CHIAPAS: LA TREDICESIMA STELE

Terza Parte: Un Nome

Piove. Normalmente piove in luglio, il settimo mese dell'anno. Sto tremando vicino al fuoco, rigirandomi su me stesso come un pollo in rosticceria per vedere se così mi asciugo un poco. La riunione con i comitati è finita molto tardi, all'alba, e noi siamo accampati a buona distanza dal luogo della riunione. Non pioveva quando siamo partiti ma, come se ci stesse aspettando si è scatenato un acquazzone tremendo proprio mentre ci trovavamo a metà strada, cioè quando era lo stesso proseguire o tornare indietro. Gli insurgenti sono andati nelle rispettive capanne a cambiarsi l'uniforme bagnata. Io no, e non per coraggio, ma per stupidità, perché per alleggerire il peso dello zaino non mi sono portato un ricambio. Così sono qui, facendo il "pollo alla Sinaloa". E inutilmente per giunta, perché, per qualche ragione che non riesco a comprendere, il mio berretto sembra una spugna che assorbe l'acqua quando piove e la rilascia da sola al coperto. Per cui, dentro la capanna dove c’è il fuoco, ho la mia pioggia personale. Questi assurdi non mi meravigliano. Dopo tutto siamo in terre zapatiste e qui l'assurdo è frequente quanto la pioggia, soprattutto nel settimo mese dell'anno. Ho gettato altra legna sul fuoco e non in senso figurato e ora le fiamme minacciano di bruciare il tetto. “Non c'è limite al peggio”, mi dico ricordando uno dei proverbi di Durito, ed è meglio che me ne esca.

Fuori non piove più da sopra, ma sotto il mio berretto c'è un diluvio. Io sto tentando di accendere la pipa con il fornello rivolto verso il basso quando arriva il maggiore Rolando. Nel vedermi si blocca. Guarda il cielo (che adesso è già completamente sereno e con una luna che sembra, senza alcun dubbio, un sole di mezzanotte). Torna a guardarmi. Io comprendo il suo disappunto e dico: "È il berretto". Rolando dice "Mmh", che significa qualcosa come "Ah". Nel frattempo sono già arrivati altri insurgentes e insurgentas e, naturalmente, una chitarra (questa sì, ben asciutta) e si mettono a cantare. Il Rolando ed io iniziamo a duettare La Chancla davanti ad un pubblico perplesso perché qui la hit parade prevede cumbias, corridos e canzoni del nord.

Vista la ripetizione dei miei falliti tentativi di lancio come cantante, mi sono ritirato in un angolo ed ho seguito il saggio consiglio del Monarca che, proprio come Rolando, mi ha guardato, ha sollevato gli occhi al cielo, è tornato a guardarmi e ha detto soltanto: “Sup, togliti 'sto berretto”. L’ho tolto ed ovviamente quella pioggia privatizzata si è interrotta. Il Monarca ha raggiunto gli altri. Ho detto al capitano José Luis (che mi fa da scorta) di andare a riposare, che non dovevo fare più nulla. Il capitano se n'è andato via, ma non a riposare, bensì ad unirsi al coro.

Così mi sono ritrovato solo, tremando ancora però senza più pioggia su di me. Ho tentato di nuovo di accendere la pipa, questa volta dal verso giusto, ma ho scoperto che l'accendino si era bagnato e non dava nemmeno una scintilla. Ho mormorato: "Porca miseria, nemmeno la pipa riesco ad accendere, il mio sex appeal se ne andrà di sicuro in malora". Nelle tasche dei pantaloni, che non sono poche, stavo cercando non un esemplare tascabile del Kamasutra, ma un accendino asciutto, quando una fiamma mi si è accesa vicino.

Dietro la luce ho riconosciuto il volto del Vecchio Antonio, ho avvicinato la pipa al fiammifero e tirando ancora per accenderla, ho detto al Vecchio Antonio: “Fa freddo”.

