoluzione giusta del conflitto del Chiapas, oltre a partecipare, attraverso le attuazioni del Coro di Acteal, alla Marcia Zapatista del 2001.

Durante l’autunno del 1997, le famiglie appartenenti a questa organizzazione, accusate di essere zapatiste perché si rifiutavano di cooperare economicamente per l’acquisto di armi, sono state costrette a fuggire dalle proprie comunità abbandonando le proprie case e terre a causa delle aggressioni delle bande paramilitari e delle altre famiglie legate al P.R.I.

Per sfuggire a queste minacce e ricatti, si sono riunite in tre accampamenti di rifugiati: Acteal, Tzajalchen e Xoyep.

Il 22 dicembre dello stesso anno, 32 donne e 13 uomini riuniti in preghiera e digiuno nella cappella dell’accampamento di Acteal, sono stati assassinati da uomini fortemente armati, riconosciuti successivamente dai sopravvissuti come appartenti alle bande paramilitari priiste che nelle settimane precedenti avevano bruciato le loro case e i raccolti.

Il racconto del 22 dicembre 1997

“Alle 11 incominciarono ad ascoltare gli spari; nessuno si mosse, non era la prima volta che ascoltavano spari. Il catechista provò a calmarli; Micaela cercò di zittire i suoi fratellini che cominciarono a piangere. Uomini e donne stavano inginocchiati, alcuni si alzarono e cominciarono a correre, altri furono colpiti li nella chiesetta. Qualcuno gridò che già erano circondati. La madre di Micaela alla fine decise di prendere in braccio i due piccoli, prenderla per mano e correre. Gli uomini già erano fuori della chiesa; Micaela riuscì a vedere attraverso il paliacate rosso alcuni uomini de Los Chorros. Sono priisti e cardenisti, le disse sua madre.

L’unica via di fuga era il dirupo, correrono da quella parte e fino a li li inseguirono. Il colpo arrivò alla mamma alle spalle, li trovarono per il pianto dei bambini, prima spararono alla madre e dopo ai due piccoli. Lei rimase sotto i loro corpi, per questo si salvò, non fece rumore, sentiva il peso del corpo caldo di sua mdre, non sapeva se era morta. Aveva paura, molta paura. Da questa posizione Micaela li vide, riconobbe Diego, Antonio, Pedro, “…erano molti, più di cinquanta, erano di Los Chorros, Pequichiquil, La Esperanza e anche di Acteal, erano vestiti di nero, con passamontagna, erano veri paramilitari, gli altri, i dirigenti, erano vestiti come militari…” racconterà successivamente nella sua testimonianza.

(…) Quando se ne andarono gli uomini Micaela si neascose al bordo del precipizio. Da li vide come ritornarono con mechetes, ero gli stessi più altri, scherzavano, ridevano, parlavano tra di loro “bisogna sterinare la semente”, dicevano. Svestirono le donne morte e le tagliarono i seni, ad una le infilarono un palo tra le gambe e alle donne incinte le aprirono il ventre e le tolsero i feti per giocare con essi, li tiravano di mechete in machete. Dopo se ne andarono”.

[“Antes y después de Acteal: voces, memorias y experiencias desde las mujeres de San Pedro Chenalhò” in La otra palabra pp. 30-31]


Estratto del comunicato stampa emesso dal Centro per i diritti Umani Fray Bartolomè de Las Casas il 21 de Diciembre de 2005

ACTEAL: Segno della transizione fallita

Ad un anno dalla fine della gestione del primo governo di alternanza, si compiono otto anni di impunità dello spaventoso crimine avvenuto il 22 dicembre del 1997 ad Acteal. Le vittime furono 49 indigeni asassinati (4 nenonati, 32 donne di cui 14 erano bambine tra gli 11 mesi e i 17 anni e 18 tra i 18 e i 65 anni, 4 bambini tra i 4 e i 15 anni e 8 uomini tra i 25 e i 68 anni); i famigliari e i feriti che continuano ad essere vittime, però furono vittime anche la Verità, la Giustizia e la società intera.
Acteal è uno dei volti del conflitto armato in Chiapas; Acteal è un segno della transizione fallita.

Dei 87 civili indigeni processati, sei hanno ottenuto sentenza, sei furono assolti, uno morì e i restanti sono tuttora sotto ptocesso. Ci sono ancora 27 ordini di arresto pendenti. Solo 15 funzionari di basso livello, la maggioranza poliziotti, sono stati processati. Due funzionari con ordini di cattura e due sono tuttora latitanti.

Le accuse per coloro che sono stati processati sono: omicidio, lesioni e detenzioni di armi di uso esclusivo dell’esercito. In modo sistematico, tanto nel massacro di Acteal come nei processi seguiti contro i lider paramilitari di Paz y Justizia nella Zona Norte del Chiapas, i giudici hanno eliminato il delitto di crimine organizzato e associazione a delinquere, ciò significa che dal punto di vista dell’apparato di giustizia i responsabili non sono una banda criminale, men che meno paramilitari, ne si accreditò il fatto che si erano organizzati preventivamente per commettere il massacro: per lo Stato Messicano, il massacro simultaneo di 49 persone ad Acteal su una coincidenza.

[Il comunicato stampa completo e informazioni dettagliate sulla situazione attuale dei processi seguiti al massacro di Acteal sono reperibili sul sito http://www.frayba.org.mx]


Le parole de “Las Abejas de Acteal” alla seconda riunione della Sexta
(Agosto 2005, Popoli indigeni)

“Rappresento i sopravvissuti al massacro di Acteal, avvenuto per una guerra di contrainsurgencia que disegnò il governo messicano. La organizzazione Las Abejas vi appoggia in questa lotta perché i governi non fanno quello che promettono. È una realtà. I governi anche se prenedono di offrire non possono farlo perché non sono loro che tengono questa necessità. Las Abejas dicono: si impegna per rubare quello che vuole.

