La Jornada - Domenica 4 settembre 2005
Riuniscono gli zapatisti 700 anime in Dolores Hidalgo in un incontro di turbamenti
Se qualcuno pensa di aver già visto tutto, non ha visto la quinta riunione preparatoria…

HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO

Dolores Hidalgo, Chis. 3 settembre - Se qualcuno crede di aver già visto tutto, che non possano più raccontargli nulla di nuovo… allora non ha visto la quinta riunione preparatoria della Sesta. Circa settecento persone riunite nuovamente nelle grandi spianate dove prossimamente questo ed altri villaggi zapatisti festeggeranno dieci anni di esistenza, da un ormai lontano 1995, quando le comunità maya del Chiapas recuperarono queste e molte altre terre in Ocosingo, Altamirano ed zone limitrofe.

In questo incontro di "individui" c’è stato modo di essere ironici, ingenui, malpensanti, puerili (nel senso letterale del termine), credenti o increduli, cospiratori, delusi, famosi o sconosciuti. Persino perredisti. Tutti, autobiografici. La quinta riunione verso l'altra campagna dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, EZLN, ha attratto rappresentanti di quartieri, di strade o famiglie, ma la realtà è stata degli indivisibili "uno", col loro nome scritto sul petto, su adesivi e pure fosforescenti.

"Sono bigamo per convinzione: amo il Peje e l'EZLN", recitava una maglietta che non era politicamente né corretta né scorretta. Il suo portatore era un uomo rapato. Ognuno per conto suo. Qui chiunque è reporter, fotografo, leader e base. Come ha detto un'ingegnosa ragazza questo pomeriggio: "io rappresento me stessa".

All'inizio, il subcomandante Marcos aveva detto, per provare il suono, che parlava per quelli di dietro. "Noi di sotto", dirà molto rappresentativamente qualcuno, "ne abbiamo fin sopra i capelli che ci usino e ci ingannino". In Dolores Hidalgo oggi si sono accusati i partiti politici, i governi, i media, le imprese globali. Cioè, nessuna novità, ma questa volta a titolo strettamente individuale.

Si sono iscritte 311 persone ed hanno chiesto la parola in circa 180. C’erano inoltre osservatori, familiari, amici e decine di famiglie tzeltales del municipio autonomo San Manuel. Non è stata una riunione festiva come le precedenti. Era turbata, se si intende l'espressione. Imprevedibile, ma non pazza.

Un uomo ha zapatizzato Schumacher, il filosofo del "il piccolo è bello" e si è dichiarato per la tecnologia alternativa, economica, alla portata della gente. Per la non violenza contro la natura. Ed ha richiamato l'EZLN ad appoggiare una "altra" tecnologia, "zapatista" in tutti i sensi, relativamente ai ribelli ed al filosofo inglese il cui cognome, in tedesco, significa ‘calzolaio’. "Il pinguino che non è pinguino", così citato, passeggiava tra il comando zapatista della Commissione Sesta e la prima linea di fotografi e cameraman.

Ha parlato da una delusione dolorosa uno che fu leader universitario, fondatore del Partito della Rivoluzione Democratica e funzionario, ed ora ha rinunciato a quella militanza. Un giovane di León, Guanajuato, ha dato ragione a José Alfredo Jiménez: nella sua terra "la vita non vale niente". Quelli che non sono divorati dal consumismo vuoto e reazionario, fanno un lavoro da sfruttati. "La rivoluzione è di ognuno", ha concluso.

Uno psicologo sociale che lavora con bambini handicappati ha raccontato qui il sogno che ha fatto ieri sera, dedicandolo ai suoi figli.

Un acapulqueño veterano del movimento studentesco del ’68, che era stato imprigionato nel Campo Militare numero uno, da anni è un difensore solitario di cause nobili, come un monumento rubato da un impresario nel porto guerrerense con la complicità dell’allora sindaco perredista di Acapulco, il "sinistro" Zeferino Torreblanca. In fin dei conti, ha fatto causa e mandato sotto processo politico l'oggi governatore del Guerriero, ed ha riportato parte del monumento al proprio posto.

Una donna di Tláhuac, Distretto Federale, ha denunciato che il sistema "ci tratta come cittadini di quinto o di sesto livello" e per questo motivo sottoscrive la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. Due attrici televisive, che accompagnano lo zapatismo dal 1994, hanno parlato da due prospettive molto distinte: una su che cosa fare secondo lei e l'altra di quello che sta facendo da queste parti.

Hanno parlato anche donne che sono state accusate di aver vincoli con l'Esercito Popolare Rivoluzionario e con l'Esercito Popolare Rivoluzionario del Popolo Insurgente e quindi perseguitate. Un'altra donna, un’intellettuale di sinistra, ha detto a nome di un piccolo gruppo di compagne: "Noi non possiamo contare sulla forza delle masse, ma abbiamo alcune idee", le stesse che ha esposto brevemente e non erano niente male.

Hanno parlato i bambini. Uno, della città, ha solo detto che era qui e che anche i bambini vogliono un cambio. Un altro, indigeno della catena montuosa di Veracruz, parlando a rappresentanza sua e di un amico di nove anni come lui, ma che non era potuto venire, ha confessato: "credevamo ai governatori ed alle loro promesse televisive, ma quando è arrivato l'EZLN abbiamo scoperto che i governatori ingannano" e si è pronunciato per "politici giusti che non dicano bugie né ci mandino contro gli eserciti".

Una madre ha parlato a nome dei suoi figli, adulti e politicizzati; una figlia ha parlato per se stessa e per sua madre. Una vedova ha parlato per suo marito, caduto nella lotta.

"Non so chi sono"

All'imbrunire, un arcobaleno si è appeso alle nubi distanti e simultaneamente una ragazzina si "è rubata" la piazza con la sua testimonianza personale. "Sono apatica, ma qualcosa mi prende all’improvviso. E questo è uno di quei momenti". Ha detto di volere "che la conoscenza reale sia di noi stessi, di quello che veniamo a fare sulla Terra". Ha raccontato che da bambina "non aveva fiducia in nessuno" e che fece a suo padre le domande che fanno tutti (chi sono, da dove vengo, per che motivo sono qui) e ricevette le risposte prevedibili, il che la portò a concludere, confusa: "non so chi sono".

Ha desiderato che esistesse una spiegazione, "un dio che ci salvi in qualunque modo", ma niente. Ha imparato dai suoi nonni, nonostante siano vecchi e mal messi, che "le guerre incominciano da se stessi" e che il primo passo è "la pace interna". L’importante è "essere coscienti che tutto è passeggero, per essere più giusti e più liberi. E non morire fra i dubbi".

Per concludere, ha confessato che si sente più nervosa davanti ai suoi insegnati a scuola che oggi davanti ai comandanti zapatisti.

Una relazione di quanto espresso oggi risulta impossibile, oppure sarebbe interminabile. Un osservatore ha definito "amorfa" la sessione. Avrebbe potuto dire multiforme, catartica o rivelatrice, a maggior ragione. È già notte e continua e continua e continua, come diceva Efrén Capiz. Di sicuro fino a domani.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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