La Jornada 12 giugno 2005
La postazione fu installata nel 1998 per la minaccia di attacchi paramilitari
L'ESERCITO RITIRA UN ALTRO ACCAMPAMENTO A CHENALHO': È IL SECONDO RITIRO IN UN MESE
ELIO HENRIQUEZ - Corrispondente

Xo'yep, Municipio di Chenalhó, Chis., 11 giugno - L'Esercito ha ritirato l'accampamento che dal gennaio del 1998 aveva installato in questa comunità abitata da indigeni appartenenti all'organizzazione civile Las Abejasi e divenuta un simbolo della resistenza da quando le donne, sette anni e mezzo fa, ostacolarono l'avanzata dei militari.

Con quello di Xo'yep, in 30 giorni sono già due gli accampamenti militari che si ritirano dal municipio di Chenalhó, il più militarizzato del Chiapas, visto che l'11 maggio scorso è stato smantellato quello di Los Chorros.

Antonio Vázquez Gómez, ex dirigente di Las Abejas, ha comunicato che il ritiro da Xo'yep è iniziato il 6 giugno: "Alle 4:30 del pomeriggio se ne sono andati su tre camion grandi e due piccoli".

Ha precisato che il giorno dopo i soldati sono ritornati per smantellare i recinti di filo spinato intorno all'accampamento e per tutta la settimana sono venuti a ripulire il posto. Gli ultimi soldati sono stati qui ieri per riempire di terra le fosse utilizzate come trincee per vigilare l'accampamento.

La postazione militare fu installata il 3 gennaio 1998, dopo di insistenti voci che i paramilitari - che avevano appena assassinato 45 indigeni iad Acteal - avrebbero attaccato i più di mille tzotziles di Los Chorros, Puebla, Yaxgemel, Yiveljó e Chuchtic, che erano sfollati in questa comunità per paura di essere aggrediti dai paramilitari priíiti, e che sono poi tornati nei luoghi di origine nel 2002.

Ma qui si scontrarono con la tenace resistenza degli abitanti, principalmente delle donne. Una delle quali, bassina di statura e vestita col suo abito tradizionale, fu immortalata dalla macchina fotografica di Pedro Valtierra mentre spingeva un corpulento soldato per ostacolare il suo passaggio. Nei giorni successivi l'immagine fece il giro del mondo ed il reporter ottenne per questo scatto il Premio Nazionale di Giornalismo.

"La gente uscì per fermare l'Esercito perché era appena accaduto il massacro di Acteal e quello che meno voleva era vedere armi, soldati o poliziotti perché proprio loro erano stati complici del massacro", ricorda oggi l'ex dirigente di Las Abejas.

Oggi che l'accampamento è vuoto, l'indigeno priista Enrique Pérez - il cui padre Juan Pérez Chen riceveva 500 pesos al mese per l'affitto della proprietà - sua moglie ed altri parenti passeggiano sconsolati dove i soldati hanno lasciato intatte una dozzina di case costruite con legno e lamiera, che, hanno detto loro i militari, potranno utilizzare.

"Il giorno che i soldati se ne sono andati, le donne priiste (parenti del padrone del terreno) hanno pianto perché non riceveranno più soldi per la vendita di cibo, bibite, biscotti, sigarette ed altre cose nel negozio posizionato a lato dell'accampamento", dice Vázquez Pérez.

Vestito con i suoi abiti tradizionali e con un machete in mano, Enrique Pérez dice, secondo la traduzione di Antonio Vázquez, poiché egli non parla spagnolo: "Lui e la sua famiglia pensano che non sono venuti qui a sporcare la terra invano, ma a causa causa della guerra; sono venuti per calmare la situazione. Per questo, anche se hanno fatto danno... è stato per una buona causa".

Nel posto - che ha un eliporto - il campo di pallacanestro che utilizzavano i militari è intatto, salvo i canestri che sono stati rimossi, e così altri spazi e camminamenti cementati. Le case, con pavimento di cemento, sono in piedi ma al loro interno non c'è niente. Solo in una c'è un cesso ed in altra un mobile di legno che somiglia un tavolo. La luce la prendevano
da una linea e l'acqua da un pozzo vicino o la portavano con serbatoi o botti.

Antonio Vázquez racconta che quando i federali hanno iniziato ad abbandonare l'accampamento, lui chiese ad uno dei capi le ragioni del loro ritiro, ma lui rispose solo: "sono ordini dall'alto". Gli riferì anche che presto sarebbero stati smantellati gli accampamenti nelle comunità di Yiveljó e Takiukum.

Sostiene che con o senza la presenza dei militari "la paura di attacchi dei paramilitari c'è sempre, perché dicono che se non smettiamo di volere l'arresto di tutti i responsabili del massacro, ci attaccheranno".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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