“Già”, ha risposto e con un altro fiammifero ha acceso la sua sigaretta fatta a mano. Alla luce del fiammifero, il Vecchio Antonio si è fermato a guardarmi, poi ha guardato il cielo, poi mi ha guardato un'altra volta, però non ha detto nulla. Io nemmeno. Di sicuro il Vecchio Antonio è già abituato, come me, agli assurdi che popolano le montagne del sudest messicano. Un vento repentino ha spento la fiamma e siamo rimasti solo con la luce di una luna come un'ascia intaccata dall’uso e con il fumo che striava l'oscurità. Ci siamo seduti sul tronco di un albero caduto. Credo che siamo stati un momento in silenzio, non ricordo di preciso, poi senza che nemmeno me ne rendessi conto, il Vecchio Antonio mi stava già raccontando....

LA STORIA DEL SOSTENITORE DEL CIELO

"Secondo i nostri antenati, bisogna sostenere il cielo affinché non cada. Cioè, il cielo non è proprio stabile, ma ogni tanto si indebolisce e quasi sviene e si lascia cadere così come cadono le foglie dagli alberi ed allora arrivano solo calamità perché il male si abbatte sul campo di mais e la pioggia rompe tutto e il sole punisce la terra ed è la guerra che comanda ed è la menzogna che vince ed è la morte che cammina ed è il dolore che pensa.

I nostri antenati dicevano che è così perché gli dei che fecero il mondo, i primi, ci misero così tanto impegno nel fare il mondo che, dopo averlo finito, non avevano più abbastanza forza per fare il cielo, cioè il tetto della nostra casa, e misero solo lì quello che capitò e da allora il cielo è sistemato sulla terra solo come un telo di plastica. Per cui il cielo non è proprio stabile, ma a volte è come se si afflosciasse. E devi sapere che quando succede questo, si crea disordine tra i venti e le acque, il fuoco si inquieta e la terra sembra alzarsi e incamminarsi senza trovare dove potersi riposare.

Per questo motivo quelli che arrivarono prima di noi dicevano che, quattro dei, dipinti di colori differenti, ritornarono nel mondo e, fattisi giganti, si misero ai quattro angoli del mondo per attaccarlo al cielo perché questo non cadesse e stesse quieto e ben piano, affinché senza pena lo possano percorrere il sole e la luna e le stelle ed i sogni.

Ma, quelli che fecero i primi passi in queste terre raccontano pure che a volte, uno o più dei bacabes, i sostenitori del cielo, quando hanno sonno e si addormentano o sono distratti da qualche nuvola, non tengono ben teso il tetto del mondo, cioè il cielo, ed allora il cielo, cioè il tetto del mondo, si affloscia ed è come se volesse cadere sulla terra e il sole e la luna non hanno più il loro pianeggiante cammino e così le stelle.

Così accadde sin dal principio, per questo i primi dei, quelli che crearono il mondo, incaricarono uno dei sostenitori del cielo di essere sempre vigile per leggere il cielo e per vedere quando incomincia ad afflosciarsi, e allora questo sostenitore deve chiamare gli altri sostenitori perché si sveglino e tornino a tendere il loro lato e le cose si aggiustino di nuovo.

Questo sostenitore non dorme mai, deve essere sempre vigile e in guardia per svegliare gli altri quando il male cade sulla terra. E dicono i più antichi nel passo e nella parola che questo sostenitore del cielo porta appeso al petto un caracol con cui ascolta i rumori e i silenzi del mondo per vedere se tutto è a posto e con il caracol chiama gli altri sostenitori perché non si addormentino o perché si sveglino.

E dicono quelli che furono i primi che, per non addormentarsi, questo sostenitore del cielo va e viene dentro e fuori dal suo cuore, per le strade che porta nel petto, e quegli antichi insegnanti dicono che questo sostenitore insegnò agli uomini e alle donne la parola e la sua scrittura perché, dicono, finché la parola percorre il mondo è possibile che il male si calmi e il mondo sia a posto, così dicono.

