La Jornada 23 novembre 2003 - Masiosare
Profughi in Chiapas, una ferita aperta
Guerra interna o conflitti intercomunitari?

Jesús Ramírez Cuevas

Negli ultimi 10 anni, migliaia di indigeni, in maggioranza donne e bambini, hanno abbandonato i loro villaggi per vivere in condizioni disumane. Sebbene non si abbia una cifra ufficiale, secondo le informazioni raccolte dall'ONU, in Chiapas esistono tra i 16mila e 21mila persone profughe, la maggior parte a causa del conflitto armato iniziato nel 1994. Eppure, i governi statale e federale rifiutano di ammettere che si tratta di profughi causati da una guerra interna.

Disseminati sulle colline e i pendii fangosi, un migliaio di casette povere, la metà delle quali costruite in modo precario con teli di plastica pubblicitari e tetti di cartone, sono la casa "provvisoria" di 8 mila profughi interni del municipio di Chenalhó, Chiapas, la metà di loro sono bambini.

Da sei anni vivono nei dintorni di Polhó, sede della giunta autonoma zapatista nella regione. Sono scappati dai loro villaggi per sfuggire dalla violenza dei gruppi paramilitari. Il ricordo incancellabile del massacro di Acteal contrasta con la tragedia dimenticata in cui vivono questi indigeni, profughi interni.

Polhó aveva una popolazione di 500 abitanti ma nel 1997 centinaia di famiglie di 24 comunità della zona si sono insediate qui. La tensione nei loro villaggi e le minacce continuano nonostante la presenza di oltre 2 mila soldati dell'Esercito. Non hanno accesso alla terra per seminare e non possono neppure ritornare alle proprie comunità di origine.

In questa località montuosa è stata edificata una vera città di profughi interni, più simile ad un quartiere di miseria urbana che ad un villaggio indigeno. Migliaia di tzotziles che vi abitano, sopravvivono grazie agli aiuti umanitari di organizzazioni civili nazionali e internazionali.

Siccome i profughi non accettano aiuti governativi, dal 1998 il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CIRC) offre loro aiuti alimentari e medici. Eppure, quest'anno ha ridotto della metà l'aiuto umanitario ed ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi dal posto nel 2004. Medici del Mondo Francia provvede ai medicinali per la clinica locale e mantengono tre medici che non si danno tregua per assistere tutti i profughi.

Le loro condizioni di vita sono disumane e l'80% dei bambini profughi soffre di denutrizione. Le "case" di una sola stanza e pavimento di terra sono abitate in media da otto persone. Non hanno servizi di base, molte non hanno acqua potabile ed un quarto delle case non ha luce.

In queste condizioni, le autorità autonome zapatiste dichiarano: "Nonostante le minacce dei paramilitari e le carenze materiali, i profughi di Polhó sono decisi a resistere… per questo partecipiamo a progetti che ci aiutano a sopravvivere" (cooperative tessili, allevamenti famigliari, coltivazioni di ortaggi, laboratori di carpenteria e fucine, tra gli altri).

Profughi in 20 municipi

Chenalhó è solo un'esempio di quello che avviene in 20 municipi chiapanechi in cui ci sono profughi interni, la maggioranza a causa del conflitto armato iniziato nel 1994.

Dieci anni fa, oltre 35 mila chiapanechi, per la grande maggioranza indigeni, hanno abbandonato i loro villaggi, le loro proprietà e le case per paura della guerra (dati della Croce Rossa Messicana). Molti di loro sono ritornati nelle proprie comunità.

Secondo il governo del Chiapas, attualmente ci sono 10 mila 231 profughi (assicura che negli ultimi tre anni sono ritornati nei loro villaggi 3 mila 500 persone).

Da parte sua, Francis M. Deng, rappresentante del segretario generale dell'ONU per i profughi interni (ha visitato il Chiapas nel 2002), ha sollecitato il governo messicano ad assistere questa popolazione perché l'assistenza prestata fino allora "è stata molto limitata". Nel suo rapporto cita - menzionando diverse fonti - che in Chiapas si calcola che ci sono tra i 16 mila e i 21 mila profughi interni.

Il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) ha registrato 12 mila profughi in cinque regioni. Nella zona nord, 958 famiglie (3 mila 970 persone); nella selva, 165 famiglie (890 persone); ne Los Altos, soprattutto a Chenalhó, 1173 famiglie (6 mila 332 persone); nella zona selva-frontiera, 139 famiglie (774 persone); zona centro, 18 famiglie di Villa Corzo e Cintalapa (114 persone).


Recentemente è stata presentata una proposta alla Camera dei Deputati per elaborare una legge sui profughi interni che obblighi lo Stato messicano a fornire loro aiuti. Eppure, si afferma che la causa dei profughi in Chiapas si deve soprattutto a "conflitti intercomunitari".

Al riguardo, il governo chiapaneco informa, in un documento consegnato all'ONU, "che i profughi forzati provocati dalla violenza politica e dalla situazione di guerra, sono cominciati nel 1994", quindi, sono un'eredità del governo precedente. "Fino al 2000, migliaia di persone hanno sofferto violazione dei diritti umani, la perdite umane e materiali". Ma riferendosi al migliaio circa di persone profughe degli ultimi tre anni, il governo dello stato ritiene che è stata una conseguenza di "lotte tra forze opposte", "dovute a tensioni inter o infracomunitarie di carattere religioso, agrario e politico".

In questo senso, Deng segnala nel suo rapporto: gli sgomberi su grande scala e a lungo termine in Chiapas possono essere attribuiti in maggioranza allo "scontro armato tra l'Esercito messicano e l'Esercito Zapatista di Liberazione nazionale nel 1994; alle operazioni di controguerriglia dell'Esercito nel 1995 ed alla minaccia perpetrata ad Acteal dai gruppi paramilitari nel 1997. Sebbene la maggior parte degli sgomberi in Chiapas sono avvenuti nella seconda metà degli anni '90, ultimamente si è registrata una fuga continua e in scala ridotta a causa, soprattutto, della vessazione e intimidazione contro gli indigeni da parte di gruppi descritti da alcuni come paramilitari e dal governo e da altri compaesani armati ed elementi criminali". La soluzione dipende dal processo di pace.

Per molte organizzazioni per i diritti umani nazionali e internazionali, la maggioranza dei casi dei profughi è in rapporto diretto con il conflitto armato.

Il CDHFBC ritiene che la maggioranza dei profughi "obbligati ad abbandonare la terra e le proprietà, sono da anni la prova inconfutabile della guerra che (…) ha scatenato il governo del precedente sessennio".

Afferma che la causa principale degli sgomberi forzati è "la guerra di bassa intensità", "caratterizzata dalle minacce, furti, saccheggi, intimidazioni, repressioni, umiliazioni, detenzioni, omicidi e sparizioni contro uomini e donne il cui unico 'criminè è stato quello di organizzarsi per difendere i propri diritti".

Le migliaia di profughi, di diverse appartenenze politiche e religiose, mostrano il vero volto della guerra e del razzismo in Chiapas.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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