LA JORNADA - MASIOSARE - DOMENICA 14 SETTEMBRE 2003
Questo anno si raddoppieranno le vittime in Arizona
Morire a 117 gradi fahrenheit
ALBERTO NAJAR

Il piano era riunire tutta la famiglia in Ohio, Stati Uniti, però non sono riusciti. Il deserto ed i suoi 47 gradi centigradi hanno schiacciato il loro sogno di potersi costruire un proprio tetto in Messico.

Alla fine, quando dopo aver camminato per nove ore nel deserto d'Arizona il suo corpo ha mollato, Delia Herrera Atilano aveva solo più le forze per ripetere il nome del marito.

Non ha nemmeno riconosciuto sua figlia Aline che, disperata, ha tentato di rianimarla. "Dai, coraggio, fallo per me", la supplicava.

Però la vita se ne andò da Dalie in pochi minuti: il suo corpo era coperto di spine dell'arbusto secco sul quale è svenuta. Non c'era ombra, nemmeno un briciolo di brezza per lenire i 117 gradi fahrenheit (47 centigradi) che calcinavano mercoledì 15 luglio.

I suoi compagni di viaggio hanno offerto l'acqua che rimaneva loro e due di loro sono riusciti a trovarne ancora un poco in una pozza vicino. Però Delia non ha reagito.

Allora il "pollero" ha ordinato di proseguire il viaggio, con la promessa di tornare con gli aiuti. "Però non sono tornati", dice Aline, una sottile adolescente di 15 anni. "Sono andata a cercare acqua dove mi hanno detto che c'era, sotto alcuni alberi grandi, però non ho trovato niente. E al ritorno mi sono persa".

Per due ore è andata alla deriva, chiamando lo zio Gonzalo Delgado Navarro, che viaggiava con loro due e si era fermato a fianco della donna agonizzante. "Non sopportavo più la sete, il calore, i vestiti che mi ero messa addosso per non caricare nulla - ricorda -. Fino a che mi è apparso lui che camminava, da solo".

Aline è riuscita solo a lasciarsi andare a terra. E a gridare. uuu

Il giorno che è morta Delia Herrera altri quattro messicani sono morti in questa stessa zona, nel deserto della contea di Cochise, in Arizona.

Tutti sono stati mollati dal "pollero" e sono morti disidratati.

Delia è stata la vittima numero 31 però non è l'ultima. Dal giorno della sua morte fino alla scorsa settimana i clandestini morti sono arrivati a 38 per cui, il console messicano in Douglas, Miguel Escobar dice che alla fine del 2003 la cifra sarà il doppio dell'anno passato, quando si erano registrate 23 morti.

Ed è da marzo che si sono installati in El Sásabe, Sonora - fino ad ora principale punto di incrocio dei clandestini - posti di blocco ed operativi speciali per arrestare "polleros", per cui l'immigrazione si è spostata verso l'ovest, nella Valle Imperiale della California che confina con Mexicali e dall'altro lato della nuova strada che comprende Naco e Douglas, alla frontiera con Agua Prieta.

Attraversare la frontiera da quelle parti è pericoloso come farlo attraversando tutto il deserto dell'Arizona, però qui i clandestini devono affrontare due rischi in più: in Douglas si trova la caserma della Polizia di frontiera più grande degli Stati Uniti. E come se non bastasse, questa è la regione privilegiata per la caccia ai migranti.

Adesso i "polleros" preferiscono i sentieri più lontani dalle aree urbane, per cui aumentano i rischi ed il tempo di cammino attraverso il deserto.

Questo è ciò che è successo ad Aline, a sua mamma e suo zio. Il 14 luglio, dopo essere arrivati da Chalco, nello Stato del Messico, fino ad Agua Prieta, in Sonora, hanno trovarono il "pollero" Sergio Hernández nella stanza numero 10 dell'albergo Girasol, per accordarsi sui dettagli del passaggio.

Non ha fatto loro nessuna raccomandazione per il viaggio, nemmeno quella di portasi acqua. Non era necessario, anzi ha detto, dato che al massimo avrebbero camminato due ore, "però ad ogni modo abbiamo comprato una bottiglia di litro e mezzo a testa", confessa Aline.

