La Jornada - Masiosare, 10 aprile 2005
CRONACA DI UNA "CANAGLIATA"
Arturo Cano

Priisti e panisti sono sicuri che in due mesi il "movimento di resistenza" di Andrés Manuel López Obrador sarà solo un cattivo ricordo. Non prevedono nessun altro scenario, dice uno dei fautori del lopezobradorismo. Per le strade e nei loro quartieri, gli esautorati giurano che la battaglia sarà lunga e che si manterrà viva fino a luglio del 2006. Frattanto, i fantasmi della provocazione e la guerra senza quartiere domineranno lo scenario nazionale. La "resistenza civile pacifica" avrà la sua prova del fuoco. Si vedrà se la storia comincia dove i lettori di Macchiavelli vorrebbero finirla.

"Comuníquese en sus términos", cala la ghigliottina il deputato Manlio Fabio Beltrones. Felici i priisti, sicuri di aver tolto di mezzo il loro avversario più scomodo.

È giovedì 7 aprile, ma non è il giorno di Beltrones né di nessun altro dei 359 deputati che l'accompagnano nel voto a favore dell'esautoramento. È il giorno di Andrés Manuel López Obrador e così resterà nei media di tutto il mondo. È il costo da pagare, ammettono priisti e panisti. La cosa importante è che non durerà. Il PAN, il PRI e Los Pinos danno due mesi di vita al "movimento di resistenza" di López Obrador.

Funzionari del governo foxista, dirigenti del PRI e del PAN hanno confidato questo calcolo a Marcelo Ebrard, l'ex capo di polizia ed oggi segretario di Sviluppo Sociale del governo del DF. "La cosa sorprendente è che non prevedono altro che la resistenza non durerà più di due mesi, non vedono nessun altro scenario, è incredibile", dice Ebrard alla vigilia dell'esautoramento.

Per strada, le milizie perrediste e/o lopezobradoriste fanno un'altra scommessa. "Non ci stancheremo. Fino al 2006 saremo con lui", dice Sonia Hernández Villarreal, un'ex impiegata di Bancomer licenziata dopo 29 anni di lavoro con una quarta parte della liquidazione che le sarebbe spettata per legge. Come lei, sono molti che il pomeriggio di giovedì si radunano tra la folla nello Zocalo perché vogliono seguire lì, sugli schermi giganti, la sessione della Camera dei Deputati.

Il governo federale, calcola Ebrard, può spingere affinché in tre o quattro mesi si concluda il processo penale. Ma, ugualmente, "se il movimento cresce, possono non essere interessati ad una sentenza rapida".

Il movimento "in crescita" ha i suoi sostenitori. Come minimizzare la sconfitta? Come mantenere la protesta nell'ambito della "resistenza civile pacifica" tracciato da López Obrador, quando andrà in carcere?

"Semplicemente, non si manterrà sempre un clima di tensione", dice Jesús, sottosegretario di Governo.

Il problema è che anche i duri giocano. Lo sanno nel PRD, nel GDF (Governo di Città del Messico), nel lopezobradorismo.

Non scartano, per esempio, "azioni" per destabilizzare il governo capitolino come una strategia per "dichiarare la scomparsa di potere" nella capitale. Le vecchie e nuove destre possono andare più a fondo: bombe, provocatori nelle manifestazioni, alcuni funzionari del governo del DF prevedono questo ed altro.

Altri, più ottimisti, credono che il prossimo luglio sarà un bel mese per i primi comizi interni del PRD.

"La sola cosa che stanno facendo è anticipare la campagna presidenziale", dice Marcelo Ebrard.

I pompieri

Spengono gli incendi. Dal Giorno del Giudizio, com'è stato battezzato venerdì 1° aprile dalla riunione della sezione istruttoria, i funzionari del governo del DF devono frenare gli scalmanati tra le proprie file, e non solo nella capitale.

"Per favore, non bloccate niente", hanno dovuto chiedere ad alcuni esagitati di Tamaulipas che proponevano di chiudere i ponti alla frontiera.

