La Jornada 28 maggio 2003

LA MILITARIZZAZIONE È LA RISPOSTA PERMANENTE ALLE RICHIESTE DEGLI INDIGENI IN CHIAPAS

ONG e ricercatori: nello Stato sono impiegati 60 mila effettivi militari

HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

San Cristóbal de Las Casas, 27 maggio - Nel corso degli anni, passando dalle minacce alle promesse governative, la militarizzazione generalizzata delle terre indigene del Chiapas continua ad essere l'unica risposta costante alle richieste dei nativi. Anche secondo i calcoli più cauti, questo è lo Stato della Repubblica con la maggior concentrazione di truppe e materiale da combattimento.

Organizzazioni civili e ricercatori indipendenti calcolano che in Chiapas ci siano 60 mila effettivi militari, mentre le fonti militari, sempre molto parche, non ne ammettono più di 18 mila. Dopo l'offensiva zedillista contro gli indios ribelli nel 1995 e fino ad oggi, non c'è stato alcun ritiro o riduzione significativi di truppe e niente che indichi che il loro numero sia diminuito: movimenti di personale, cambio di posizioni (a volte a qualche chilometro dalla postazione precedente) e rilevamento di qualche reggimento.
Niente di tutto questo. Una macchina da guerra installata da più di sei anni dedicata a "contenere" i popoli maya e zoques dello stato (il 2% della popolazione nazionale).

Di conseguenza, il Chiapas è l'unico stato in cui si pratica apertamente e sistematicamente una "guerra di bassa intensità" che serve a distruggere la solidarietà nelle comunità. "Togliere l'acqua al pesce della rivolta", oppure "conquistare le menti ed i cuori dei nativi", come suggeriscono i manuali classici che il Pentagono applicava nei paesi bananeros.

Dove c'è militarizzazione non c'è pace

Oggi, 27 maggio 2003, sono in azione 50 posti di blocco su strade e sentieri.

Nella Selva Lacandona, nella zona nord, nella regione di Frontiera e Los Altos si stagliano grandi installazioni militari. Si vedono Basi di Operazioni Miste (BOM) dovunque. Mezzo migliaio di accampamenti e quartieri militari per la maggior parte concentrati intorno alle comunità in resistenza dove vivono le basi d'appoggio dell'EZLN. In alcuni luoghi, come Chenalhó, la valle di Ocosingo, i confini dei Montes Azules e le vallate della selva, il dispiegamento delle forze federali da combattimento è opprimente.

La presenza senza tregua dell'Esercito federale ha trasformato la vita sociale delle comunità in cui è installato. Costituisce una minaccia esplicita per gli zapatisti. E se si tratta di località "alleate" (come San Quintín, Cintalapa, Nueva Palestina, Monte Líbano ed altre enclavi priiste della selva), la trasformazione è ancora più profonda: i campesinos diventano lavandai, servitori, informatori, commercianti. Queste comunità adesso conoscono, almeno di vista, la prostituzione ed altre pratiche "civilizzatrici".

Sembrerebbe questa la principale risposta dello Stato messicano alle rivendicazioni ribelli del 1994. La seconda parte di questa "risposta", i cosiddetti investimenti sociali, sono stati milionari nei numeri, parziali nella loro esecuzione e sempre orientati a "scoraggiare" preferibilmente la resistenza dei ribelli. Vari analisti concordano sul fatto che il governo di Vicente Fox continua a pensare di "sconfiggere" la resistenza nonostante questa si mantenga pacifica. Oltre mille comunità sono in attesa che si compiano gli impegni di un governo che continua a scommettere che "tutto questo si deteriorerà".

Prima di perdersi nel dibattito su cosa sia nato prima, se l'uovo o la gallina (la ribellione o la violenza atroce delle "cause che hanno dato origine alla ribellione"), è il caso di parafrasare alcune parole della ricercatrice Ana Esther Ceceña, pronunciate in questa città circa due settimane fa: "Dove c'è militarizzazione non c'è pace".

I conflitti che soffocano la vita quotidiana delle comunità autonome sono il prodotto diretto della "guerra di bassa intensità" anche se la mano militare non sempre si vede ad una prima occhiata. Il governo non ammette che esistano paramilitari: quelli che esistono, sostiene, sono "conflitti intercomunitari".

Come il ronzio di un vecchio frigorifero, le presenze costanti si dimenticano

Nei discorsi ufficiali e sui mezzi di comunicazione, la militarizzazione ed i suoi effetti non esistono. Nel frattempo, si criminalizza la dissidenza e la repressione può chiamarsi "applicazione della legge" e "ristabilimento dello stato di diritto".

Nel momento in cui sarebbe il caso di chiedersi il perché della "conflittualità intercomunitaria", lo spiegamento militare dissuasivo ed il suo impatto politico e sociale sembrano essere la lettera rubata del racconto di Edgar Allan Poe. A volte l'ovvio non è l'evidente: qui non c'è pace perché la guerra non cessa. Anche se sorda, subdola, lenta, dissimulata, di "bassa intensità", la guerra contro le comunità indigene del Chiapas c'è ed è in corso.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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