il manifesto 3 settembre 2004
Tutti contro Vicente Fox, "Pinocchio" messicano
Fischi in parlamento, manifestazioni e sciopero generale contro i piani di riforma iperliberista del presidente
L'ingovernabilità di Foxilandia - Polizia antisommossa davanti al parlamento - Le proteste si moltiplicano all'insegna di slogan come "sicurezza sociale, patrimonio nazionale"

GIANNI BERETTA

Ne avrebbe fatto volentieri a meno Vicente Fox questo primo di settembre di rivolgersi alla sessione delle camere riunite per presentare il suo IV rapporto sullo stato della nazione. Ma il presidente messicano non poteva certo sottrarsi a questo solenne obbligo costituzionale che si è convertito per lui in una clamorosa contestazione istituzionale, a dimostrazione della galoppante crisi di ingovernabilità, quando mancano ancora due anni alla fine del suo mandato. La gran parte dei 628 legislatori messicani, con in testa l'opposizione socialdemocratica del Partito rivoluzionario democratico (Prd) e la sinistra del Partito del lavoro (Pt), ma anche l'ex governante Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), lo hanno costantemente interrotto a grida e slogan e con striscioni ironici ("la Foxilandia di Pinocchio"), convertendo la cerimonia in una baraonda senza precedenti.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha generato una protesta generalizzata e trasversale in tutto il paese è stata la drastica riforma promossa da Fox sulle pensioni e liquidazioni, che di fatto porterebbe alla privatizzazione dell'Istituto messicano di sicurezza sociale (Imss). Non c'è praticamente stato dei 31 che compongono il Messico federato che non si sia sollevato spontaneamente con alla testa le organizzazioni sindacali indipendenti, che si sono moltiplicate dopo la caduta del settantennale regime a stato-partito del PRI e delle sue cinghie di trasmissioni sindacali. Il governo di Fox e del suo Partito di azione nazionale (Pan) si è distinto in questi quattro anni per la sua politica iperneoliberista che ha esteso la povertà al 70% della popolazione e ha incrementato ulteriormente il flusso migratorio dei messicani oltre la frontiera statunitense. Fino a che il recente stravolgimento del sistema pensionistico ha provocato lo sciopero generale di mercoledì, che i dirigenti sindacali definiscono solo "un assaggio" rispetto alle agitazioni che verranno se Fox non invertirà la marcia.

Erano diversi giorni che le proteste si moltiplicavano a macchia d'olio all'insegna di "sicurezza sociale, patrimonio nazionale": blocchi stradali intermittenti, interruzioni parziali del servizio elettrico e telefonico, manifestazioni di piazza e la convocazione di una grande protesta fuori dal Palazzo legislativo di San Lazzaro nella capitale in occasione del discorso del presidente Fox. La tensione nel paese era tale che l'intero "zocalo" di Città del Messico è stato militarizzato da 3.500 uomini fra esercito e polizia federale, che hanno tenuto lontani i dimostranti. Non solo: il ministero degli interni ha dato disposizioni per la stretta sorveglianza di porti, aeroporti, centrali elettriche e pozzi petroliferi per evitare spettacolari azioni dimostrative. Insomma, un vero e proprio stato d'assedio, quando in realtà, fino ad ora, la mobilitazione si è svolta in maniera sostanzialmente pacifica.

Dribblate le proteste popolari, e giunto al Congresso in incognito a bordo di un camioncino bianco, Fox non ha potuto evitare però l'ostilità dei parlamentari, snobbati dal suo governo che è in minoranza fra i legislatori e che dunque ricorre costantemente ai decreti presidenziali. Era prevedibile che sia il Prd che il Pri, che naturalmente cavalcano il malcontento popolare, lo contestassero ferocemente. Fox ha tentato di far buon viso a cattiva sorte segnalando il 4% di crescita economica prevista per quest'anno, il basso tasso di inflazione e il ruolo giocato dal Messico al Consiglio di sicurezza dell'Onu sulla crisi dell'Irak.

Ma è stato tutto inutile. Non gli è servito neppure ammettere che "la povertà e l'insicurezza restano i problemi nazionali più urgenti". E ha provato persino a modificare sul momento il suo discorso auspicando una tregua per l'apertura di un "dialogo nazionale".

Il presidente del parlamento, il priista Fabio Beltrones, gli ha risposto, "il presidente della repubblica raccoglie ciò che ha seminato". A questo punto la delegittimazione è diventata palese. Tanto che qualcuno azzarda che Fox potrebbe non arrivare alla fine del suo mandato. Ipotesi peraltro non infrequente nell'America latina di oggi.



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