La Jornada - Mercoledì 22 giugno 2005
Adolfo Gilly
Il ristabilimento neoliberale dell'ordine

L'operazione Messico Sicuro che è cominciata con la militarizzazione della frontiera nord e con il coinvolgimento dell'Esercito in un'operazione di polizia interna, è uno dei gravi sintomi del processo di decomposizione dell'apparato statale; e, contemporaneamente, la confessione di fatto dei governanti di questo paese - tutti, i tre poteri, quelli che dicono che governano e quelli che dicono che stanno all'opposizione - che quello che sta succedendo è scappato loro di mano. La risposta atroce del narco ed i suoi alti patrocinatori lo conferma.

Più di 20 anni di distruzione neoliberale del Messico, di impoverimento senza limiti dei poveri ed arricchimento senza limiti dei ricchi, di distruzione delle fragili barriere protettive prima sopravviventi - previdenza sociale, salario minimo, pensione, proprietà ejidale, impiego formale, educazione, patrimonio pubblico, articoli terzo, 27 e 123, contratti collettivi -, e di sottomissione crescente dello Stato nazionale agli Stati Uniti, attraverso il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale ed il Trattato di Libero Commercio, ci hanno portato alla presente crisi, nella quale i politici dei tre grandi partiti - PRI, PAN, PRD - appaiono riversi, prostrati, confusi e, soprattutto, frivoli.

È un processo di disintegrazione graduale di una forma di Stato paragonabile, conservando le distanze, per ritmi e proporzioni, a quello che è successo e continua ad attraversare la Russia dopo lo smantellamento dell'Unione Sovietica. Con una differenza addizionale: il Messico confina con gli Stati Uniti e con l'incontenibile natura espansiva, perfino sotto forma territoriale, di questa potenza dalle sue stesse origini.

Da Porfirio Díaz d'ora in poi, l'Esercito messicano si costruì badando all'integrità del territorio, senza smettere di reprimere una e poi un'altra volta le resistenze indigene e popolari. Da lì l'opposizione di quell'esercito, nel passato, ad inviare i suoi quadri a formarsi nelle accademie militari del vicino paese. L'operazione Messico Sicuro, così come appare a prima vista, pretende ora far sì che l'esercito abbandoni del tutto quella funzione di difesa del territorio nazionale e si dedichi a proteggere la frontiera meridionale degli Stati Uniti contro un traffico di droga le cui finanze ed i cui beneficiari stanno ad ambo i lati di quella frontiera ed il cui mercato vive soprattutto al nord.

È un'abdicazione senza precedenti della sovranità nazionale a favore della nazione limitrofa, perché ha luogo sul piano militare, non solo più su quello finanziario, economico o commerciale, sui quali quella sovranità da un bel po' è stata messa in discussione. Tale abdicazione è subordinata alle operazioni geopolitiche in Messico, Mesoamerica e Caraibi che vanno avanti da parte della Casa Bianca e del Pentagono già da prima delle Torri Gemelle (2001) e della guerra all'Iraq (2003).

La grande potenza vicina avanza sul territorio messicano, suolo e sottosuolo, coltivazioni e biodiversità, acque e boschi, cieli e mari. La grande potenza ha bisogno del petrolio e delle risorse energetiche messicane, come ha bisogno dei suoi emigranti per premere al ribasso sui salari dei propri lavoratori. La grande potenza, come tutti sappiamo, tanto quanto del petrolio per i suoi macchinari, ha bisogno della droga per mantenere in funzionamento febbrile la moltitudine scardinata dei suoi quadri, imprigionati da quella combinazione di violenza e paura in cui hanno sommerso da tempo la loro società. La grande potenza, inoltre, è abituata ad utilizzare la droga nelle sue "operazioni speciali" contro chi, governi o movimenti, si rifiutano di piegarsi.

Ed il Messico continuerà ad essere trascinato in quella voragine? E continuerà l'irresponsabilità delle sue classi dirigenti davanti al passato ed al futuro della nazione e del suo popolo che segue il sentiero dei governanti e politici della Russia? E qualcuno crede che destinare l'esercito a compiti che toccherebbero alla polizia romperà i lacci che uniscono il narcotraffico a settori chiave delle finanze e della politica? Fino ad ora nessun politico, che io sappia, ha denunciato i fini e le conseguenze di questo utilizzo dell'Esercito nazionale nell'operazione Messico Sicuro ed almeno uno, Andrés Manuel López Obrador, ha dichiarato pubblicamente di esserne d’accordo.

