La Jornada - Domenica 30 maggio 2004
Il consiglio autonomo dice che i perredisti son coinvolti nell'assedio
A Polhó denunciano ancora minacce dei paramilitari
HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO
Municipio Autonomo San Pedro Polhó, Chis., 29 maggio - "Il governo federale di Vicente Fox tira la pietra e nasconde la mano", dice il portavoce del consiglio autonomo, che dialoga con La Jornada nella sede municipale ribelle, circondato da vari membri dell'autorità autonoma che parlano soltanto in tzotzil con il loro portavoce, un indigeno che si esprime in castellano con peculiare eloquenza.
"Noi siamo circondati ancora oggi dai paramilitari del governo. Continuano ad addestrarsi ed ancora di più adesso che hanno liberato i loro carcerati, quelli che hanno partecipato all'attacco di Acteal. È naturale visto che si sentano sempre protetti dall'Esercito federale e dalla polizia".
Il consiglio autonomo rivela tre notizie allarmanti. La prima: molti paramilitari priisti di Yabteclum, Los Chorros e Tzanembolom sono passati nelle file del Partito delle Rivoluzione Democratica (PRD), senza lasciare l'antiguerriglia. La seconda: i gruppi armati vincolati al governo perredista di Zinacantán, che hanno già agito, si sono alleati con almeno un settore dei paramilitari di Chenalhó, che non sono mai stati disarmati e che dal 1997 non smettono di operare, minacciando e continuando ad obbligare all'esilio migliaia di indigeni zapatisti.
La terza novità è che 10 giorni sono arrivati a Yabteclum vari camion con "paramilitari" perredisti di Zinacantán, minacciando di attaccare la comunità di Polhó. "Siamo informati che sono agli ordini del presidente del PRD statale", dice il portavoce autonomo. "Noi non dormiamo, non siamo contenti. L'inquietudine è forte. Sappiamo che sono quelli che ci hanno attaccato quando siamo andati a Zinacantán ad aiutare i nostri compagni per la loro "acqua" ed altre cose che mancano loro" (si riferisce all'imboscata del 10 aprile in Pasté, dove più di 30 civili zapatisti sono stati feriti, molti da proiettili).
Il gruppo proveniente da Zinacantán, millantando di "venir armato", è entrato nel villaggio di Yabteclum e si è riunito con presunti correligionari della zona. Chiedo se davvero queste persone avevano delle armi e l'uomo, che di sicuro è originario di Yabteclum, risponde: "Sì, vari compagni hanno visto che avevano delle armi da fuoco".
(E stupisce che nella zona più militarizzata e pattugliata de Los Altos il transito con armi avvenga come se niente fosse. Oggi, i movimenti militari e delle polizie giudiziaria e settoriale dello stato erano intensi quanto meno in Las Limas, Yabteclum e Polhó).
Gli indigeni sono in allerta già da più di una settimana. "Non possiamo muoverci. Però non vogliamo morire". Già tre mesi fa, ricorda, "i paramilitari hanno sparato contro compagni profughi che andavano a Tulantic per lavorare i loro campi. E un mese fa hanno fatto lo stesso ad altri compagni in Naranjatic Alto. A colpi di arma da fuoco non ci lasciano andare a lavorare il caffè ed a raccogliere la legna. Adesso la minaccia è contro Polhó". Dice che il passaggio di soldati e di poliziotti per Polhó ed altre comunità è costante, "giorno e notte". Perciò i profughi "sono alla fame, alla sete e insonni".
A sette anni dall'inizio dell'esilio, gli indigeni non si sono abituati a queste condizioni. "Il governo federale se ne lava sempre le mani e mette da una parte l'Esercito federale, che ha già preparato i paramilitari e tiene i contatto con i priisti che governano il municipio".
In Chenalhó, "quelli del PRD hanno la stessa testa e sono della stessa specie dei priisti". Nel capoluogo del municipio vicino a Pantelhó "ci sono priisti meticci, avvocati e politici che sonoo diventati del PRD e prendono parte a fregare la gente".
Sette anni d'esilio
Sono sette anni che i profughi di Polhó hanno lasciato le loro comunità originarie. Sette anni di esodo e resistenza.
"Il 24 maggio 1997 siamo stati accerchiati ed attaccati 'dal paramilitare' addestrato dall'Esercito federale. Da quel giorno siamo profughi, fino ad oggi. Ci hanno attaccato con armi da fuoco, ma anche se siamo ribelli, non abbiamo risposto. Non è contro di loro la lotta, sono indigeni come noi. I paramilitari sono stati pagati dai funzionari priisti ed hanno iniziato ad attaccare prima gli stessi priisti, però soprattutto noi.
