il manifesto - 30 gennaio 2003

Cosa c'è dietro "la guerra fra indios" del Chiapas

Dopo gli ultimi scontri fra i Chamula, che hanno provocato sette morti

Il peso della religione ma soprattutto della terra

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

A cinque anni dalla strage di Acteal, in cui 45 indigeni in preghiera, in maggioranza donne e bambini, furono sterminati dalle bande paramilitari, lo spettro della violenza "fra indios" torna a incombere sul Chiapas. A San Juan Chamula, un municipio di maya tzotzil a venti minuti da San Cristóbal, due scontri armati negli ultimi giorni hanno lasciato 7 morti e 7 feriti.

È l'inizio di una nuova spirale di violenza o solo un episodio circoscritto di una guerra fra "fazioni rivali" per il controllo dei pozzi d'acqua, come pretendono le autorità? Esacerbati dall'imminenza delle elezioni mid-term, che rinnoveranno a luglio l'intero parlamento, questi nuovi conflitti hanno in realtà radici lontane.

Il corso del Rio Grijalva forma lo spettacolare canyon del Sumidero. Con un tragitto di un'ora su una lancia a motore - si possono vedere avvoltoi, pellicani e, con un po' di fortuna, dei coccodrilli che prendono il sole - si arriva fino alla diga idroelettrica di Chicoasen. Nel punto più alto, le pareti del canyon superano i mille metri. È da lì che gli indios Chiapa, in una celebre battaglia nel 1528, preferirono suicidarsi piuttosto che cadere in mano degli spagnoli. Quegli indios irriducibili hanno dato il nome allo stato e l'immagine del Sumidero è entrata nel suo scudo.

Ricco di risorse naturali, produttore di elettricità ed esportatore di caffè (in crisi), il Chiapas, che confina con il Guatemala, è uno degli stati con maggiore presenza indigena (circa un terzo dei 4 milioni di abitanti). E uno dei più poveri e arretrati del Messico. La mortalità infantile, l'alto tasso di analfabetismo, l'assenza dei servizi più elementari - e, negli ultimi anni, la militarizzazione del territorio - marcano la vita delle comunità maya.

Al momento dell'indipendenza dalla Spagna, il Chiapas faceva parte della Capitanía General de Guatemala. Ma, con un ristretto referendum nel 1824, decise di incorporarsi al Messico.

Neanche la Rivoluzione del 1910 è riuscita a scalfire la rete dei rapporti di dominio che, in Chiapas, tiene soggiogata la popolazione indigena. Per questo, all'apparire dello zapatismo nel 1994, si è scritto che "finalmente la Rivoluzione messicana è arrivata in Chiapas".

Fra i maya tzotzil, i Chamula sono il popolo più grande e rispettato. Ma i conflitti religiosi lo hanno profondamente diviso. Da più di 20 anni, da quando sono cominciate le prime conversioni, se un chamula si converte al protestantesimo, viene espulso dalle terre comunitarie. Che la vera ragione delle espulsioni sia la forte pressione demografica su terre di per sé poco produttive, non cambia il dato principale: dei circa 150mila Chamula, quasi due terzi vivono "in esodo". Molti sono domestiche, artigiani e venditori ambulanti a San Cristóbal de Las Casas.

Fu con l'amatissimo presidente Lazaro Cárdenas (1934-1940) che i Chamula trovarono risposta ai loro reclami territoriali. Cárdenas concesse loro protezione e riconoscimento giuridico, ottenendone in cambio fedeltà incondizionata al regime del Partido Revolucionario Institucional, al potere fino al 2000.

Per un lungo periodo, la coesione dei Chamula è stata monolitica: filogovernativi a oltranza, praticavano una sola religione - che definiscono "cattolicesimo tradizionale" ma configura piuttosto un culto sincretistico - e sottostavano al potere assoluto di "cacicchi" locali che controllavano gli aiuti statali e i voti elettorali.

Ma il sistema, perfettamente funzionale al mantenimento dello status quo, ha incominciato a incrinarsi una ventina d'anni fa, quando sono cominciate le prime conversioni di massa alle sette evangeliche, con cui intere comunità uscivano da una rete oppressiva di rapporti sociali affrontando esilio ed espropri. I colpi definitivi al monolitismo delle comunità indigene li hanno dati l'insurrezione zapatista del 1994 e il nuovo quadro politico nazionale sorto nel 2000 con la sconfitta del Pri. Da allora, la nascita di un pluralismo politico finora sconosciuto e, soprattutto, la mano nera dello Stato che ha fomentato le divisioni interne in funzione antizapatista, hanno esacerbato i conflitti.



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