No, in realtà non è credibile che nessuno l'ignori. È molto più verosimile che tra i fini non dichiarati di questo saggio ci sia un vasto disegno di "ristabilimento dell'ordine” da parte di una classe politica inabile in ognuna delle sue fazioni e nella sua totalità per la sua inettitudine di fronte ad una acuta crisi di tutto un regime statale esistente fino ad alcuni anni fa.

Quella stessa classe ha deciso di non dare importanza all'allerta rossa dichiarata dall'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Il senatore Diego Fernández de Cevallos l’ha considerata "pittoresca". Il capo di Governo del Distretto Federale, Andrés Manuel López Obrador, ha dichiarato ai giornalisti che non bisogna litigare: "L'allegria sta per arrivare. Non mi voglio mettere in questo… Lo sa che fa caldo, però dato che dormo in amaca, dormo bene e mi alzo fresco e di buon umore".

Quando un movimento indigeno, sempre minacciato dalla presenza militare e paramilitare, si mobilita e si dichiara in "allerta rossa", il minimo che qualcuno possa fare di serio, è prenderlo sul serio. Ma dall'alto della politica riceviamo solamente tali frivole risposte. Più responsabile risulta il commento che nella colonna Bajo reserva hanno scritto ieri i redattori de El Universal:

Non prendete alla leggera il pronunciamento di Marcos, dirigente dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: sia le critiche espresse questa domenica contro Andrés Manuel López Obrador, come la "allerta rossa" dichiarata ieri, lunedì. Rivedetevi il rapporto militare delle operazioni antidroga che ha effettuato l'Esercito nelle zone zapatiste e seguite da vicino le reazioni del PRD sul tema Marcos".

Anche ieri, 21 giugno, il Centro di Diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas ha emesso a San Cristóbal un comunicato nel quale denuncia "una gran concentrazione di effettivi ed equipaggiamento militari nel crocevia di Cuxuljá, sulla strada San Cristóbal-Ocosingo"; sottolinea il comunicato della Segreteria della Difesa Nazionale sulla distruzione di colture di marijuana "in zona di influenza zapatista" ed enumera gli spostamenti realizzati nella zona per l'Esercito "in quello che costituisce il maggior movimento militare dallo sgombero delle sette postazioni sollecitate dall’EZLN nel 2001".

Stando così le cose, è meglio non dimenticare che il comando zapatista si considera militare e quando pensa ad una azione lo fa in termini militari. Può, come chiunque altro, sbagliarsi nelle valutazioni. Ma non improvvisa, non gioca con le armi, non lancia invano una voce d'allarme, atteggiamenti che sarebbero suicidi per qualunque comando militare. Almeno, così è stato finora nei più di 11 anni del suo agire pubblico. Non c'è motivo di pensare che abbia cambiato, ma invece, piuttosto, che abbia accumulato esperienza e pazienza per muoversi a colpo sicuro su quel terreno.

La lotta per l’esautoramento - come pensammo fin dal suo inizio più di un anno fa in alcuni che abbiamo conservato tutto il tempo un tenace silenzio al riguardo - era una prova di forza reale tra i politici dell’alto, ogni fazione mobilitando le sue forze nei media, nell'apparato statale o per strade, e contemporaneamente fu un reality show destinato a finire ineluttabilmente in un accordo di cupola tra le parti, una volta dispiegate le risorse di ogni bando, perché non potevano far altra cosa se non volevano distruggere la legittimità già tarlata delle loro istituzioni. E, in effetti, a dispetto del voto dei 360 buffoni nella Camera dei Deputati, in definitiva non ci fu esautoramento, cioè la destituzione del capo di Governo della Città del Messico. Il Presidente destituì il suo procuratore generale, il capo di Governo smobilitò la sua moltitudine di appoggio e li mandò a casa fino a nuovo ordine.