Per questo motivo la parola di chi non dorme, di chi vigila sul male e sulle sue malvagità, non cammina dritto da una parte all’altra, ma cammina verso se stessa seguendo le linee del cuore, e verso fuori seguendo le linee della ragione, e dicono i primi saggi che il cuore degli uomini e delle donne ha la forma di un caracol e coloro che hanno buono il loro cuore ed il loro pensiero camminano da una parte all’altra, svegliando gli dei e gli uomini affinché vigilino a che il mondo sia a posto. Per questo motivo chi veglia quando gli altri dormono usa il suo caracol e lo usa per molte cose, ma soprattutto per non dimenticare.

Con le ultime parole, il Vecchio Antonio ha preso un bastoncino ed ha disegnato qualcosa in terra. Il Vecchio Antonio se ne va ed anch’io me ne vado. Ad oriente il sole si affaccia appena all'orizzonte come per controllare se chi veglia non si è addormentato e se c'è qualcuno attento a che il mondo torni ad essere a posto.

Sono ritornato in quel posto all’ora del pozol, quando il sole aveva già asciugato la terra e il mio berretto. A finaco del tronco caduto, in terra, ho visto il disegno che aveva tracciato il Vecchio Antonio. Era chiaramente una spirale, era un caracol.

Il sole era a metà del suo cammino quando sono tornato alla riunione con i comitati. Decisa all'alba precedente la morte degli Aguascalientes, ora si decideva la nascita dei Caracoles con altre funzioni, oltre a quelle che già avevano gli agonizzanti Aguascalientes.

Così i Caracoles saranno come porte per entrare nelle comunità e perché le comunità escano; come finestre per vederci dentro e perché vediamo fuori; come altoparlanti per lanciare lontano la nostra parola e per ascoltare quella che viene da lontano. Ma soprattutto, per ricordarci che dobbiamo vegliare e stare attenti a come stanno i mondi che popolano il mondo.

I comitati di ogni zona si sono riuniti per dare il nome al proprio caracol. Saranno ore di proposte, di discussioni su traduzioni, di risate, di arrabbiature e di votazioni. So che ci vorrà tempo, quindi mi ritiro e dico loro che mi avvisino quando avranno raggiunto l’accordo.

Già nell'accampamento, mangiamo e dopo il Monarca dice che ha trovato una pozza d’acqua molto bella, bien chingona, per lavarsi e non so cosa. Subito Rolando, che non si lava proprio per niente, si entusiasma e dice “Andiamo”.

Io ho ascoltato con scetticismo (non sarebbe la prima volta che il Monarca se ne esce con una delle sue), ma dato che bisogna aspettare che i comitati si mettano d'accordo, anch'io dico “Andiamo”. José Luis ci raggiunge più tardi perché non ha mangiato, quindi usciamo in tre, cioè il Rolando, il Monarca ed io. Attraversiamo un prato e non siamo ancora arrivati. Attraversiamo un campo di mais e non siamo ancora arrivati. Ho detto a Rolando: “Credo che arriveremo quando la guerra sarà già finita”. Il Monarca replica: “è qui dietro”.

Finalmente arriviamo. La pozza si trova in un guado del fiume che è attraversato dal bestiame e, di conseguenza, è fangosa e circondata di merda di vacche e cavalli. Rolando ed io protestiamo all'unisono. Il Monarca si difende: “Ieri non era così”. Io dico: “Inoltre fa freddo, io credo che non mi bagno”. Rolando, che durante il tragitto ha perso l'entusiasmo, ricorda che la sporcizia, come dice bene il Piporro, protegge pure dai proiettili e si unisce con un “Nemmeno io”. Il Monarca allora se ne esce con un discorso sul dovere e non so che e che “non importano le privazioni e i sacrifici”. Io gli chiedo che cosa ha a che fare il dovere con la sua miserabile pozzanghera e lui allora ci frega dicendoci: “Ah, allora vi tirate indietro?”.

