LA JORNADA 16/2/03

LA GUERRA E LA PACE*

Carlos Montemayor

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo: oggi la nostra voce ha la forza di innumerevoli milioni di voci.

Oggi le nostre mani si stringono con milioni di mani nel mondo.

Oggi la nostra parola vibra in molti idiomi e sale da incalcolabili milioni di labbra.

I nostri passi hanno percorso e inondato oggi città del Mezzo Oriente, dell'Europa, dell'Africa e del nostro immenso e ferito continente. Ci abbracciamo con la parola, le voci e le mani con gli uomini e le donne del mondo.

È la forza della pace. È la forza dei popoli.

Da questo Angel de La Indipendencia stiamo dicendo NO! alla guerra che un pugno di governanti statunitensi vuole scaricare sull'Iraq.

Non è una guerra del popolo degli Stati Uniti.

Giovani, ex militari, professori, lavoratori, intellettuali, cinquemila poeti e sindaci di 90 città degli Stati Uniti hanno detto NO! a questa guerra.

Non la desideravano neanche i popoli di Inghilterra, Spagna, Italia o Turchia.

Non è la guerra dei popoli, insisto, ma di un pugno di governanti che in nome dei popoli, che in nome della vita, della libertà, della giustizia, vogliono farla finita con noi, farla finita con i nostri popoli, distruggere la vita, la libertà, la giustizia. Siamo qui per dire: "No a questa guerra! No! nel nostro nome!".

Questo gruppo di governanti crede che non ci ricordiamo di nulla. Negli anni ottanta, due anni dopo che aerei israeliani avevano distrutto il reattore Osirak, centro del programma nucleare iracheno, l'allora presidente Ronald Reagan inviò come suo rappresentante personale a Saddam Hussein il giovane politico Donald Rumsfeld. Ora è segretario alla Difesa, ma 20 anni fa era andato a Baghdad per rinnovare le relazioni diplomatiche, militari e commerciali. Un appoggio peculiare, a partire dal quel momento, fu offerto a Hussein dai governi di Ronald Reagan e George Bush padre: denaro e le materie prime necessarie per iniziare la produzione d'armi di distruzione di massa. Il nemico del momento per i governanti degli Stati Uniti non era l'Iraq, ma l'Iran. Tra gli anni 1985 e '88 gli governanti statunitensi approvarono l'invio in Iraq di 70 spedizioni di microrganismi letali, tra cui l'antrace.

La famiglia Bush e politici come Donald Rumsfeld si ricordano senz'altro dell'aiuto che prestarono a Sadam Hussein più di venti anni fa in materia di armi chimiche, biologiche e nucleari. Ai governanti degli Stati Uniti succede ciò che succede nelle migliori famiglie della mafia: i loro migliori amici di ieri sono i loro peggiori nemici di oggi. Ieri, Osama Bin Laden è stato un eroe per Reagan nella lotta dell'Afganistan contro i sovietici; oggi è alla testa del terrorismo grazie al quale Bush ha giustificato l'invasione dell'Afganistan. Ieri, hanno aiutato Saddam Hussein perché iniziasse la produzione di armi di distruzione di massa; oggi vogliono buttarlo giù ed invadere l'Iraq per aver accettato quell'aiuto.

Gli Stati Uniti si servono per il loro consumo domestico della quarta parte del mercato mondiale del petrolio. Le maggiori riserve di petrolio si trovano in giacimenti nel Medio Oriente, in particolare in Arabia Saudita ed in Iraq. In altre parole, non era necessario per gli Stati Uniti comprovare pienamente i nessi fra Afganistan ed Al Qaeda con gli attentati in New York e Washington, né adesso è necessario per loro provare i nessi fra Hussein e Al Qaeda né confermare la produzione irachena di armi di distruzione di massa: quello che per loro è importante è assicurare con qualsiasi mezzo il controllo militare, politico e economico del petrolio di questa regione.

Cioè, a questo pugno di governanti statunitensi non interessa la sicurezza commerciale, l'amicizia internazionale, il libero mercato degli idrocarburi, il rispetto della vita dei popoli né il statuto di società commerciali, loro vogliono il controllo militare e economico totale.

Perciò decidono di presentare al mondo una guerra nuova, differente, che sotto il concetto di lotta contro il terrorismo li autorizzi a definire spazi, paesi, governi, dirigenti e movimenti sociali che avranno il diritto di esistere o si meriteranno la guerra.

