CONTRALINEA CHIAPAS - Settembre 2005
I PARAMILITARI RIVIVONO
Amalia Avendaño

La riattivazione di gruppi paramilitari nel nord del Chiapas nell'agosto scorso, ha provocato lo sgombero forzato di 117 persone.

Creati come strategia per indebolire le basi di appoggio zapatiste mentre iniziava il dialogo tra la guerriglia ed il governo federale, nell'aprile del 1995, a dieci anni di distanza i gruppi paramilitari non solo si rifiutano di sparire ma recuperano forza con l'esaurimento del governo del "cambiamento" ed il riposizionamento priista nei municipi.

Negli ultimi tre mesi, il Centro dei Diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas (CDHFBC) ha seguito con impotenza lo sgombero forzato di 20 famiglie della comunità Andrés Quintana Roo, municipio di Sabanilla, obbligate a vivere a Tapijulapa in Tabasco per non perdere la propria vita solo per aver difeso le loro credenze religiose e politiche.

Lorenzo López Gómez, rappresentante dei 117 sfollati lamenta di, come nel passato, non aver trovato appoggio nel governo statale davanti ad aggressioni e minacce che ricordano l'inizio di quel "incubo" vissuto a causa dei paramilitari nel 1995 che lasciò più di 90 morti nel nord del Chiapas.

Il primo luglio scorso, una settimana prima che iniziasse lo sgombero, Villanueva Pérez López "mi trovò dietro la chiesa, io stavo aspettando la visita del padre perché noi lo assistiamo quando arriva, e incominciò a dirmi: 'che cosa fai qui'? - 'stiamo aspettando il sacerdote - 'adesso no, devi andartene.

Non vivrai ancora per molto, se vuoi ti impalliniamo' - 'ma non stiamo facendo niente' -. Orami furioso mi disse: "bene, se vuoi te ne sparo uno da 22, calibro 22' Così mi disse, c'era molta gente da testimone", racconta Lorenzo.

Nelle testimonianze raccolte dal Centro Fray Bartolomé, gli sfollati raccontano il calvario di affrontare nuovamente le aggressioni solo perché appartengono al Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e perché sono dentro alle strutture della diocesi cattolica. Contralínea riporta la storia di Lorenzo…

Minacce, una faccenda quotidiana

- Le minacce sono avvenute prima o dopo la messa?

- Prima, stavamo ancora aspettando l'arrivo del sacerdote. - Lorenzo prosegue il racconto -. Poi mi disse: se no, se vuoi, ho anche il fucile. Non gli risposi mentre mi stava minacciando di morte e poi arrivò a sparare un colpo.

- Dove?

- Dalla sua casa, eravamo ancora in chiesa, siamo stati lì per molto tempo, arrivò il sacerdote, incominciò la messa. E lui ritornò, spaccone, sparò un colpo in aria, è ancora là in alto nel tempio. Tutti lo sentirono.

"Un altro dei nostri compagni, fu minacciato. Ci hanno minacciato di venire ad aspettarci nei campi, abbiamo visto che loro hanno armi, cartucce di fucile calibro 20. E quando la faccenda si è fatta critica, quando siamo scesi, ha sparato due volte”.

- Si ricorda quando è accaduto tutto questo: le minacce e gli spari?

- Gli spari sono avvenuti il 14 giugno. Più o meno.

- Quando ha lasciato la sua casa?

- Ce ne stavamo già andando. Avevamo molta paura perché non sono solo parole quelle che dicono. Può succedere davvero ed è già successo negli anni passati.

- Che cosa è successo?

- In passato hanno sequestrato e ucciso i miei cugini.

- Come si chiamavano?

- Mateo López Pérez, Avelino López Mendoza ed il fratello di mio papà ed anche suo figlio, Mateo López Pérez e Rubisel López Pérez.

- In che anno sono stati uccisi?

- Nel '96.

- Gli stessi di Paz y Justicia?

- Sì, dello stesso gruppo; e siccome sono dei miei parenti ci minacciano di farci fare la fine delle nostre famiglie. È di questo che abbiamo paura.
Abbiamo già visto queste cose e prima che accadano di nuovo è meglio andarcene. Questo è quello che abbiamo pensato.

- Prima dei colpi del giorno quando lei è uscito da casa sua, l'8 giugno, aveva ricevuto minacce da altre persone?

