CHIAPAS TRA NAFTA E MIGRAZIONE

Solo da quando la storia si è convertita in storia mondiale si sono condannati popoli interi, dichiarandoli come superflui... Le sentenze si proclamano a voce alta e si mettono sistematicamente in pratica, in modo tale che nessuno rimanga col dubbio di che destino gli sia stato riservato: Esodo o Migrazione, Esilio o Genocidio”.

La grande Migrazione - Hans Enzensberger

La storia della migrazione messicana verso gli Stati Uniti d’America si può far risalire al 1880 quando due imprese ferroviarie, la Southern Pacific e la Santa Fé, cominciarono ad “importare” forza lavoro a basso costo in maggioranza indigena Yaqui, Cora e O’otam, dal vicino del Sud. Fino al 1910 circa 20.000 messicani all’anno venivano reclutati dagli agenti delle compagnie ferroviarie. Durante la Prima Guerra Mondiale i lavoratori messicani giocarono un ruolo centrale nello sviluppo dell’economia statunitense[1], ma la usuale gratitudine del governo Nordamericano non tardò a presentarsi sotto forma della più feroce ondata di violenza xenofoba di cui il popolo messicano sia mai stato vittima. Mentre i veterani di guerra attaccavano i lavoratori e le lavoratrici “alieni” nei posti di lavoro bruciando le loro case e rubando i loro averi, le imprese agricole, ferroviarie e la sempre più presente industria automobilistica, continuavano a contrattare i messicani per un salario da fame, lasciandoli in una situazione di permanente illegalità e di pericolosa vulnerabilità di fronte alle aggressioni delle classi povere nordamericane.

Da quegli anni fino ad oggi la ambigua politica di gestione del fenomeno migratorio da parte del governo americano, non è cambiata. Da allora la clandestinità e la pericolosa illegalità sono la normale condizione che i migranti messicani affrontano dal primo momento che mettono piede in territorio USA[2].

Il 1° Gennaio 1994 entra in vigore del Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord (NAFTA, nella sua dicitura in inglese e TLCAN in spagnolo), un accordo multilaterale che ancora l’economia messicana a quella canadese e statunitense, segnando un rafforzamento del modello liberista nel paese. I principi ispiratori sono l’apertura delle frontiere alle merci, la produzione di leggi che favoriscano sicuri guadagni ai grandi capitali e la forte diminuzione del potere politico degli “stati nazione”, i quali, se nella fase negoziale rivestono un ruolo secondario, non avranno più alla fine la capacità di sindacare le scelte economiche imposte dal trattato. Da quel momento la contraddizione che si legge nella politica migratoria dei due paesi più ricchi si fa di giorno in giorno più stridente. Uno studio del United States General Accuonting Office (GAO) del 2001 segnala che, nonostante la spesa per la sicurezza della frontiera sud degli Stati Uniti d’America sia aumentata negli ultimi sette anni, il flusso migratorio non è diminuito; come conseguenza per lo spostamento dalle rotte abituali si è avuto solo un aumento delle morti nel tratto di frontiera dove è più pericoloso ed insicuro passare . Al riguardo il Centro di Ricerca sull’immigrazione dell’Università di Houston, Texas, stima che tra il 1995 ed il 1998, il numero di morti per ipotermia ed insolazione è aumentato di tre volte rispetto ai livelli degli anni ’80[3]. Nel 2003, secondo la Commissione di Diritti Umani del Senato della Repubblica Federale del Messico, sono stati calcolati circa 400 morti sul confine nord del Messico[4].

Se da una lato quindi si assiste ad un inasprimento della politica statunitense nei confronti delle persone che tentano di attraversare il confine, dall’altro si nota una massiccia presenza di lavoratori e lavoratrici messicane clandestine e non, che ormai rivestono un ruolo fondamentale per la prosperità dell’economia statunitense[5].

La stessa teoria neoliberista spiega che accelerando e garantendo la mobilità del capitale e facilitando anche l’intervento del capitale estero, si fomenta la mobilità lavorativa: “...quando il sistema politico e quello economico si interconnettono, le forze lavoro tendono a fluire verso il paese dove c’é minor stratificazione sociale e dove gli standard di vita sono più alti[6].