Questo riaggiustamento politico e militare non costituisce assolutamente una proposta di soluzione né di miglioramento delle condizioni sociali, economiche, politiche o militari dei popoli che abitano le zone designate come assi del male, ma soltanto una ricomposizione militare secondo gli interessi dei governanti degli Stati Uniti e dei grandi consorzi petroliferi.

Il potere che ha vinto la guerra fredda non si è proposto di costruire una nuova pace tra i paesi, non si è proposto di costruire un migliore essere umano; desidera solo trovare nuovi nemici e giustificare nuove ingiustificabili guerre.

È qui dove la voce solidale dei popoli del mondo diventa coscienza dei popoli del mondo. Questa coscienza, che è la pace; questa forza solidale con cui si costruisce la pace, è venuta qui oggi a dire NO! alla guerra!

NO! a questa guerra di un pugno di governanti statunitensi che ha sfidato e fatto pressioni sull'ONU perché convalidi la sua intenzione di invadere l'Iraq al fine di controllare le riserve petrolifere del Medio Oriente aldilà delle perdite umane e delle devastatrici conseguenze ecologiche ed economiche che possano generare per il mondo.

Ci opponiamo a questa guerra per i milioni di morti e profughi che si genereranno in Iraq e in tutta la regione; per la catastrofe che implica la guerra spietata e perché scatenerà nuovi atti di terrorismo.

Un attacco unilaterale distruggerà il diritto internazionale, la multilateralità delle relazioni internazionali e l'esistenza stessa delle Nazioni Unite.

I governanti statunitensi si sono eretti a protettori e giudici del mondo.

Chi li ha nominati?

In quale votazione democratica abbiamo chiesto la loro protezione?

Chi ha detto loro che possono giudicare quelli che vogliono e non essere mai processati da nessuno?

Con che codice morale dedicano migliaia di milioni di dollari ai progetti ed alla produzione di armi di distruzione di massa e mettono in discussione la possibilità di farlo di un altro paese sapendo che loro stessi l'hanno indotto a farlo?

Con quale codice morale coloro che hanno bombardato senza nessuna necessità Hiroshima e Nagasaki ed hanno gettato il napalm sul Vietnam, pretendono devastare un paese debilitato da 13 anni d'embargo, pochi mesi dopo aver invaso un paese fra i più poveri della terra, come l'Afganistan?

Nessun governo ha diritto di utilizzare queste armi contro il mondo.

Siamo qui per dire all'ONU che una soluzione che autorizzi l'attacco all'Iraq equivarrebbe a legittimare un genocidio.

Siamo qui per dire ai messicani che è necessario che ci opponiamo in tutti i modi possibili a questa guerra, perché è pure contro di noi.

Se oggi invadono l'Iraq per il suo petrolio, chi ci può garantire che domani non verranno contro di noi, per la nostra acqua, per le nostre specie rare, per il nostro mais, per le nostre risorse naturali?

Difendere oggi il popolo iracheno è difendere il nostro diritto alla vita, il diritto di tutti i popoli alla vita.

Fratelli iracheni, fratelli di tutto il mondo, non siete soli! Non siamo soli!

Ci vogliono far credere che la guerra è qualcosa di lontano ed estraneo, ma non è così. È un progetto di riorganizzazione del mondo che ha accaparrato le terre del Brasile, militarizzato la Colombia, è intervenuto in Venezuela, sta annientando ed espellendo il popolo palestinese, impedisce l'autodeterminazione di quello basco e mantiene un blocco contro quello cubano.

A questo progetto non importa che la fame e l'AIDS si estendano in Africa come le peggiori epidemie d'altri tempi, che l'Argentina sia caduta nella crisi socioeconomica più grave di tutta la sua storia, che il nostro paese prosegua lo smantellando della sua produzione nazionale, che s'impongano leggi che scalzano i diritti dei lavoratori, che si mantenga una guerra di bassa intensità e si boicotti l'autonomia indigena plasmata negli accordi di San Andrés, ancora disattesi.

I potenti hanno dei piani ed i loro piani hanno dei nomi: Piano Colombia, Piano Puebla - Panama, Area di Libero Commercio delle Americhe, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale. Solo una forza globale ancorata nelle lotte locali potrà resistere e costruire un mondo diverso.