- Minacciavano da molto tempo. Si riuniscono in bande per strada e quando ritorniamo dalla chiesa, quando finiamo di celebrare la parola di dio, incontriamo questi gruppi per strada che incominciano a ridere e quando siamo distanti ormai 5 o 10 metri incominciano a minacciarci alle spalle.

- E che cosa vi dicono? vi insultano?

- Prima ci insultano e poi ci dicono che non contiamo niente, che loro sono le autorità, che siamo indifesi, che nessuno ci può difendere, che siamo del PRD ma che il PRD non esiste più in Messico, che non governa. Così ci dicono e che è solo bugia che noi parliamo al governo, che sono loro ad avere l'autorità perché sono del PRI e sono del primo partito del Messico. Poi arrivano le minacce, dicono 'se voglio, posso spararti oggi stesso' , così ci dicono.

- Quante sono le persone che vi minacciano?

- Circa una dozzina di persone.

I rifugiati denunciano anche che i priisti bloccano strade per assaltare i veicoli e denunciare poi i perredisti alle autorità.

"Verso l'accampamento el Mirador, in alto, hanno chiuso (bloccato con pietre) la strada, non ricordo in che data. Hanno bloccato la strada anche qui sotto verso Buenos Aires, hanno fermato un veicolo che vende il pane ed hanno preso due borse di pane, come hanno confessato loro stessi. E poi danno la colpa di tutto a noi del PRD. Quando si incomincia ad investigare costringono con le minacce tutti a dire che sono stati i perredisti, che i perredisti sono i cattivi. E così viene fuori che siamo noi i colpevoli. Fanno blocchi perfino dove c'era il distaccamento della polizia settoriale. Quando la polizia se ne va per un momento, arrivano loro, entrano lì in quella casa ed incominciano a bloccare nel periodo di riscossione del programma Oportunidades (programma di sviluppo sociale), passano molti veicoli merci per vendere alle beneficiate dal programma e loro approfittano del passaggio di questi veicoli, bloccano la strada e riscuotono il pedaggio per il transito; mettono lì delle pietre per bloccare i veicoli e riscuotono. Di questo poi incolpano noi, ma noi non l'abbiamo fatto né abbiamo messo queste pietre”.

- Vi hanno picchiato?

- Sì, l'ultima volta hanno picchiato un bambino di 8 anni. Hanno colpito alla testa con le pietre il figlio del compagno Mateo Pérez Mendoza. È stato un ragazzo che si chiama Iturbide Gómez Gómez figlio di Ramiro Gómez Gómez del PRI, è stato in giugno. Dopo l'8 giugno, quando alcuni uomini vestiti di nero hanno sparato all'alba contro l'abitazione di Rogelio Sánchez Pérez, le famiglie perrediste si sono rifugiate in montagna. Il giorno dopo sono arrivati funzionari del pubblico ministero per interrogare i priisti che sono attualmente autorità ejidali e questi hanno dichiarato che era stato un problema tra gli stessi perredisti ubriachi. Hanno detto: faremo giustizia da noi, risolveremo da noi il problema, ma prima dobbiamo vedere i dirigenti del PRD. Sa? Questa è la mano che fa giustizia, che dà la soluzione, e ci hanno mostrato la mano.

- A che cosa si riferivano quando facendo così?

- Significa ammazzare, perché è così che si impugnano le armi. Questa è quella che risolverà tutto, dicono. Aspettate pure quello che sta parlando, aspettate, dicono, presto o tardi vedrete che cosa succede. Attenti a voi.

- E lì c'erano quelli del Pubblico Ministero?

- Lì stavano ben fermi i poliziotti, il segretario municipale che conosce il ch'ol. Parla in ch'ol.

- Hanno detto tutto questo in ch'ol?

- Tutto in ch'ol. Faustino Pérez Gómez e Miguel Guzmán Gómez. Sono loro che ci hanno minacciato più duramente, ed Andrés Gómez Martínez.

Riattivazione dei gruppi

Le testimonianze raccolte dal Centro Fray Bartolomé de Las Casas, rivelano che il problema, oltre che politico, è associato al rancore che nutrono i priisti verso il vescovo emerito Samuel Ruiz García e la teologia della liberazione o teologia india, anche quando i priisti sono cattolici.

"È per il fatto che stiamo studiando la teologia india e temi religiosi in Chiapa (Chapa de Corzo, municipio vicino a Tuxtla Gutiérrez), per questo ci minacciano perché riceviamo una formazione e loro non vogliono che si diventi catechista. I sacerdoti, i vescovi dicono che sono assassini e chi frequenta la formazione inizia a ricevere minacce e dicono che noi siamo assassini, che non è bene quello che stiamo studiando, che siamo cattivi e ci espellono, ci dicono che dobbiamo pagarli e ci aspettano nella milpa e che presto vedremo quello che faranno, che sono preparati e hanno armi.

