San Cristóbal de Las Casas, Chis. 26 ottobre - L'abito non fa il monaco né i pantaloni di lana l'indio, ma nei villaggi de Los Altos i costumi tradizionali continuano ad essere determinanti. Zinacantecos, chamulas, andreseros o pedranos (di Chenalhó) si distinguono secolarmente per i rispettivi vestiti che fanno parte della loro identità.
Però, come del resto tutte le tradizioni tzotziles e tzeltales della regione, i vestiti cambiano, evolvono. L'hanno fatto sempre.
Nei due ultimi anni, per esempio, le donne di Zinacantán e di San Juan Chamula hanno cambiato i colori delle loro bluse e dei loro mantelli. "Come se stessero seguendo un’altra moda", commentava giorni fa un indigeno sancristobalense. Un altro sintomo di cambiamento. Tutto questo senza dimenticare l'innovazione dell'abbigliamento dovuto in modo indiretto dall’insurrezione zapatista, con paliacate nel viso o passamontagna, così come le ormai famose uniformi di insurgentes e miliaziani, tutti indigeni e contemporanei.
Per tre decenni almeno, la totalità delle chamulas si erano vestite solo con bluse di satin bianco o celeste, oltre alle loro nere gonne di lana grezza. Ora hanno liberato i colori del satin: gialla senape, verde pistacchio o limone, viola, lilla, blu mare. Perché non lo dovevano fare, visto che i loro uomini si vestono da punk o cowboy, anche se non sempre?
Anche le zinacantecas hanno fatto un cambio drastico nei colori e nei motivi dei loro delicati ricami. Le vistose ed originali malve e gli azzurri cerulei del passato hanno ceduto il passo ad un audace nero ed a un viola profondo, al filo argentato ed ai pizzi madreperlati. In Zinacantán, le bluse e gli scialli (ed i chuj degli uomini) hanno sperimentato un cambiamento che ha beneficiato - chi lo avrebbe mai detto? - il guardaroba della prima dama della nazione.
La signora Marta de Fox suole normalmente apparire negli eventi indigenisti (ma anche sociali e perfino in qualche atto dal balcone presidenziale) con bluse dal "nuovo ricamo" zinacanteco in tonalità scure, anche se tagliate secondo la moda occidentale per assecondare la sua figura e far risaltare i braccialetti, gli orecchini e le collane di argento e di pietre preziose che porta sempre. È riuscita a combinare lo stile delle donne dell'uomo pipistrello con le sue gonne esclusive e le scarpe di pelle dal tacco alto.
Modernità, tradizione ed altro. Le tojolabales della selva, che da molto sfoggiano tessuti sintetici dai colori fosforescenti e dalla consistenza elastica, hanno optato anche loro per i toni seri: dall’arancio e dal verde acqua sono passate al marrone, al verde bottiglia ed al blu prussia.
Anche nei ricami sempre straordinari di San Andrés, Magdalenas, Tenejapa e San Juan de La Libertad (El Bosque), i cambiamenti sono costanti anche se meno ovvi. Ciò che cambia sono le greche ed i fiori dei loro huipiles. Raccontano nuove storie antiche, ma a prima vista sembrerebbero esserci le stesse combinazioni di rosso, viola e giallo sul bianco della tela. Qui, la modernità si trova nei dettagli.
Due uomini giovani discendono dall'aero nell'aeroporto di Terán (Tuxtla Gutiérrez). Vestono camicia, giubba, pantaloni e stivali bianchi a punta. Impeccabili, nuovi di zecca. Sulla camicia uno ha il petto circondato da frange di fili, che contornano vivide scene da rodeo stile Marlboro. Si muovono con diffidenza nei corridoi e timidamente raccolgono grandi pacchi dal carosello dei bagagli. Parlano in tzotzil e si dirigono verso Los Altos, tornano a casa.
Hanno trovato negli Stati Uniti quel vestiario in taglie piccole. Va bene a loro, anche se è percepibile la loro sensazione di estraneità. Ricordano quel saggio di John Berger sui ritratti del fotografo August Sander di contadini tedeschi di un secolo fa in abiti di città: vestiti in giacca e cravatta, che non sembravano fatti per quei corpi robusti e rurali. Qualcosa di equivalente suggeriscono questi cowboy chamulas che tentano perfino di farsi crescere i baffi.
Alle terminal di autobus di Tuxtla Gutiérrez, San Cristóbal de Las Casas ed Ocosingo, ogni giorno sono più frequenti gruppi di indigeni che ritornano dal fare l’illegale dall'altro lato. Normalmente caricano, come tutti i lavoratori messicani che ritornano del nord, grandi scatoloni, valigie e sacchi. Sicuramente se ne sono andati via mesi fa dal Chiapas su camion tijuaneros o per proprio conto, hanno attraversato il deserto aiutati dalla resistenza fisica forgiata dalla loro vita contadina, hanno lavorato duramente e portano dollari e cose [Il nuovo fenomeno migratorio chiapaneco è stato documentato recentemente su La Jornada dai reportage di Juan Balboa].
Ora si vedono molti viaggiatori indigeni sui voli commerciali che arrivano alla capitale chiapaneca. Si tratta di emigranti che hanno avuto fortuna, intrisi di Texas, California, Oregon o Colorado. Gli orribili giubboni in fibra termica e le giacche a vento in poliestere e made in Cina, rivelano nuove modalità, chissà se passeggere, di affrontare il freddo delle montagne del Chiapas.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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