La Jornada - Martedì 11 febbraio 2003

I bambini di fronte allo spettro della guerra

Negli USA, i mitragliatori mediatici di chi lotta contro il male;

in Iraq si allarga il timore

DAVID BROOKS E JIM CASON - CORRISPONDENTI

New York e Washington, 10 febbraio - "Tutte le mattine mi alzo, guardo la lista dei morti nel giornale e se non mi trovo lì, me ne vado a lavorare", scherzava ma non tanto, un vecchio ungherese rifugiato in Messico.

Shigeo Sasaki era nella lista dei morti di questo fine di settimana. Parrucchiere giapponese di 87 anni, aveva dedicato più di mezzo secolo della sua vita alla pace dopo che sua figlia, Sadako, è morta nel 1955, a 12 anni, a causa della leucemia provocata dalla bomba atomica che gli Stati Uniti hanno lanciato sulla città di Hiroshima.

Sasaki raccontava la breve storia di sua figlia nelle scuole del suo paese. All'ospedale, Sadako si dedicava a fare cicogne di carta, ispirata da una leggenda giapponese che diceva che chiunque facesse mille cicogne di carta avrebbe ricevuto un premio: la realizzazione di un desiderio. È morta prima di finire le mille cicogne, però la sua storia ha fatto sì che i bambini del Giappone riunissero i fondi necessari per costruire una statua di Sadako, che oggi s'innalza in Hiroshima. La gente continua ad inviare cicogne di carta verso la statua come offerta di pace.

Tutti i giorni negli Stati Uniti, i bambini, mentre si preparano per andare a scuola, possono ascoltare le ultime notizie dalla radio e dalla televisione, o rendersi conto all'edicola, o ascoltare le conversazioni nei ristoranti o in casa sulla guerra che si prepara contro un altro paese. Ascoltano che questa guerra si porterà avanti in nome di qualcosa chiamato "la pace", perché qualcuno odioso e malevolo vuole avvelenarli con gas chimici o armi batteriologiche. E la ragione di fondo è che c'è gente che li odia perché sono "gringos".

Tutti i giorni s'inonda la popolazione con affermazioni del tipo che i paesi nemici hanno qualcosa in comune: il loro odio verso gli Stati Uniti, ossia verso tutto ciò che è "buono e benevolo". Che sono odiati perché sono liberi, perché rispettano gli individui e perché difendono i diritti umani. Sentono che questo paese deve difendere l'umanità dal male e, come in altre occasioni nella storia, a volte questo implica una guerra. Bisogna uccidere per vivere, si deve risolvere le liti con le armi, è necessario difendere la pace con i proiettili e le bombe.

Le inchieste dicono che la maggioranza si è convinta. I bambini ascoltano e leggono e li si avverte che sono minacciati, non da mostri o da extraterrestri, ma dai genitori di altri bambini, il cui unico desiderio è ammazzarli, farli ammalare, lasciarli orfani. Nessuno racconta loro che questa è una vecchia favola.

"Nel momento in cui si dichiara la guerra... le masse... si convincono che loro l'hanno desiderata. Allora le masse, con l'eccezione di pochi scontenti, iniziano ad essere soggette ad un regime, forzate, disarticolate in tutta la loro vita e convertite in una fabbrica solida di distruzione... Una sensazione di gran ringiovanimento invade le classi significative della società, un nuovo sentire la loro importanza nel mondo... L'opinione pubblica... si converte in un blocco solido... La guerra è la salute dello stato. Automaticamente pone in movimento, attraverso la società, quelle forze irresistibili di uniformità, di cooperazione appassionata col governo per esercitare coercizione sui gruppi minoritari e sugli individui che sono carenti di questo ampio senso del gregge...", così scriveva il saggista statunitense Randolph Bourne nel 1918.

Quello stesso anno, il gran leader popolare Eugene Debs, che si opponeva alla Prima Guerra Mondiale, per cui finì pure in carcere, dichiarava: "Ci dicono che viviamo in una grande repubblica libera; che le nostre istituzioni sono democratiche; che siamo un popolo libero e autonomo. Anche se fosse solo una barzelletta, sarebbe esagerata. Nel passare della storia si sono fatto guerre per conquistare e saccheggiare... e questo è la guerra in sintesi. È sempre la classe dominante quella che dichiara le guerre ed è sempre la classe oppressa quella che va in battaglia".