Il presidente municipale di allora, Jacinto Arias Cruz, ha ricevuto denaro dal governo di Julio César Ruiz Ferro per sconfiggere ed annientare i popoli indios. Il governo non vuole che il popolo reclami. Noi d'allora siamo concentrati in questa comunità di Polhó, senza le nostre terre".
Secondo il consiglio autonomo, esistono 6 mila 662 profughi zapatisti, distribuiti in Polhó (in maggioranza), in Acteal e nel "Accampamento 8" in Yaxjemel. Insieme alle comunità autonome che si estendono per tutto Chenalhó, questi profughi costituiscono il municipio ribelle.
Le loro condizioni di salute, alimentazione e benessere non vanno proprio bene. E di volta in volta ricevono sempre meno aiuti da fuori. "In dicembre si è ritirata la Croce Rossa. Noi abbiamo chiesto che non si ritirasse, o che ci facessero il favore di mais e fagioli, ma niente. Proprio qui abbiamo parlato con il suo rappresentante", dice e segnala la stanza in legno dove ci troviamo adesso.
"Avevamo un accordo. Un giorno vengono e ci dicono qui si taglia. Parlano del vincolo di affetto che hanno con noi e ci mandano, come chi dice, a quel paese. Ci dicono che devono andare dalla gente nell'Iraq. Non importa loro che andiamo in malora. Però noi stiamo qui in piedi, fermi. Adesso, senza gli aiuti della Croce Rossa, ci arriva solo un po' d'aiuto della solidarietà internazionale. Non abbastanza".
Elenca le "molte denutrizioni e molte infermità di bambini, uomini e donne". Anche se ci sono i promotori di salute, ma "non abbiamo nessuna medicina".
Il poco caffè che i profughi riescono a vendere, se lo prendono i coyote a sette pesos. Dopo la creazione della giunta del buon governo de Los Altos "hanno potuto vendere circa 30 kg, quelli che hanno il caffè, con le cooperative autonome, però la nostra produzione non è sufficiente per commerciarlo". A circa 100 metri da Polhó c'è la cooperativa del caffè Majomut, "però è in potere dei priisti e sfruttano i poveri" (ed a 20 metri dalla cooperativa c'è un'importante base militare. Questo è certo).
Il portavoce autonomo ribadisce la sua preoccupazione per i paramilitari che si dichiarano perredisti. "Quelli di Tzanembolom e di Yabteclum sono coordinati. Ed i paramilitari priisti di Chimix e Canolal ci minacciano da sempre. Vediamo che tutto questo gruppo armato è stato organizzato proprio contro gli zapatisti. La gente li segue, però fa gli interessi personali dei leader e dei funzionari, che organizzano quei gruppi per togliere di mezzo gli zapatisti e guadagnare più voti per il governo. Pensano che se non fregano gli zapatisti, non avranno voti".
E termina le sue parole con un ricordo: "Ma Fox non aveva detto che solo in 15 minuti risolveva tutto? Che se ne ricordi".
Le donne indigene reclamano il riconoscimento dei loro diritti
ELIO HENRIQUEZ - CORRISPONDENTE
San Cristóbal de Las Casas, Chis., 29 maggio - Le più di 40 indigene partecipanti al forum regionale del sud "Corpo, territorio e autonomia" si sono accordare per rendere noti i loro "diritti come donne, perché nella società non sono riconosciuti, né in alcune organizzazioni, né nella Chiesa, né dalle autorità".
Nelle conclusioni dell'incontro, organizzato dal raggruppamento "Cattoliche per il Diritto a Decidere", che era iniziato ieri, le partecipanti hanno affermato: "Ciò che noi donne facciamo o smettiamo di fare influisce sulla nostra società, sull'autonomia dei nostri popoli e sulla nostra Chiesa".
Allo stesso tempo hanno proposto di cambiare gli usi e costumi che non sono consoni ed hanno aggiunto che alla società, al governo ed alla Chiesa "manca molto nel riconoscomento dei nostri diritti".
Provenienti da Oaxaca, Veracruz, Tabasco e Chiapas, le indigene partecipanti all'incontro, avvenuto nella Fondazione Leone XIII, in questa città, hanno concluso che la terra "è la nostra madre che ci alimenta ed è vita ed è il corpo, che è un tempio sacro che vogliamo che si senta bene, allegro, in pace e rispettato, territorio autonomo, e la sua forza la portiamo nel nostro cuore". Hanno anche insistito sul loro diritto a decidere come donne, alla terra e ad una casa degna, e nella necessità di "valorizzare i costumi buoni e cambiare ciò che non ci aiuta".
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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