La Jornada 25 febbraio 2004
Le donne desplazadas vivono nella paura e nell'inquietudine
Sono state distorte le cause del massacro di Acteal
Si vuole dare una matrice religiosa al conflitto

MATILDE PEREZ U.

Dopo sei anni di vita da profughe, le donne di Acteal continuano a vivere con la paura in corpo: l'inquietudine e la paura risiedono nella loro mente e nel loro cuore sapendo che diversi dei mandanti del massacro del 22 dicembre del 1997 potrebbero essere liberati e che il resto degli indagati come responsabili dell'assassinio di 45 persone non saranno mai giudicati per questo crimine.

Elena Vázquez Pérez e Catarina Méndez Paciencia, membri dell'organizzazione Las Abejas, hanno denunciato che "il governo sta manovrando per distorcere le cause vere del massacro di Acteal". Il presidente Vicente Fox ha soppresso la procura speciale ed al suo posto ha creato un gruppo di lavoro tecnico interistituzionale, su richiesta degli evangelici, ed ora pretende di convincere i messicani che il conflitto è stato di origine religiosa e non politica.

In un comunicato che non sono riuscite a diffondere alla presentazione della Relazione sulla situazione delle donne indigene desplazadas nello stato del Chiapas, elaborata dall'Ufficio della Presidenza per lo Sviluppo dei Popoli Indio, le indigene tzotziles ed il tavolo direttivo di Las Abejas hanno precisato: " Se abbiamo denunciato quelli che sono in carcere e quelli che ancora non sono stati arrestati, è perché hanno commesso un crimine contro l'umanità che non è tollerato né dalle leggi terrene né dalle leggi divine".

Fino a che non ci sarà giustizia, non potrà esserci la pace in Chiapas

Hanno rilevato che la "guerra di bassa intensità" in cui vivono è il "mezzo per mantenere militarizzato il territorio chiapaneco, distruggere le comunità e salvaguardare la ricchezza naturale che" tanto interessa i padroni del denaro.

Alla presentazione della relazione, nel Museo delle Culture Popolari, Martha Figueroa, patrocinatrice delle donne indigene, ha segnalato che finché non ci sarà giustizia non ci sarà pace in Chiapas, e che il conflitto politico che oggi si pretende di far passare come religioso, porterà solo più violenza nelle zone nord, selva e frontiera dello stato. Le donne desplazadas non chiedono aiuti umanitari di emergenza, chiedono terra ed esigono tranquillità per poter tornare a camminare sole tra le montagne, senza dover chiedere di essere accompagnate.

Ha parlato anche il relatore speciale dell'ONU per i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali degli Indigeni, Rodolfo Stavenhagen, sulla necessità che le autorità riconoscano le differenti situazioni che portano agli sgomberi forzati ed analizzino i problemi affinché le politiche pubbliche siano focalizzate ad una soluzione reale delle diverse situazioni.

Ha segnalato che ci sono casi, come quello dei profughi di Acteal, che non si risolvono con gli aiuti umanitari d'emergenza né provvisori, perché arriva il momento in cui le istituzioni umanitarie o il governo dicono "adesso il conflitto è finito, ci ritiriamo". Mentre migliaia di famiglie desplazadas si trovano in una "zona grigia non assistita, resi invisibili perché non sono inseriti all'interno di una categoria giuridica riconosciuta, come i profughi, situazione che colpisce soprattutto le donne".

A sua volta, il delegato del governo federale per il Chiapas, Luis H. Alvarez, ed il titolare dell'Ufficio di Presidenza per lo Sviluppo dei Popoli Indio, Xóchitl Gálvez, hanno assicurato che c'è una politica pubblica di attenzione ai desplazados. Tra le azioni di questa politica c'è la creazione di un fondo di 60 milioni di pesos, dei quali 20 milioni sono per assistere i 10 mila desplazados nello stato del Chiapas, quantità alla quale si sommano 20 milioni destinati a progetti produttivi e per infrastrutture.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" di Bergamo)



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