NEO-COLONIALISMO
Le mani sul Messico
MIGUEL LEON PORTILLA*
Diamo un'occhiata alle cose di maggior risalto nell'attuale situazione dell'economia messicana. Cominciamo con chi lavora in varie forme con il denaro. Mi riferisco alle banche. Dopo un processo di statalizzazione, poi di riprivatizzazione con nuovi e sagaci padroni, questi ultimi hanno venduto le banche a istituti di credito, principalmente statunitensi, spagnoli o di altra provenienza come, per dare un solo esempio, il molto pubblicizzato Hsbc. Ad eccezione di Banorte e della banca statale, abbastanza ridotta, quasi tutto è in mani straniere. I media informano con relativa frequenza sugli spettacolari profitti che ottiene la banca. Tutti quei milioni se ne vanno dal Messico e qui che ci rimane? Qualcuno dirà che si sono aperte fonti di lavoro. A questo va risposto che sono posti di lavoro mal pagati.
L'invasione del junk food
Passiamo a quello che riguarda l'alimentazione. Sono innumerevoli le corporazioni, in particolare statunitensi, che manifatturano o importano alimenti. Le catene di ristoranti, soprattutto quelli di junk food o simili, sono tutte o quasi proprietà o succursali di corporations statunitensi. Gli esempi sono McDonald's, Kentucky Fried Chicken, Burger King... Per quanto riguarda gli impianti alberghieri, l'immensa maggioranza è «incatenata» a catene di marchio statunitense e spagnolo: Sheraton, Marriot, Meliá e altre ancora. L'industria editoriale è stata sempre più assorbita da aziende straniere, statunitensi, spagnole, francesi e perfino italiane.
Continuiamo. Che dire degli aeroporti, delle ferrovie e di non poche linee aeree? Una buona parte di tutto ciò appartiene ad imprese straniere. Si parla attualmente di vendere Aeroméxico e Mexicana. Chi le comprerà? Nel campo dell'energia - specialmente riguardo a elettricità e idrocarburi - un po' alla volta, e come di nascosto, si stanno aprendo le porte agli investimenti provenienti da fuori.
L'industria automobilistica è ugualmente in mani straniere. E' vero che il Messico esporta centinaia di migliaia di auto e camion, ma tutti prodotti da imprese straniere. Il Nafta (il trattato di libero commercio con Canada e Stati uniti, in vigore dal 1994) ha facilitato le transazioni economiche per le imprese multinazionali, giacché sono stati ridotti i dazi di esportazione e importazione. L'industria dell'auto, come le banche, maneggia miliardi di dollari e ricava anch'essa grandi profitti. Di tutto questo, che ci rimane? Qualcuno risponderà ancora che si sono creati posti di lavoro. E bisognerà aggiungere: sì, però mal pagati.
Sono state così tante le vendite di un'infinità di cose che uno si può chiedere: che rimane ai messicani? Dirò almeno che c'è qualcuno come Carlos Slim (il messicano più ricco secondo Forbes), che ha investito molto in Messico ed è padrone di Telmex, Imbursa, Condumex, Sears e anche Sanborns, La Balance e molte altre cose.
Ora si profilano due nuove minacce. Una è quella delle catene di supermercati. Già hanno aperto i battenti Auchan, Carrefour e Wal-Mart. Ma, come se non fosse abbastanza, Wal-Mart pretende d'installare una delle sue succursali addirittura nel contesto della zona archeologica di Teotihuacan. Se ci riesce - e sembra di sì - quell'edificio potrà essere chiamato il «Tempio dell'iniqua e grande profanazione», che, per quanto ne so, non aveva una divinità protettrice in Mesoamerica.
Ma c'è di più. Continua a pesare la minaccia sulle isole Coronado, di fronte alle coste settentrionali della Baja California. L'impresa petrolifera Chevron-Texaco si propone di costruire lì vicino un impianto di trattamento del gas liquido per portarlo poi negli Stati uniti. Ha il permesso del ministero dell'ambiente e delle risorse naturali? Greenpeace ed altre organizzazioni ecologiste hanno segnalato i molti rischi che si corrono: danni irreparabili alla fauna marina e alla flora delle isole, pericoli per gli abitanti di Tijuana e Ensenada e molte altre minacce, fra cui quella di convertire la regione in un obiettivo interessante per i terroristi che tanto preoccupano il signor Bush e la sua banda.
Non c'è bisogno di menzionare le maquiladoras, in cui si vende a basso prezzo la manodopera messicana. E qualcosa di simile succede con i milioni di messicani costretti a passare la frontiera. All'otro lado vendono il lavoro, lo sforzo, il sudore e a volte anche il sangue e la vita. Lo fanno per sfuggire alla povertà e alla miseria.
La vergine di Guadalupe a Los Angeles?
La lista di quello che è stato venduto potrebbe allungarsi. Dobbiamo porci una domanda chiave: che cosa è rimasto per il Messico? Con tutto quello che si è venduto, è stato pagato l'enorme debito estero? Il Messico ha finalmente una buona infrastruttura industriale? Dove stanno le migliaia di milioni delle vendite?
Che succederebbe se un giorno ci si presentasse un'offerta straniera per comprare la basilica di Guadalupe con l'immagine della Vergine, Nostra Madre Tonantzin, compresa.
Il compratore potrà farsi i suoi conti. Porterà in tournée l'immagine della Guadalupe a Los Angeles, Chicago e in altri luoghi in cui vivono nostri connazionali e potrà recuperare in poco tempo l'investimento iniziale. A quanto pare, nell'Ottocento gli Stati uniti ci pagarono con un pugno di dollari per prendersi metà del nostro territorio e poi ci diedero qualche milioncino in più per comprare La Mesilla che oggi fa parte di Arizona e New Mexico. Continueremo a vendere il nostro paese? Che cosa ci rimane da vendere? Messico è in vendita?
[* Miguel León Portilla è il maggiore storico vivente delle civiltà precolombiane.
Questo testo è stato pubblicato su La Jornada il 14/10/200 - pubblicato su il manifesto del 22/10/04]
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