Questa teoria, però, non ci racconta delle terribili condizioni che spingono i lavoratori messicani ad abbandonare le proprie case, i propri affetti, le proprie comunità per affrontare un insicuro e pericoloso viaggio verso una prosperità economica che probabilmente non incontreranno, dato che sono obbligati, per la loro condizione di clandestini, ad accettare lavori mal pagati ed insicuri. Un’investigazione dell’Associated Press USA, afferma che negli Stati Uniti d’America muore un lavoratore messicano al giorno e, sebbene sia aumentata la sicurezza sui posti di lavoro, le quantità di morti messicane aumentano: 30% a metà degli anni ’90 sono diventate l' 80% nel 2003. Gli stessi ufficiali della Pubblica Sicurezza si spiegano il fenomeno considerando che i messicani, dato il loro status di illegalità, sono costretti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro gli sia proposto e generalmente questi sono lavori mal pagati e ad alto rischio, con totale assenza di equipaggiamento e di una preparazione adatta.

La cosa che stupisce di più è la reazione delle autorità federali in caso di incidente mortale di un lavoratore clandestino: l’OSHA (Occupational Safety and Health Administration) multa il datore di lavoro per mancato adempimento degli standard di sicurezza. La cifra è di 50.475 dollari[7]. Questo è il prezzo che il governo americano ritiene appropriato per la morte di un non cittadino.

Si calcola che attualmente siano presenti in territorio statunitense circa 8,5 milioni di messicani di cui 5,5 milioni in possesso dei requisiti legali per la permanenza mentre i restanti 3 milioni sono indocumentati, a rischio quindi di deportazione o incarceramento ad oltranza. Inoltre si stima che ogni anno emigrino temporaneamente circa 610 mila messicanin che in maggioranza non hanno la documentazione necessaria per affrontare il viaggio[8]. A questi dati va aggiunto il ruolo crescente che riveste all’interno dell’economia messicana il valore delle rimesse dei lavoratori che risiedono negli USA che nel 2002, raggiungendo i 6,75 miliardi di dollari, rappresentava la sesta fonte d'ingresso valutario del paese, ma già nel gennaio del 2004, con un valore che oscilla tra i 9,4 ed i 14 miliardi di dollari[9], risulta al secondo posto, superate solo dalla vendita di petrolio.

A dieci anni dall’ingresso del Messico nel mercato globale il salario minimo nazionale ha perso il 20% del suo valore d’acquisto, la classe politica messicana non ha saputo affrontare e risolvere il problema della mancanza di posti di lavoro ed è costante la domanda di mano d’opera nei settori agricoli, industriali e dei servizi da parte degli Stati Uniti d’America. Considerando inoltre la differenza salariale che sussiste tra le due economie, non stupisce che il fenomeno migratorio messicano verso il più ricco vicino del nord sia in costante crescita e che 1,3 milioni di famiglie dipendano direttamente dalle rimesse economiche provenienti dagli USA[10].

Quello che stupisce in realtà è la mancata intenzionalità, da parte dei due governi interessati, di regolare questo fenomeno permettendo che bande di “polleros”, contrabbandieri di mano d’opera, si organizzino in una impresa transnazionale conosciuta come la “Gringo Coyote Company” e gestiscano un traffico clandestino di persone che frutta circa 8 miliardi di dollari all’anno[11]. Se si considera che nel 1995 un messicano che affidava la sua vita nelle mani di un “pollero” per attraversare la frontiera con gli Stati Uniti pagava tra i 20 ed i 30 dollari e che oggi, con un aumento considerevole del rischio, deve pagare tra i 1.500 ed i 2.500 dollari, ci si fa una rapida idea del volume di denaro che giornalmente si sposta da un lato all’altro della frontiera fomentando il traffico clandestino di lavoratori e la corruzione degli agenti doganali[12].

Uno degli stati dove la Gringo Coyote Company ha maggiori connessioni è il Chiapas. Nel municipio di Comalapa, ad esempio, il 24 Marzo 2004, seicento uomini intrapresero il viaggio della speranza verso il vicino del Nord, contrattati da una delle tante “agenzie di viaggio” che sono sorte nel municipio.

Qui a Comalapa non c’é più lavoro, in ogni angolo di strada c’é una cantina, i prezzi del caffè e del mais stanno scendendo ed il pinche governo non fa altro che promettere, non sviluppa l’industria e non si accorge che da qui partono ogni mese 2.400 persone verso gli Stati Uniti, non si accorge che dipendiamo economicamente dai soldi che ci inviano da là”. Così si esprime Joaquín López López , un uomo che con la sua famiglia ha piú volte tentato di attraversare la frontiera.