Come tutti sappiamo pure, anche se i protagonisti vogliono prenderci in giro e negarlo, l'accordo si raggiunse in varie riunioni tra domenica 24 aprile ed il posteriore ripiegamento del presidente Fox e del suo governo. Quello che non sappiamo sono i termini precisi di quegli accordi: che cosa ottenne e che cosa concesse ogni fazione, quali furono le pressioni esterne su entrambi le parti (riflesse negli editoriali della grande stampa straniera) ed a che cosa si impegnò ognuna delle parti di fronte alle esigenze delle cupole di fuori e di dentro, cupole tra le quali molte volte è difficile trovare la linea divisoria.

Quello che sì ci risulta evidente è che la sostanza dell'accordo, una volta stabilita la nuova e sempre provvisoria relazione di forze lassù, è un compromesso tra tutti per "il ristabilimento dell'ordine". Ristabilire l'ordine perso nel regime politico messicano significa varie cose, ma tre di esse inconfondibili: recuperare per il tarlato comando del regime politico (PRI e PAN) la capitale della Repubblica, questa Città del Messico che dal 1988 vota loro contro; recuperare tutto il territorio del Chiapas, dove dal 1994 sono in ribellione autonoma le comunità zapatiste; mettere ordine nelle caotiche dispute interne della classe dirigente, affinché non si riprendano dalla sorpresa quelli di sotto.

Per il recupero della città, la candidatura priísta-salinista di Marcelo Ebrard sembra essere la strada eletta, anche se forse non è l'unica. Per il recupero del territorio chiapaneco, può servire l'estensione al sud dall'operazione Messico Sicuro: cioè, una militarizzazione accentuata della frontiera meridionale con la stessa scusa della droga utilizzata dagli Stati Uniti per intervenire in Colombia, in Bolivia, in Perù e chissà dove ancora. Per mettere ordine nelle sue file, bisognerebbe evitare sorprese elettorali.

Con la collaborazione del PRD, i cui candidati a governatore hanno una sistematica origine imprenditoriale (in Guerriero e nello Stato del Messico) o priísta (in Tlaxcala, in Nayarit ed in Hidalgo), quel ristabilimento dell'ordine o quel nuovo ordine politico-sociale neoliberale sarebbe - loro credono - assicurato.

Il comunicato del subcomandante Marcos del 19 giugno dice:
L'immagine di Carlos Salinas de Gortari costruita da Andrés Manuel López Obrador è, in realtà, uno specchio. Per questo il suo programma è così vicino a quello del "liberalismo sociale" del salinismo. Ho detto ‘vicino’? Piuttosto, la continuazione di quel programma. López Obrador non sta pensando di realizzare il suo progetto in un solo sessennio (per questo la sua squadra è la stessa di quel celebre che disse "governeremo per molti anni"). E, contrariamente a quanto pensa qualcuno, López Obrador non promette di ritornare al passato populista che tanto atterrisce il potere economico. No, López Obrador promuove una mediazione ed un'amministrazione "moderne" (cioè, di finire quanto lasciato in sospeso da Salinas de Gortari). Ed ancora: offre di creare le basi di uno Stato "moderno", per questo si sforza di differenziarsi da Lula, Chávez, Castro e Tabaré. E l'offerta non la fa a quelli che stanno in basso o a quello che rimane della Nazione messicana, ma a chi comanda in realtà: il potere finanziario internazionale”.

Un ultimo comunicato del CCRI, il 20 giugno, spiega che l'allerta rossa è una precauzione per evitare tradimenti - come quello di Zedillo nel febbraio del 1995 - mentre sta realizzando una consultazione generale dei suoi comandi, delle sue truppe e delle basi di appoggio sull'attuale situazione nazionale. L'intenzione è di proporre loro "un passo che implica, tra altre cose, arrischiarsi a perdere quel molto o poco che si è riusciti ad ottenere e che si acutizzino la persecuzione e la repressione contro le comunità zapatiste". Facendolo, aggiunge, l'EZLN restituisce ai suoi membri la parola impegnata nel gennaio 1994 e concede a tutti "la libertà morale di proseguire o non con l'EZLN nel seguente passo che è in consulta, se approvato dalla maggioranza".

Se questo è il panorama, è ora di mettere da parte le frivolezze azzurri, tricolori o gialle e prendere molto sul serio questa riflessiva ed argomentata iniziativa dell'EZLN.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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