Proprio quello che ci ha minacciati si chiama Villanueva Pérez López. Lui è di quelli che ci hanno minacciati sempre in presenza di altri", ricorda Lorenzo.

Gli indigeni radicati in Tapijulapa spiegano che, come minoranza perredista nell'assemblea ejidale, sono alla mercé dei priisti: "dicono che non contiamo niente perché loro sono la maggioranza", ribadisce Lorenzo.

I problemi si sono acuiti quando il vescovo titolare di San Cristobal, Felipe Arizmendi Esquivel, ha visitato la zona ed è stato ricevuto dalla comunità Andrés Jiménez, tre anni fa.

"Il 21 marzo 2002, quando andò via il vescovo, incominciarono a gridare col megafono che ci sarebbero stati gli stessi problemi del '94, che il vescovo era venuto a portare bombe, pallottole, che ora sì eravamo nei guai, che i catechisti stavano provocando sparatorie e bombe.
Non stavamo contando bombe, stavamo contando i resti di tostadas e fagioli, quello che rimaneva della festa per la visita episcopale. Il problema è iniziato allora e continua
".

Gli indigeni chiariscono che non appartengono alle basi di appoggio dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. "Abbiamo cercato gli zapatisti, ma abbiamo visto come parlano e come agiscono, sono contro la chiesa e contro i sacerdoti, meglio non legarci a loro, cerchiamo un nostro partito che non sia contro la parola di dio".

Dall'8 giugno al 2 agosto si è registrato lo sgombero forzato di 20 famiglie, per un totale di 117 persone: 18 uomini adulti, 19 donne adulte, 42 bambine e 38 bambini che hanno ricevuto pressioni dalle autorità del Chiapas per fare ritorno alla comunità Andrés Quintana Roo, contro la volontà dei rifugiati che sanno che i priisti non permetteranno loro di tornare.

Blanca Martínez Bustos, direttrice del CDHFBC, spiega che non ci sono garanzie per il ritorno e che è necessario l'intervento del governo per restituire loro i terreni in un altro posto affinché possano vivere degnamente.

Aggiunge che è preoccupante che si ripresentino situazioni di sgombero forzato. "Stiamo informando e chiedendo l'intervento delle autorità, sollecitando misure cautelative, anche alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) che ha chiesto un rapporto allo Stato messicano".

L'attivista per i diritti umani lamenta che il problema dei gruppi paramilitari della zona nord non sia affrontato e che lo Stato non faccia nulla per disarmare e smantellare questi gruppi paramilitari.

"Quello che sta accadendo a Sabanilla dimostra chiaramente che non si possono risolvere problemi tanto seri come l'azione paramilitare con presunti tavoli di riconciliazione dove si mettono le vittime di fronte ai loro carnefici alla ricerca di accordi di non aggressione. Questo tipo di accordi non servono ad altro che ad amministrare il conflitto, amministrare la tensione e non risolvere a fondo il problema dell'azione paramilitare, perché non si prendono le misure necessarie affinché situazioni come quella dei profughi interni non si ripetano", nota l'avvocato.

Per il Centro Fray Bartolomé, presieduto dal vescovo emerito Samuel Ruiz García, Paz y Justicia è il gruppo paramilitare responsabile dello sgombero di più di 3.000 persone e di almeno 85 omicidi e 37 sparizioni forzate, verificatesi tra il 1995 e il 2000.

La zona d'influenza del gruppo paramilitare è nella regione nord del Chiapas che comprende i municipi di Tila, Sabanilla, Salto de Agua, Tumbalá, Yajalón e Palenque. Dal 2004 il gruppo si è riattivato nel municipio di Tila ed a partire da quest'anno si incominciano a registrare nuove aggressioni nel municipio di Sabanilla.

I gruppi paramilitari in Chiapas furono creati dall'Esercito messicano in appoggio alle sue operazioni militari. Le vittime ed il Centro Fray Bartolomé hanno denunciato alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, lo Stato messicano per la sua presunta responsabilità nei crimini di lesa umanità. In Chiapas, Paz y Justicia è stato uno dei gruppi più aggressivi.

[http://chiapas.contralinea.com.mx/archivo/2005/septiembre/htm/reviven.htm]

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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