LA JORNADA 23 DICEMBRE 2004
Tre vescovi intervengono nel settimo anniversario del massacro
I SOPRAVVISSUTI DI ACTEAL: LE FERITE NON SI SANANO CON LE ELEMOSINE

ANGELES MARISCAL - Corrispondente

Tuxtla Gutierrez, Chiapas, 22 dicembre - "C'è chi ha voluto guarire le nostre ferite con elemosine ma non ci è stato offerto nessun cambiamento profondo nella situazione di ingiustizia, discriminazione, oblio", hanno dichiarato i sopravvissuti del massacro perpetrato sette anni fa ad Acteal, municipio di Chenalhó, durante una cerimonia in ricordo dei 45 indigeni che morirono per mano dei paramilitari. I vescovi (emerito, titolare ed ausiliare - rispettivamente) della diocesi di San Cristobal, Samuel Ruiz, Felipe Arizmendi ed Enrique Díaz hanno presenziato alla cerimonia.

In questo triste anniversario non c'è stata una rappresentazione teatrale del massacro, come in passato. Ci sono stati canti tradizionali, preghiere, fiori e profumi di incenso. Il vescovo emerito Samuel Ruiz ha ricordato quello del 1997 fu uno dei suoi "Natali più tristi" ed ha chiesto ai messicani di non dimenticare che il 21 dicembre di quell'anno furono avvisate "le autorità di quello che poteva accadere ed il 22 informammo di quello che stava succedendo", ma non si fece niente per impedire il massacro. Con voce rotta, il prelato ha commentato che "ora Acteal è un segno della resurrezione e della speranza, dell'unità e della resistenza".

Tatic Samuel ha sottolineato che "questo eremo qui costruito con il lavoro comune è il simbolo di quello che è ora Acteal. Acteal è una casa del cielo, continuiamo ad essere testimoni di questa resurrezione e testimoni dell'unità e della fraternità".

Durante il messaggio centrale della cerimonia, tradotto in lingua tzotzil - parlata da gran parte della popolazione locale - il vescovo ausiliare di San Cristóbal, Enrique Díaz, ha affermato che "una ferita non guarisce se solamente se la si copre o la si nasconde. Molti vorrebbero che non si parlasse più di Acteal e che restasse nell'oblio. Ma questo non è guarire. Non è vero che tutto va bene, non è vero che si è fatta giustizia. È una bugia che le ferite sono sanate, è una bugia che tutti i responsabili diretti o indiretti abbiano ammesso le loro colpe".

Díaz ha continuato: "...molti vorrebbero che non si parlasse più di Acteal e che rimanesse nell'oblio. Se si copre una ferita, questa marcisce. Se si copre, l'ingiustizia porta al marciume ed al rancore. Una ferita non si sana neppure con cataplasma ed unguenti".

Ha aggiunto che il massacro non fu un fatto isolato, "bensì la conseguenza di un sistema che dimentica il rispetto alla vita, al diritto di tutti di essere uguali davanti a Dio, dell'attenzione verso il più povero ed indifeso".

Il vescovo ausiliare ha affermato che i sopravvissuti non vogliono "mostrare la ferita per cercare compassione o soffermarsi a contemplare il loro dolore. Né vogliono suscitare pena o autocompassione, perché né le carità compassionevoli né le mani tese per l'elemosina ci aiutano a crescere. Esigiamo i nostri diritti ed ammettiamo le nostre responsabilità per poter costruire un mondo migliore dove vivere come figli di Dio".

Da parte sua, il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas - fondato e presieduto da Samuel Ruiz - ha chiesto che si chieda conto ai comandi dell'Esercito Messicano - in particolare ai generali di divisione Miguel Ángel Godinez Bravo e Mario Renán Castillo Fernández - e si accertino le responsabilità dello Stato.

In una lettera pubblicata questo mercoledì, l'organismo non governativo ha chiesto che si garantisca il diritto alla giustizia per le vittime, punendo i responsabili materiali ed i mandanti "dei crimini di lesa umanità contro la popolazione civile, secondo lo Statuto del Tribunale di Norimberga".

Dei 103 detenuti per la loro presunta partecipazione al massacro di Acteal, ad oggi sono stati liberati sette indigeni; nei prossimi mesi lasceranno la prigione, per avere scontato la pena, gli unici funzionari dell'allora Segreteria di Pubblica Sicurezza (SSP) che furono processati per il caso: Julio César Santiago Díaz, Roberto García Rivas e Roberto Martín Méndez Gómez. Attualmente sono pendenti 29 ordini di cattura non ancora eseguiti.

Il generale in pensione Santiago Díaz che nel dicembre del 1997 coordinava la SSP, fu arrestato il 2 aprile 1998 con l'accusa di omicidio per omissione, danni e lesioni nel caso dei 45 assassinati ad Acteal. Due mesi prima erano stati fermati Roberto García e Roberto Méndez condannati a otto anni di prigione. I tre ex funzionari pubblici hanno chiesto il rilascio anticipato che potrebbe essere concesso loro nei prossimi mesi.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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