La Jornada 15 gennaio 2005
Andrés Aubry
Chiapas e la politica delle armi

La memoria dei chiapanechi sulla politica delle armi incominciò 28 anni fa, nel 1976, quando non esisteva lo zapatismo neppure nella sua fase clandestina. In quell'anno lontano, militari su veicoli delle agenzie dell'Organizzazione delle Nazioni Unite ospitate dal Programma di Sviluppo Economico e Sociale degli Altos del Chiapas (Prodesch), oggi Segreteria dei Popoli Indigeni (Sepi, nello stesso locale), spararono su contadini di Venustiano Carranza; lo stesso anno si apriva la breccia di San Quintín (oggi sappiamo perché).

Nei 20 anni che separano la definizione della VII Zona Militare al comando del generale Hernández Toledo nel 1977 e la ferita ancora aperta del 22 dicembre 1997, cioè tra i due massacri di Tlaltelolco e di Acteal, il Chiapas, vergognosamente, ha detto sì
alla politica delle armi.

Dalla 83a Brigata di Fanteria, quell'anno sarebbero usciti gli istruttori per l'addestramento dei paramilitari che, sebbene presumibilmente inesistenti, agirono nella cappella del villaggio tzotzil.

27 anni fa, nel 1978, San Cristobal de Las Casas festeggiava il 450° anniversario della sua fondazione.

Lo celebrò con una sfilata di 3 mila soldati e 14 aerei militari che sganciarono 200 paracadutisti sulla città in festa. Per la circostanza, il municipio invitò un personaggio famoso, l'ora defunto generale Galván, titolare della Segreteria della Difesa Nazionale. Dal microfono del palazzo municipale commentava la sfilata militare. Le sue parole sono registrate: l'Esercito - diceva - "continua a costruire strade nella selva, trasformando l'uniforme verde oliva con il camice bianco dell'infermiere".

Effettivamente, in quei tempi di governatori ad interim, era il comando militare che decideva quale strada aprire o che ponte costruire nella selva e già si subiva l'opera sociale dell'Esercito; in tempo di pace, un vuoto politico riempito dall'istituzione armata.

Quello stesso anno, il presidente José López Portillo, anch'egli invitato alla festa, ci disse che il Chiapas aveva il record federale della spesa sociale (solfa ripetuta fino ad oggi, con quali risultati?). Due anni più tardi, ci fu il massacro di Bolonchán, quando ancora non c'era neppure l'ombra degli zapatisti.

Lenta ma inesorabile, si stava covando l'idea di una risposta popolare maturata poi nel 1994: "dichiarare la guerra alla guerra".

Questo non "è cosa del passato", perché ancora oggi, negli Altos, nella selva e nella zona nord, le autorità civili che hanno "le armi della politica" si eclissano davanti "alla politica delle armi".

Poco tempo fa, i due vescovi, l'emerito Don Samuel Ruiz e l'attuale itolare don Felipe Arizmendi, hanno denunciato pubblicamente, ognuno col proprio vocabolario, che esistono di nuovo le condizioni per un altro Acteal; effettivamente, esistono ancora sfollati, armi esclusive dell'Esercito per vessarli con la complicità dei soldati, e morti.

Dal 12 gennaio del 1994, accettando la tregua ed i successivi dialoghi, lo zapatismo ha detto sì alla parola; ma questo sì è un no al denaro (anche a quello della maggiore spesa sociale della Federazione) di cui non accetta una briciola; un no al cosiddetto sviluppo che costruisce strade per posti di blocco, pattugliamenti militari o turisti "ecologici" e avventoris; un no a cliniche per praticanti senza acqua né medicina; un no a scuole senza maestri né libri, quaderni o matite; un no al bestiame che si contende appezzamenti di terreno con gli ejidatarios per mangiare; un no ai fertilizzanti chimici che impoveriscono i terreni ed al traffico di semi che sono un insult al patrimonio genetico del luogo di origine.

Questi compiti, le giunte di buon governo li sanno svolgere meglio degli enti ufficiali, senza imitarli, con un altro concetto di sviluppo, con opzioni alternative e perfino senza denaro. Dunque, le armi della politica non devono neppure mimare lo zapatismo ma, al contrario, devono creare ciò che questo non ha né la possibilità né i mezzi per farlo.

Crederemo nel sì alla politica quando le scandalose installazioni militari di Toniná e San Quintín saranno confiscate alla guerra per ospitare il materiale scientifico ed il personale (non di praticanti ma di sperimentati professionisti) per svolgere ricerca nelle sue biblioteche specializzate, sperimentare nei suoi laboratori e risolvere sul campo i problemi mal studiati della medicina e l'agricoltura tropicali, o della ricerca forestale (ovviamente alternativa a quella di Conservation International) con l'obiettivo della gestione agrosilvestre della foresta tropicale.

Poiché esiste già l'infrastruttura di edifici, acqua, luce, viabilità e terreni per la sperimentazione (con un forte risparmio per l'erario), basterebbe cambiare il personale militare con maestri e ricercatori civili selezionati.

Un ossequio delle "armi della politica" alla pace...

Una spesa militare barattata con borse di studio per dottorandi, studenti, ricercatori, professionalizzazione di contadini, in collegamento con le organizzazioni che già lo stanno pensando dalle basi, senza ingerenza delle multinazionali. La selva,"terra di guerra" come già la chiamava Las Casas, mutata in campus universitario di pace, per una scienza con coscienza per contadini che la subiscono da 500 anni.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" di Bergamo)

logo

Indice delle Notizie dal Messico


home