Intanto a Comalapa (un municipio che conta 7500 abitanti nella zona urbana e 52.111 considerando anche le comunità rurali ed ejidali[13]) hanno aperto 30 agenzie di cambio, due banche e vari uffici postali, il che dà una chiara idea dell’importanza che riveste per questo municipio il ponte economico con gli USA[14]. Non si tratta certamente un esempio isolato all’interno dello Stato: nel municipio di Siltepec, zona Sierra, si calcola che ogni mese partono 200 persone di un’età compresa tra i 20 ed i 45 anni e che l’ammontare delle rimesse mensili che giungono dagli Stati Uniti superino il milione di dollari. Nella comunità di Las Delicias, appartenente al medesimo municipio, oramai non si vedono più uomini. Sono rimaste solamente le donne e gli anziani che sopravvivono unicamente grazie al denaro che i mariti ed i figli riescono ad inviare a casa[15].

Infine, sono circa 90 mila i chiapanechi che annualmente affrontano la difficile scelta di lasciare casa ed affetti per cercare fortuna dopo il confine. E si stima che circa 380 milioni di dollari l’anno siano frutto delle rimesse di questi lavoratori, cioè circa il 4,5% del Prodotto Interno Lordo dello stato[16].

Per meglio comprendere le ragioni di questo esodo imposto ed i suoi stretti legami con il Trattato di Libero Commercio del Nord America, ci si può soffermare sulle conseguenze che ha subito il mercato del mais successivamente al 1994.

Il Chiapas storicamente ha basato la sua sopravvivenza sull’agricoltura, con una produzione agricola che rappresenta il 45% del PIL dello Stato. Per di più, il 95% dei produttori di mais, sul 65% della superficie agricola chiapaneca, lavorano su un’estensione di terra inferiore ai 5 ettari[17]. Con l’entrata in vigore del NAFTA si sono aperte le frontiere anche per questo prodotto, cosa che implica naturalmente una forte competizione tra la piccola produzione messicana e la grande industria agricola statunitense. Infatti: il rendimento medio di produzione di mais negli USA è di 8 a 10 tonnellate per ettaro, mentre in Messico oscilla tra 2 e 5 e in Chiapas è solo tra 1 e 3[18]. Inoltre, grazie ad una legge promulgata nel 2002, lo stato nord-americano concede ad ogni agricoltore una cifra pari a 52,30 dollari al giorno come sussidio alla produzione, mentre il Messico concede solo 1,8 dollari al giorno[19]. Quindi la produzione del mais messicano costa 181,9 dollari la tonnellata, ma il prezzo sul mercato internazionale è di 123,18 dollari. Il governo messicano e le corporazioni transnazionali, quindi, possono comprare il mais dagli USA a minor prezzo includendo anche le spese di trasporto.

Ed è esattamente quello che fanno

I piccoli contadini messicani e chiapanechi, trovandosi schiacciati da questa irraggiungibile ed ingiusta competenza, sono costretti ad abbandonare il campo e cercare fortuna altrove. Il lavoro che per millenni ha dato da mangiare agli abitanti di questa regione è stato svalutato con un sottile tratto di una penna, un tratto che ancora oggi causa la fuga e peggio ancora la morte di migliaia di persone.

Il Chiapas è uno degli stati del Messico dove più è presente il duro morso della politica liberista, dove le risorse naturali e culturali, ricchissime nel territorio, sono facile preda di grandi compagnie transnazionali, ma dove la resistenza quotidiana dei popoli indigeni è l’unica vera diga contro l’invasione dell’omologazione targata Coca Cola. In questo scenario di lotta si afferma il fenomeno migratorio che, da diligente figlio del sistema liberista, impone l’esilio e la criminalizzazione dell’esule.

Dopo gli attentati dell’11 Settembre, gli Stati Uniti hanno inasprito e di molto la loro politica nei confronti dello straniero trasformandolo di per sè in un potenziale “terrorista”. La paura stillata negli animi della gente permette e giustifica il comportamento congiunto del governo e delle grandi corporazioni che, in nome di una 'sicurezza nazionale' sempre più indefinita e sempre più richiamata dai discorsi ufficiali, mantengono illegale la condizione del migrante. Così facendo gli impediscono di acquisire e di godere di diritti che i lavoratori hanno conseguito in secoli di lotta (salario degno, orari di lavoro umani, assicurazione sanitaria, diritto all’educazione ed all’organizzazione sindacale, ecc.) e lo costringono ad accettare, sotto la minaccia di una pronta deportazione, anche i lavori più rischiosi facilitando inoltre i già prosperi affari delle grandi imprese di esportazione agricola nord-americane.