Gli indigeni non lo fanno in questo modo, le autorità vengono dal basso e il popolo li mette sopra. Non è uguale che quelli che vogliono governare si lancino in una campagna in cui dicono che vogliono servire e poi non sanno farlo. Il popolo lo fa in un altro modo, chiede a un suo fratello di essere servitore del popolo.

Siamo qui per appoggiare questa lotta, perché non possiamo aspettare che alcuni promettono e promettono e non fanno nulla, meglio che si fermino. Continuiamo camminando come sempre abbiamo camminato. Io sono venuto per ascoltare le parole e per riportarle ai nostri fratelli, migliaia di Abejas che stanno aspettando, una parola veritiera per camminare uniti.

Questa mattina abbiamo già ascoltato di cosa si tratta la Sexta e la Otra Campagna: che prenderemo un cammino che sia il cammino di tutti gli indigeni; che non dobbiamo essere gli oggetti di quelli che pretendono governare e allo stesso tempo fare una chiamata: che non dobbiamo depositare la fiducia in coloro che pretendono di governare, perché non lo faranno. Non serviranno, non faranno il lavoro como vogliamo che sia fatto perché non vivono le cose come le stiamo vivendo noi.

Per questo sono venuto a portarvi queste parole, perché tutti i popoli indigeni di questo paese camminino uniti. Continuare a partecipare a questo spazio per analizzare insieme com’è il mondo che vogliamo, però non quello che intrpretiamo noi, quello che vuole veramente il popolo. E’ per questo che siamo venuti e continueremo a partecipare alla Otra campaña que è la campagna del popolo indigeno, non una campagna per ambizione di denaro, non per ambizione di rubare, non per opprimere il popolo indigeno. Grazie”.


La commemorazione dei martiri di Acteal (22 agosto2005)
Bianca Chiappino, scv Ipsia

“Ritorno ad Acteal per la terza volta in due anni ma per la prima volta ho deciso di venire apposta per assistere alla celebrazione che ogni 22 del mese ricorda il massacro di 45 persone indifese rinchiuse in una chiesa a pregare. Questa data nel corso di lunghi anni è diventato un appuntamento fisso per gli integranti della società civile Las Abejas che in alcuni casi affrontano camminate di molte ore per giungere qui dalle comunità più lontane. Scendendo dal taxi vengo accolta da un gran numero di indigene che sono venute apposta per vendere i prodotti del proprio orto e ricchi tamales di fagioli e mais. La maggior parte di loro non parla spagnolo e nonostante il gran numero di stranieri che ogni mese arrivano in questa occasione, si vergognano di parlare e di guardarli, non alzano gli occhi neanche per prendere i due pesos che porgo per comprare due piccoli tamales per la colazione. L’atmosfera è strana. Uno strano mix di raccoglimento e dolore da una parte e di allegra fiera campestre dall’altra. La maggior parte delle donne e degli uomini non smetterà di chiaccherare fra loro per tutto il tempo della celebrazione e all’inizio e alla fine molte donne mi avvicinano per cercare di vendermi, non il loro artigianato, ma le sciarpette colorate che si trovano al mercatino di Santo Domingo a San Cristobal e provenienti dal vicino Guatemala.

E poi c’è l’altra faccia della medaglia. Anzi, le altre faccie della medaglia. Innanzitutto la voglia di condivisione. Mi colgono di sorpresa quando prima di cominciare la messa tutti gli stranieri (e qui si intendono per stranieri tutti coloro che non sono Abejas, anche i messicani) vengono invitati ad avvicinarsi al microfono e a presentarsi a tutta la comunità. Non tutti lo fanno, molti di quelli che trovano il coraggio per alzarsi non è la prima volta che vengono qui, ma sono quasi degli abituè. E poi c’è la messa vera e propria, con i suoi canti e le sue preghiere più in tzotzil che in spagnolo, e soprattutto l’intervento della Mesa directiva e la predica. Entrambi discorsi fortemente politici e duri. La mesa directiva fa espilicito riferiemnto alla Sesta dichiarazione della Selva Lacandona e ricorda alla comunità che anche loro hanno aderito e si sono compromessi a seguire tutto il processo che seguirà con la otra campaña (ho pensato di inserire poco più avanti il discorso de Las Abejas alla seconda riunione della Sesta, quella riservata alle organizzazioni indigene). Questo intervento è anche il momento per comunicare che nelle comunità sta girando gente che si presenta come Abejas che sta raccogliendo soldi per costruire un orfanotrofio per gli orfani del massacro del 97 ma si tratta di impostori perchè tutti gli orfani sono stati affidati alle famiglie sopravvissute ed è la comunità tutta a farsi carico di loro. Anche la predica è una sorpresa, sempre mescolando spagnolo e tzotzil un preste meticcio proveniente da San Cristobal tuona parole di fuoco contro il potere e ricorda a tutti che il dovere del buon cristiano è sconfiggere il male e il male non è altro che l’ingiustizia e la sottomissione del più debole e quindi bisogna lottare con ancora più forza contro i politici e i potenti che ricoprono cariche solo per interesse e profitto personale e non per dare un servizio al popolo.

La fine della cerimonia, durata poco più di un’ora, è un'altra grande lezione. Il diacono della comunità ha chiesto di prendere i voti e diventare a sua volta prete ma perché questo possa avvenire c’è bisogno del consenso di tutta la comunità. Quello che segue è un susseguirsi di interventi, sempre rigorosamente in tzotzil, in cui vengono elogiate le capacità e le virtù del diacono. Alla fine la comunità darà il suo consenso”.

(a cura di Bianca Chiappino - IPSIA-Chiapas)

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