La foja coleta
20 marzo 2004

Manipolazioni al tavolo sui Montes Azules
Carlos Herrera

San Cristóbal de Las Casas, 20 marzo - Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, ritiene che il governo statale e federale non sta facendo giustizia al diritto alla terra ed alla vita degli indigeni insediati nella Riserva dei Montes Azules.

In una conferenza stampa, la direttrice del Centro, Blanca Martínez, ha dichiarato che la questione dei Montes Azules e della Selva Lacandona "è il prodotto di un'ingiustizia precedente", perché il governo non ha rispettato il diritto alla terra degli indios di questa zona.

L'avvocata del Centro, organizzazione che compie 15 anni dalla sua fondazione e del suo percorso insieme agli indigeni, ha denunciato che il governo federale e statale vogliono sgomberare le persone che abitano nella Selva per consegnare le risorse naturali alle imprese straniere.

All'interno di questa strategia governativa, diverse istituzioni del governo federale e statale stanno spingendo per la firma di trattati con i quali cercano solo di ingannare gli indigeni e di non rispettare la storica domanda di terra.

"Questa è mancanza di rispetto, di etica ed ovviamente è un'azione voluta, questo non è consultare la gente, è manipolazione, è l'utilizzo degli strumenti in possesso delle autorità per continuare ad ingannare la gente".

Per questo ha affermato che "il problema dei Montes Azules non si risolverà se non con la partecipazione e con una vera consultazione: prendendo sul serio la parola delle comunità indigene coinvolte".

La direttrice del Centro, organizzazione presieduta dal vescovo emerito Samuel Ruiz García, ha annunciato che tra poco verrà presentato un ampio rapporto per denunciare tutte le anomalie e le storture che stanno commettendo funzionari pubblici contro i popoli indigeni della Selva.

In contrapposizione agli interessi transnazionali, le comunità indigene insediate nella Selva Lacandona hanno presentato diverse soluzioni per poter conservare la biodiversità, per potersi sviluppare come popoli e per fornire una proposta alternativa e giusta.


Liberare i paramilitari significherebbe alimentare la complicità
Carlos Herrera

San Cristóbal de Las Casas, 20 marzo - Il vescovo emerito Samuel Ruiz García ha dichiarato che chi abbraccia cause apparentemente giuste e chiede che si riapra il caso Acteal "in maniera indiretta sta alimentando la complicità" nel citato pluriomicidio.

Riguardo alla posizione di un gruppo di evangelici che vogliono che si riapra il caso Acteal, il vescovo ha affermato che questa posizione è solo una ricerca apparente di "applicare la vera giustizia".

In una conferenza stampa, Samuel Ruiz ha precisato che affermare che ci sia gente ingiustamente imprigionata e che il problema è religioso, "alimenta in maniera indiretta la complicità di chi vuole risolvere questo caso ma non vuole cercare i veri responsabili di questo massacro, che si conoscono bene".

Ha spiegato che il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas continuerà ad insistere, senza entrare in polemica, "nel fornire un'informazione periodica, a tutti i livelli, per capire la situazione precedente che generò il massacro", affinché non ci sia il rischio "che si forniscano informazioni distorte all'opinione pubblica".


Marciano per liberare le persone coinvolte nel Massacro
Ery Acuña

Tuxtla Gutiérrez, 20 marzo - Il Consiglio Latinoamericano delle Chiese (CLI) che raggruppa 70 associazioni religiose di tutto il mondo, ha chiesto alla Procura Generale della Repubblica di riaprire il caso Acteal, poiché i procedimenti penali della maggioranza degli 82 indigeni giudicati per la loro partecipazione nel massacro di 45 persone, presenterebbero vizi di origine.

Oltre 500 persone che portavano striscioni e cartelli hanno chiesto "Giustizia" di fronte all'edificio del Tribunale Federale di questa città, per chiedere la liberazione dei loro compagni reclusi nel carcere di Cerro Hueco da 5 anni con l'accusa di aver ucciso 21 donne, 15 bambini e 9 uomini il 22 dicembre del 1997 nei dintorni di Acteal, del municipio di Chenalhó, ne Los Altos del Chiapas.

Isaías Ramos Corona, segretario del CLI, ha dichiarato che gli 82 indigeni tzotziles detenuti, sono stati processati senza la presenza di un traduttore e sulla base di prove prefabbricate.

"Non possiamo affermare che tutti siano innocenti, ma possiamo dire che non c'è stato un processo secondo diritto. Speriamo che si riapra il caso Acteal e che ci sia un processo secondo diritto e suddiviso caso per caso".

Ramos Corona ha segnalato che gli 82 processati hanno subito vessazioni e violazioni delle loro garanzie individuali nel carcere di Cerro Hueco di Tuxtla Gutiérrez.

Circondato da cartelloni bianchi con la scritta "Vogliamo Giustizia", il rappresentante del CLI ha segnalato che è inconcepibile che la Procura abbia trovato solo 15 armi da fuoco utilizzate per il massacro di 45 persone e le persone arrestate siano 86.

Il leader evangelico ha ricordato che stanno aspettando che il segretario di Governo Santiago Creel, adempia alla promessa di rivedere il caso per verificare le denunce di procedure viziate in origine nella sentenza di colpevolezza "ma fino ad oggi non abbiamo visto azioni concrete".

Questa è la seconda occasione in cui un gruppo di evangelici manifesta contro il procedimento penale nei confronti degli 82 detenuti a Tuxtla Gutiérrez.

LA FOJA COLETA
Direttrice: CONCEPCIÓN VILLAFUERTE
Editore: Amado Avendaño Figueroa
Collaboratori: Carlos Herrera, Heriberto Velasco, Manuel Martínez López
Uffici: Calle Venustiano Carranza #26 - Barrio de San Diego - San Cristóbal de Las Casas - Chiapas
Teléfono (967) 678-90-62 - E-mail: lafojacoleta@yahoo.com.mx - Pagina web: www.lafoja.com


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" di Bergamo)



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