Il giorno seguente, alle 5 e 30 il gruppo di nove clandestini è salita su un taxi che 20 minuti dopo li ha lasciati lungo la strada di Naco. "Abbiamo superato un recinto di protezione e poi ci siamo messi a correre per un pezzetto. Dopo ci hanno assalito", racconta Aline.

- Chi vi ha assaliti?

- Erano due ragazzi con una pistola, hanno diviso gli uomini dalle donne e quello che ci faceva da guida. Dato che mia mamma ed io eravamo le uniche donne ci hanno messo da parte e poi si sono portati via tutto: anelli, denaro, orecchini, orologi. A hanno tolto solo una bottiglia d'acqua, perché mia mamma aveva nascosto il denaro.

- E la guida?

- Niente, non l'hanno neanche guardato. Come se stesse con loro.

L'assalto è durato 10 minuti. Poi i clandestini hanno ripreso il cammino fino a trovare una strada dove hanno dovuto aspettare due ore che gli agenti della Polizia di frontiera se ne andassero a far colazione.

"Siamo passati uno per volta - racconta Aline - così come abbiamo fatto per le altre strade che dovevamo attraversare. Però mia mamma ha iniziato a sentirsi male, diceva che aveva sonno e mal di testa".

Delia ha attraversato l'ultima strada quasi strascinandosi, appesa alle spalle di suo cognato Gonzalo. "Chiediamo cinque minuti di riposo e allora il 'pollero' ha detto che mancava solo mezz'ora, però avevamo già camminato nove ore", dice la quindicenne. "Quando ci hanno permesso di fermarci mia mamma si è sdraiata e non è più riuscita ad alzarsi. Abbiamo tentato di sollevarla però era pesante, molto pesante. Piangeva solo più e diceva il nome di mio papà".

- Avevate parlato di che fare se le succedeva qualcosa?

- No. Non mi è mai passato per la mente che potesse morire. uuu

Aline voleva riunirsi con suo papà Oswaldo Delgado Navarro in Columbus, Ohio, dove è andato due anni fa "per metter insieme il denaro per un nostro tetto", dice.

Non era la prima volta che lavorava senza documenti negli Stati Uniti ed aveva già attraversato la frontiera altre otto volte guadando il torrente senza nessun problema. "Da qualsiasi parte passi il pericolo è inevitabile - spiega - però credo che Dio ha preparato il destino di ognuno di noi".

Forse per questo, alla notizia della morte di sua moglie, Oswaldo è entrato in una forte crisi.

"Diceva che non era vero, che avevano solo trovato abbandonata la carta d'identità di mamma", racconta Aline.

"Quando ho parlato per telefono con lui mi chiedeva se ero sicura che si trattava di lei e io rispondevo sì, che quelli della migra mi hanno portato a raccoglierla".

Due mesi dopo la tragedia, né Aline né suo padre si consolano.

Di notti, la ragazza non se la sente di attraversare da sola il cortile della casa di suo zio in Chalco, dove adesso vive, anche solo per andare al bagno.

È qualcosa che sconcerta sua cugina Alma Sonia Delgado Félix perché, dice, "così non supererà mai la tristezza". Però per quanto si sforzi, la ragazza non riesce a rassegnarsi, anche perché neanche Delia l'aiuta molto.

Infatti la quindicenne giura che il giorno della sepoltura ha visto sua madre seduta su un banco della chiesa di Cozcatlán, Puebla, dove era nata 45 anni fa. Alma Sonia dice che un pomeriggio l'ha sentita chiederle di "occuparsi di mio zio e della sua bambina". E la defunta ha supplicato Oswaldo, una notte, di smettere di piangerla.

Senz'altro però aldilà della rassegnazione, la cosa più difficile è sopravvivere.

Andandosene dall'Ohio, Oswaldo ha lasciato lì tutto quello che aveva e adesso ha già terminato il denaro che aveva portato. Ha cinque vertebre deviate, prodotto del suo precedente lavoro nei traslochi e da un mese gli è salita la pressione.

Appena la settimana scorsa ha iniziato a fare il taxista, però quanto guadagna non basta nemmeno per pagare l'affitto in Chalco.
Perciò per Oswaldo Delgado l'unica strada è quella del ritorno, sia come sia, negli Stati Uniti. Ci andrà da solo perché Aline non vuole tornare.

Questo è il suo progetto, confessa. "Aspetto solo che non ci sia più la neve in Ohio".


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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