Questo circolo vizioso, frutto del sistema globalizzatore (apertura dei mercati, conseguente discesa dei prezzi che porta alla migrazione, criminalizzazione e permanente illegalità del migrante che mantengono bassi i salari - alimenta questa ragnatela dove sono le grandi corporazioni agricole quelle che continuano a guadagnare, insieme ai canali di trasmissione delle rimesse, come la Western Union, Elektra, Telégrafos Nacionales, Servicios Panamericanos y Cometra, le banche, ecc.

Parallelamete a questo schema troviamo un nuovo modello che sorge dalla stessa terra chiapaneca: il movimento zapatista. Questo fa della solidarietà e della tradizione indigena le sue fondamenta e risponde alle minacce di morte del liberismo con un progetto di autonomia comunitaria che si presenta come la possibile alternativa nei confronti di un barbaro mercato internazionale che fa della mancanza di regole la sua unica regola. In un’epoca storica dove l’imposta omogeneità culturale si trasforma facilmente nel genocidio dei differenti saperi, l’orizzonte disegnato dagli indigeni del Chiapas sembra essere la risposta più efficace per la sopravvivenza e per il riscatto di questo popolo che, anche a causa dell’acuirsi del fenomeno migratorio, continua a subire la politica colonizzatrice delle grandi potenze mondiali. Da ciò l’importanza dello zapatismo, del suo impegno nel costruire alternative al modello neoliberale, partendo dalle sue 11 domande fondamentali: salute, educazione, terra, tetto, lavoro, alimentazione, pace, giustizia, indipendenza e democrazia con dignità per tutti i popoli.

Carlo Calabrò – CIEPAC, A. C.- murus@laneta.apc.org


[1] Tom Barry, et al. 1994 “Crossing the Line”, Resource Center Press, Albuquerque, New Mexico

[2] Le prime violazioni ai diritti umani dei migranti, in realtá, cominciano anche prima di superare la frontiera, vedi tra gli altri il documento presentato alla Commissione di Diritti Umani dell’ONU dalla Relatrice Speciale sg.ra Gabriela Rodríguez Pizarro, E/CN.4/2002/94, 15. feb. 2002

[3] Bullettin of Atomic Scientist, Michael Flynn, 8-7-2002, vedi www.thebulletin.org

[4] Foro Parlamentario Euro-Mexicano sobre Migración, dichiarazione del presidente della Commissione dei Diritti Umani del Senato della Repubblica, Miguel Sabot Sánchez Carreño, pubblicata nel quotidiano “la Jornada” il 30-03-2004, pag.14

[5] Vedi l’investigazione del doc. Jeffrey S. Possel, pubblicata dall’Urban Institute il 12-01-2004, www.urban.org

[6] Saskia Sassen, in: “Migrantes indígenas mexicanos en lo Estados Unidos: nuevos derechos contra viejos abusos”, Cuadernos Agrarios, México, 2000

[7] “The Arizona Republic” articolo del 14-03-2004

[8] “La Jornada” 30-03-2004, pag. 14

[9] Le cifre sono state raccolte da uno studio emesso dalla Banca Centrale Messicana pubblicato dal quotidiano “Carto Poder” il 25-03-2004, pg.A9 e da i risultati del Foro Euro-Messicano sulla Migrazione, tenutosi al termine del mese di Marzo 2004

[10] Dati emessi dall’Istituto CONAPO (Consiglio Nazionale della Popolazione) recuperabili nel sito: www.conapo.gob.mx, consultato il 30-03-2004

[11] Studio presentato dalla Camera dei Deputati della Repubblica Messicana pubblicato sul quotidiano “Cuarto Poder” il 1-03-2004, pag. A4

[12] Dati presentati dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani nell’informe del 2003, www.cidh.oas.org

[13] Agenda Statistica dello stato del Chiapas, 2000

[14] Notizia comparsa nel quotidiano “Cuarto Poder” il 24-03-2004, pag. B15

[15] Dati assunti grazie ad una intervista che il sig. Jesús Barrios Escobar, residente nel municipio di Siltepec, ha concesso all’autore

[16] “Cuarto Poder” 24-12-2003

[17] Inforamzione di: “ El Maiz en el Estado de Chiapas”. Instituto Nacionale di Statistica, Geografía e Informática. 1997. pg 31

[18] “Donde todo es mercancía” studio presentato al “Primero Foro de Biodiversidad” nel Giugno 2001, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Mex

[19] vedi CIEPAC, bollettino chiapas al dia n°328, www.ciepac.org



logo

Indice delle Notizie dal Messico


home