Un mondo che non sia il progetto dei potenti.

Un mondo nel quale tutti abbiamo un posto e tutti i mundi siano possibili.

C'è una permanente abdicazione della sovranità in materia di politica economica che i governi attuali chiamano modernizzazione. E in molti paesi si confonde la stabilità sociale con la violenza istituzionale della povertà, dell'analfabetismo o della denutrizione.

Una nuova idea della natura dell'uomo e dei suoi diritti porta i governi a sanzionare legalmente l'esclusione dei lavoratori in molte regioni del mondo, a sottometterli ad indici di estrema povertà o a rifiutarli sotto uno stereotipo che li disumanizza e che usualmente si chiama lavoratore o immigrante illegale.

L'estrema miseria cancella in modo definitivo lo sviluppo intellettuale, fisico e politico di milioni di individui in vaste zone urbane e rurali del mondo. Questa cancellazione di una vita piena è davvero equivalente alla cancellazione di tutti i diritti umani.

Perciò la pace non è l'assenza della guerra. Confondiamo la pace con le molte facce della violenza. Confondiamo la pace internazionale con la sottomissione dei popoli, con il nuovo colonialismo che si chiama libero mercato.

Quando i popoli del mondo si sono recati a votare democraticamente per il neoliberismo ed il libero mercato?

Libero mercato, così chiamano i governanti degli Stati Uniti l'espansione dei consorzi internazionali e l'imposizione delle regole di quei consorzi. Chiamano libero mercato e modernizzazione la sottomissione di popoli e governi alle regole che quei consorzi impongono.

Così non importa la povertà della campagna messicana né la povertà di qualsiasi altra campagna del mondo se, come qui, si arricchiscono 15 o 20 grandi imprese.

Questa è la pace internazionale per cui lotta l'attuale governo degli Stati Uniti?

È la pace internazionale per cui lotta il governo del cambio di Vicente Fox?

La pace è una forza. È una volontà. È una tenacità a costruire, a vivere, a comprendere, a non rinunciare alla vita, a non dilapidare né perdere un istante durante il quale apparteniamo alla vita e durante il quale, perché no?, siamo la vita.

La pace è il compito difficile e pieno di dar dignità all'essere umano, di riconoscere nell'altro la stessa dignità e la stessa necessità di vita che sentiamo in noi.

L'attuale sistema economico mondiale va nel senso opposto a quello della nostra dignità.

Tende a trasformare la conoscenza e l'educazione in una merce; non cerca il sapere come conquista umana, ma come conquista imprenditoriale e commerciale.

La guerra sottomette, avassalla, soggioga, schiavizza, spoglia. La povertà e la crescente sofferenza dei popoli del mondo non sono risultato di una politica mondiale di pace, ma di una dimostrazione della violenza che s'espande con il potere economico di un pugno di imprese transnazionali che si sono impossessate con le armi del denaro del pianeta. E che vogliono adesso impadronirsi del gas e del petrolio di Iraq, di Afganistan, del Mar Caspio, del mondo intero.

Magari da Baghdad alla Libia, dalla Venezuela al Messico.

Diamo una possibilità alla dignità della pace.

È l'ora della dignità della vita, della dignità del mondo.

Questa rete di resistenza oggi si fa ascoltare. Si ode in questo Angel de La Indipendencia.

Si ascolta nelle città che oggi protestano nel nostro paese: Guadalajara, Monterrey, Cancún, Cuernavaca, San Cristóbal de Las Casas, Ciudad Juárez, Tijuana, Puebla e molte altre.

Questa rete comincia a parlare e ad ascoltarsi in Francia, Germania, Stati Uniti, Egitto, Australia, Spagna, Italia, Messico. Questa rete di resistenza grida adesso:

No alla guerra!

No al neoliberismo!

Sì alla pace che ci faccia degni, costruttivi.

Sì alla pace che ci lasci nascere, crescere, mangiare,

offrire, amare, cantare, pensare, ridere, invecchiare, scoprire, comprendere.

Questa rete grida molto forte ai potenti, però soprattutto a noi stessi: un altro mondo è possibile!

* Discorso pronunciato il 15 febbraio 2003 durante la marcia "No alla guerra, non nel nostro nome"


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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