La Jornada 27 gennaio 2004
Elementi della Armata impediscono l'accesso al luogo in cui è stato smantellato un abitato
NUOVE CONFERME DELLO SGOMBERO FORZATO NEI MONTES AZULES
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

Ixcan, Chiapas, 26 gennaio - Mentre elementi della Armata controllano la riva interna del fiume Lacantun ed impediscono lo sbarco nel luogo in cui si trovava Ignacio Allende, o Nuevo San Rafael, i conducenti delle lance della sponda opposta, nell'ejido Ixcán, confermano quello che la Procura Federale della Protezione dell'Ambiente (Profepa) nega enfaticamente nel suo comunicato stampa largamente diffuso lo scorso sabato: sì, lo sgombero c'è stato.

In maniera inedita in questo tipo di conflitti, la Segreteria della Riforma Agraria (SRA) ha comunicato a sua volta di aver ricevuto un documento degli abitanti di Nuevo San Rafael, in cui questi ultimi chiedono "scusa" ai lacandoni per aver occupato una porzione di terra di cui sono proprietari questi indigeni. La segreteria dichiara che gli espulsi si dicono "ingannati dai loro capi".

Inoltre, i profughi avrebbero confermato di aver fatto ritorno volontario al loro luogo d'origine, El Calvario (municipio di Sabanilla).

Nell'ejido Ixcán le strade hanno nome, cosa non frequente. E si chiamano Profirio Díaz, Venustiano Carranza, Belisario Domínguez e Luis Donaldo Colosio. Pur contando su una risoluzione presidenziale, anche gli ejidatari sono coinvolti nella questione dei Montes Azules. Come numerose comunità vicine alla riserva della biosfera, una parte della loro pertinenza è reclamata dalla comunità lacandona.

I conducenti delle lance che percorrono il fiume Lacantún si bagnano oziosi fuori del villaggio. Confermano che i poliziotti giudiziali dello stato hanno proibito loro di navigare nelle vicinanze di Nuevo San Rafael.

Ciononostante, uno di loro prende coraggio per risalire il fiume, a condizione di non sbarcare. "Perché se i poliziotti si arrabbiano fanno altri prigionieri", interviene un altro senza togliere i piedi dall'acqua.

"Abbiamo ricevuto l'ordine dalla Profepa di non usare i 700 ettari dell'ejido, che sono nostri, ma dicono che sono anche dei lacandoni. Non possiamo neanche guardali", commenta un altro uomo, che carica pietre sulla sponda del fiume e, forse perché non possiede una lancia, si azzarda a parlare.

"Dicono che sloggeranno, o toglieranno la terra, a quelli di Cacahuatán". Si riferisce ad un altro villaggio a sud dei Montes Azules. "La gente di Ixcán non vuole parlare perché ha paura. Conoscevamo poco quelli di Ignacio Allende, andavano e venivano. L'altro giorno sono passati da qui scappando", aggiunge. "Sì, sembra che il governo sia riuscito a dividerli tra loro".

Ancora militarizzazione

A valle del fiume, i soldati, ai piedi del ponte sopra il fiume Ixcán, vicino al suo sbocco nel fiume Lacantún, spiano dalla base di operazioni, una delle tante sparse nella Selva Lacandona del sud. Come i grandi quartieri militari di Amparo Aguatinta (dove adesso i controlli agli stranieri sono capillari) e Maravillas Tenejapa, anche questo appartiene alla 39° Zona Militare, con sede a Toniná, nel capoluogo di Ocosingo. Anche qui, all'altro estremo della selva, siamo sempre nel municipio ufficiale di Ocosingo.

Gravemente pregiudicato dai promotori del turismo di avventura, di conservazione e di altri tipi chic del settore, il sud dei Montes Azules è stato l'insediamento di famiglie migranti, molte volte perseguite nei loro luoghi di origine. I tre insediamenti più giovani, Ignacio Allende o Nuevo San Rafael, Nuovo San Isidro e le scomparso Lucio Cabañas, sono nati in anni recenti. Su di loro hanno messo gli occhi e gli stivali le autorità ambientali come parte dei loro progetti di sgombero per difendere il latifondo patrimoniale dei lacandones di Lacanjá Chansayab, a circa 300 chilometri di qui.

Le famiglie choles e tzotziles di quest'ultima e diluita ondata di emigranti nella selva chiapaneca non erano basi d'appoggio dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, sebbene all'inizio lo fecero intendere. Simpatizzanti sì, appoggiavano il compimento degli accordi di San Andrés. Ma una volta arrivati sulle rive del fiume Lacantún non appartenevano al gruppo ribelle né si erano uniti ai municipi autonomi della regione. Sebbene a modo loro hanno sostenuto una resistenza, non hanno smesso di credere in un qualche arrangiamento con il governo.

Attualmente quelli della comunità Nuevo San Isidro, a differenza di Nuevo San Rafael, sostengono di essere basi dell'EZLN e di trovarsi in resistenza.

Così è nata l'umiliante via crucis delle famiglie di Lucio Cabañas, queste sì, sloggiate "volontariamente", che si sono perse nella carità pubblica mentre Profepa e la Segreteria dell'Ecosistema la tiravano in lungo.

Gli abitanti di Nuevo San Rafael sono stati lasciati senza altra promessa che il perdono per i loro "crimini", e la SRA gli ha affibbiato un'offerta di "scuse" che, conoscendo l'evoluzione dei fatti, risulta poco verosimile. Questa segreteria, Profepa ed il governo dello stato, hanno tirato fuori una resa virtuale autoaccusatoria.

Le autorità federali e statali devono essere soddisfatte dello sgombero che dichiarano essere stato "pulito". La SRA annuncia che alcuni hanno accettato di "ricollocarsi" previo "perdono".

Gli abitanti di Nuevo San Isidro, ancora nel loro villaggio dentro i Montes Azules, si trovano in una situazione di incertezza e davanti a un "ricollocamento". Oggi stanno in guardia, perché due notti fa persone provenienti di Chajul hanno cercato di tagliare la fornitura di acqua ed hanno detto a La Jornada di aver ricevuto solo minacce.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" di Bergamo)



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