La Jornada 21 aprile 2003

José Steinsleger

Cuba e la pena di morte

La pena di morte è un anacronismo della storia. Dal secolo XVIII quando meno, il diritto moderno sostiene che la pena di morte non è autorizzata da nessun diritto (Cesare Beccaria, Dei castighi e delle pene, 1764). Criterio di una etica retorica progressivamente adottata dalla quasi totalità dei corpi giuridici dell'Occidente, con eccezione di 38 entità federative degli Stati Uniti, del Guatemala e di Cuba.

Non vi è alcun dubbio che il dibattito sulla pena di morte tenda a surriscaldarsi quando le trombe di guerra perforano il sentire dei popoli. Le guerre accendono una dinamica sociale tanto imprevedibile, soggettiva e complessa, che gli stati coinvolti ricorrono a leggi eccezionali per la loro legittima difesa.

Chiaramente con uguale pretesto, gli stati praticano pure la cosiddetta guerra "antiguerriglia", modalità repressiva e classista della guerra che molti governi dell'America Latina in particolare, scaricano sui loro propri popoli facendo sì che questi invochino a loro volta il diritto alla ribellione, diritto contemplato nelle costituzioni nazionali.

La guerra aperta o coperta degli Stati Uniti contro Cuba ci obbliga a domandarci se qualche volta siano esistite situazioni di guerra nelle quali il paese aggredito abbia offerto tribuna e legittimità a gruppi nazionali che pattavano con il nemico. In questo senso, gli Stati Uniti hanno le loro leggi di guerra, come l'Atto di Commercio con il nemico e Cuba le sue. Ah... e il Guatemala... Però a quali media della stampa "libera", a quale grande forum delle Nazioni Unite importa il genocidio cronico del popolo guatemalteco?

La pena di morte include delle eccezioni? Abbiamo detto: no. Ancor di più se ciò di cui si tratta è di insistere nel dibattito "etico" e "morale" della situazione, sarebbe consigliabile domandare ai 3 milioni di risparmiatori argentini che castigo sceglierebbero loro per quei banchieri che nel dicembre del 2001 hanno saccheggiato i loro risparmi di tutta la vita: spellamento con sale e aceto? Obbligarli a tradurre in kurdo i discorsi completi di Carlos Menem?

Per la loro portata totalitaria, non c'è pena di morte più ingiusta che la guerra di rapina dei grandi contro i piccoli, il bombardamenti immisericordioso di città aperte, l'annientamento di culture e di popoli interi e la pusillanime codardia "consensuale" dei governi che si rifiutano, ai nostri giorni, di denunciare lo spirito e la volontà di sterminio degli Stati Uniti e di Israele, nemici dell'umanità.

In società relativamente stabili, la pena capitale è indifendibile e qualsiasi formula che la giustifichi deve essere combattuta. Si è sbagliata allora la giustizia cubana a fucilare tre terroristi ed inoltre a condannare un gruppo di cittadini che alcuni scrittori dalle illusioni con vista corta e disillusioni dalle orecchie lunghe ci vogliono presentare cinicamente come umili e disperati emigranti, dissidenti e autoesiliati?

Sì e no. Sì, perché la solidarietà con Cuba non è cosa facile. Fuori della claque acritica che dentro e fuori dall'isola applaude ed accetta qualsiasi cosa che faccia Fidel, queste esecuzioni portano a un dibattito bizantino su quando è urgente impedire la pena di morte che Washington ha dichiarato alla rivoluzione cubana 45 anni fa. E no, perché la guerra imperialista contro Cuba non ha potuto impedire che, in termini comparativi, quel paese sia riuscito a presentarsi come il guardiano più geloso dei diritti umani nel mondo.

Ed i dissidenti? Bene... Però quali? Alcuni vogliono perfezionare il socialismo e discutere i problemi propri del socialismo. Altri cercano di farla finita con la rivoluzione e trasformare Cuba in un enclave neocoloniale come Porto Rico e le nazioni dell'America Centrale.

La rivoluzione cubana è un blocco monolitico e senza fessure contro l'imperialismo yanqui. Ma non un blocco senza contraddizioni in cui ci sia spazio per discutere che cos'è il socialismo. In questo senso, può darsi che la vigenza della rivoluzione obbedisca al fatto che il primo dissidente e leader indiscusso dell'opposizione di sinistra in Cuba si chiami Fidel Castro.

Le grandi conquiste di Cuba avranno una soluzione migliore con un sistema plurale di partiti politici? Niente e nessuno può affermarlo o negarlo. Nonostante ciò, l'esperienza storica segnala che così come l'imperialismo e la destra liberal-conservatrice-cristiana sono nemici acerrimi delle conquiste sociali dei popoli, la socialdemocrazia si è specializzata nel seppellirle con vaselina.

La seconda Internazionale si è distrutta da se stessa, la terza ha fatto lo stesso e la quarta si è divisa in quattro. Quanto avevano di socialismo non è stato sconfitto dal fascismo. Trasformato in parlamentarismo e legalismo borghese sono morti senza combattere e dalla loro decomposizione sono nati il fascismo, lo stalinismo e George W. Bush, come la febbre nasce del pantano.

In quanto a coloro che sono amareggiati e che assicurano di essersi fidanzati con la libertà e sposati con la servitù, conviene essere indulgenti, dato che di ciò vivono: di seppellire gli specchi che riflettono il vomito nero di una decrepitezza ideologica irreversibile.

Vorrei almeno una volta intervistare anche solo uno di questi difensori dell'etica e della morale, per ricordargli, a miei 55 anni, che nella società di classi l'etica e la morale sono i migliori cani poliziotto della gendarmeria.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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