Però nelle scuole di qui questo non c'è nel piano di studi. Non ci sono i libri dello storico Howard Zinn, né dell'altro gringo, May Brooks, né i discorsi più radicali di Martin Luther King Jr. contro la guerra, e non ci sono nemmeno nelle prime pagine dei giornali e nei notiziari tv.

Oggi, un bambino della scuola elementare può andare all'edicola e vedere come il giornale quotidiano più influente del paese, il New York Times, riporti che il segretario di stato esige che l'Iraq dimostri la sua cooperazione prima della fine della settimana, o presenti un reportage sul leader "terrorista" con un "passato mortale". O che il Daily News dice in prima pagina "Esibizione di forza" riferendosi al modo in cui la città si protegge di fronte all'alto allarme "terrorista" (anche se vedranno che c'è una nuova modella tipo Barbie per distrarre un poco).

Qui, i bambini stanno vivendo in un paese che ha dichiarato che in nome loro ammazzerà altri bambini (senza volerlo, però non c'è nulla da fare: "danni collaterali"). "I 13 milioni di bambini iracheni sono in grave rischio per fame, malattia, morte e trauma psicologico" per una guerra, ha affermato Samantha Nott, del gruppo di esperti di War Child, raggruppamento umanitario canadese che ha fatto una valutazione sulle condizioni in Iraq a gennaio di quest'anno.

Nelle interviste a centinaia di bambini, il gruppo di esperti ha individuato che in Iraq esiste un "gran timore alla guerra"; che circa 500 mila bambini iracheni sono denutriti, alcuni in condizioni estreme. Se scoppia la guerra, alcuni, circa migliaia, o decine di migliaia, passeranno nelle liste delle statistiche più infami del mondo attuale. Quanti in più si aggiungeranno ai 2 milioni di bambini che sono già morti nelle guerre durante gli ultimi 10 anni, ai 5 milioni che sono rimasti handicappati, ai 12 milioni che sono stati lasciati senza tetto ed ai 10 milioni che sono stati feriti psicologicamente? (vedere: www.warchild.ca)

Paolo Freire diceva che la condizione dell'oppressore è disumanizzata come quella dell'oppresso, e che è l'oppresso colui che non solo deve liberare se stesso, ma anche gli oppressori nella lotta per l'umanizzazione. Però che direbbe quando, per la sola fortuna di vivere in un paese che minaccia con l'oppressione altri popoli (per liberarli, dice), uno è insieme sia oppressore che oppresso?

Vivere in un paese che si è votato alla guerra, che adesso minaccia un'altra volta altri popoli, e che non scarta di usare tutti i mezzi, persino una ripetizione di Hiroshima, è ciò che provoca la reazione di artisti, intellettuali e poeti come quella "Non nel nostro nome". L'ironia è sempre più acuta quando i profughi di alcune di queste guerre ed interventi vivono qui, e perfino diventano cittadini statunitensi; ossia, alcuni dei gringos sono arrivati qui a causa dei proiettili gringos: panamensi, nicaraguensi, salvadoregni, dominicani, vietnamiti, coreani, guatemaltechi, cileni e, chiaro, pure messicani (non eravamo già qui prima?), senza neanche parlare degli indigeni. In nome di tutti i loro figli si dichiara la guerra.

Forse, alcuni bambini di qui, ispirati da più di 2 mila poeti (che questo 12 febbraio leggeranno le loro poesie per la pace in varie città del paese), da centinaia di artisti, intellettuali e musicisti, da veterani per la pace, religiosi e donne che si denudano per creare la parola Pace in tutte gli angoli del mondo e da centinaia di migliaia che marceranno nelle città del mondo, includendo New York e San Francisco, questo fine settimana, potranno cambiare le prime pagine dei giornali ed i messaggi principali dei notiziari di questi giorni. Forse potranno evitare che alcuni bambini iracheni debbano imparare a fare cicogne di carta.

Quante cicogne di carta dovranno fare i bambini di quel paese? Forse nessun bambino dovrà cercare il suo annuncio funerario e, vedendo che non c'è, potrà correre a giocare.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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