Non l’avesse detto. Rolando digrigna i denti come un cinghiale furioso mentre si toglie i vestiti ed io mordo la pipa e mi svesto fino a rivelare totalmente “l’altra metà della filiazione”. Ci siamo buttati in acqua più per orgoglio che per piacere. Ci siamo lavati ma il fango ci ha lasciato dei capelli che farebbero l’invidia del punk più radicale. Il José Luis è arrivato ed ha detto: “che schifo fa quest'acqua”. Rolando ed io gli diciamo in stereo: “Ah, allora ti tiri indietro?”. Così, anche José Luis s'è buttato nella pozza fangosa. Uscendo ci siamo accorti che nessuno aveva portato qualcosa per asciugarci. Rolando ha detto: “Ci asciugheremo con il vento”, così ci siamo infilati solo gli stivali, allacciate le pistole e ci siamo messi sulla via del ritorno con indosso solo gli stivali e con le palle al vento, asciugandoci al sole.

All'improvviso José Luis, che era in avanscoperta, allerta dicendo: “arriva gente”. Ci siamo messi i passamontagna ed abbiamo proseguito. Era un gruppo di compagne che stava andando a lavare il bucato al fiume. Naturalmente si sono messe a ridere a crepapelle ed hanno dicono qualche cosa nella loro lingua. Chiedo al Monarca se ha capito quello che dicevano e lui mi dice che hanno esclamato: “Quello è il Sup”. Mmh... io dico che mi hanno riconosciuto dalla pipa, perché, credetemi, non ho dato motivo perché mi riconoscessero per “l’altra” metà della filiazione.

Prima di arrivare all'accampamento ci siamo vestiti, anche se eravamo ancora bagnati, per non inquietare le insurgenti. Ci hanno avvisato che i comitati avevano già finito. Ogni caracol aveva già un suo nome.

Il Caracol di la Realidad, di zapatisti tojolabales, tzeltales e mames, si chiamerà MADRE DE LOS CARACOLES DEL MAR DE NUESTROS SUEÑOS, cioè S-NAN XOCH BAJ PAMAN JA TEZ WAYCHIMEL KU'UNTIC [MADRE DEI CARACOLES DEL MARE DEI NOSTRI SOGNI].

Il Caracol di Morelia, di zapatisti tzeltales, tzotziles e tojolabales, si chiamerà TORBELLINO DE NUESTRAS PALABRAS, cioè MUC'UL PUY ZUTU'IK JU'UN JC'OPTIC [VORTICE DELLE NOSTRE PAROLE].

Il Caracol di la Garrucha, di zapatisti tzeltales, si chiamerà RESISTENCIA HACIA UN NUEVO AMANECER, cioè TE PUY TAS MALIYEL YAS PAS YACH'IL SACAL QUINAL [RESISTENZA VERSO UNA NUOVA ALBA].

Il Caracol di Roberto Barrios, di zapatisti choles, zoques e tzeltales, si chiamerà EL CARACOL QUE HABLA PARA TODOS, cioè TE PUY YAX SCO'OPJ YU'UN PISILTIC (in tzeltal), e PUY MUI TI T'AN CHA 'AN TI LAK PEJTEL (in chol) [IL CARACOL CHE PARLA PER TUTTI].

Il Caracol di Oventik, di tzotziles e tzeltales, si chiamerà RESISTENCIA Y REBELDÍA POR LA HUMANIDAD, cioè TA TZIKEL VOCOLIL XCHIUC JTOYBAILTIC SVENTA SLEKILAL SJUNUL BALUMIL [RESISTENZA E RIBELLIONE PER L'UMANITÀ].

Quel pomeriggio non ha piovuto ed il sole è arrivato senza problemi percorrendo un cielo piano, fino alla casa che ha dietro la montagna. Poi è spuntata la luna e, benché sembri incredibile, l'alba ha intiepidito le montagne del sudest messicano.

(Continuerà…)

Dalle Montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, luglio 2003


(traduzione del Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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