Un altro caso: è stata bocciata la bozza di un volantino di alcuni perredisti di Tlalpan, in cui apparivano un'urna ed un fucile, accompagnati dalla scritta "Che strada preferisci che prendiamo?".

A questi scalmanati è rivolto parte del discorso di López Obrador di giovedì nello Zocalo: "Niente blocchi di vie o strade; niente occupazioni di strutture pubbliche o private. Niente che significhi agire come i nostri avversari hanno pianificato e previsto".

Il Giorno del Giudizio

La mattina del 1 aprile, López Obrador risponde per l'ennesima volta alla domanda se sarà esautorato. "Tutto indica che sarà così".

Tre giorni più tardi, il segretario di Governo Alejandro Encinas non ha "nessuna speranza. Può essere che qualche priista solitario voti a sorpresa, che qualche panista sia assente, ma la decisione è presa".

E così è.

Venerdì 1, López Obrador è ancora nel suo ufficio. Dedica lunghe ore a "perfezionare il suo discorso" per il giorno dell'esautoramento. Alcuni dei suoi più stretti collaboratori e i membri del gabinetto di sicurezza entrano ed escono. Arriva anche Manuel Camacho.

Da quando è arrivato alla direzione del Governo, López Obrador sveglia i giornalisti. Dopo le sue conferenze mattiniere di solo pochi minuti o di oltre un'ora, López Obrador si riunisce col suo gabinetto.

Nel Giorno del Giudizio il tema è uno: la go-ver-na-bi-li-tà della capitale dopo l'esautoramento è un dato di fatto.

"Non possiamo permettere che si interrompano i servizi"; "non possiamo danneggiare la gente di questa città che è stata tanto generosa con noi", sono alcune delle sue parole.

Quel pomeriggio, dopo l'annuncio della Sezione Istruttoria, legge un messaggio ai media. Poi, si affaccia brevemente ad uno dai balconi dell'antico municipio. E torna a casa.

La piccola moltitudine quasi schiaccia il suo emblematico Tsuru, su cui se ne va da Pino Suárez accompagnato da José María Pérez Gay.

Alcune migliaia di persone si radunano nella piazza. Qua e là cominciano ad apparire i cartelli con scritte come "verseremo il nostro sangue". Il grido più frequente è "se c'è esautoramento ci sarà rivoluzione!". Deputati federali e locali, dirigenti del PRD, si impossessano di un chiosco.

"Sentite bene tutti quanti, questo è un movimento pacifico e ci dissociamo fin d'ora da qualsiasi azione violenta", rimarca Martí Batres che, con Leonel Cota, farà parte del comitato nominato da López Obrador per governare in sua assenza.

A dispetto delle forme e di Cuauhtémoc Cárdenas, Batres è esplicito: "Andrés Manuel sarà il nostro candidato alla presidenza anche dalla prigione".

Giovedì 7, López Obrador formalizza quanto già noto: affronta la disputa.

La carretta

Perché credere che il governo foxista voglia una soluzione repressiva vista, per esempio, la sua azione ad Atenco?

Risponde un alto funzionario del GDF: "Questo è diverso, questa è la lotta per il potere. Ed il loro problema è che adesso noi siamo maggioranza".

La violenza può venire da coloro che si sono dichiarati in resistenza? Possono esserci derive?

Marcelo Ebrard dice che "non giocheremo al gioco che vogliono loro", ma ammette anche che "la gente ha molti pregiudizi, e se non è chiara quale sia la direzione da prendere..."

Nel suo discorso di giovedì, López Obrador traccia più che il piano d'azione, le linee di comportamento della "resistenza" e nomina anche un "comitato di gestione": due membri del PRD che lui non nomina ma che saranno Leonel Cota e Martí Batres, dirigenti eletti, oltre a José Agustín Ortiz Pinchetti, Elena Poniatowska e Bertha La Chaneca Maldonado.

La prima riunione del comitato avviene il giorno seguente, venerdì 8.
Sarà realmente lo Stato Maggiore? "Come le zucche, la direzione del movimento tirerà la carretta", dice un funzionario del governo capitolino.

Si direbbe che l'immagine valga per il paese intero. Se, dopo la retrocessione di giovedì 7, sopravvive la carretta.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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