I 20 e i 10 dell'EZLN

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Messico 10 novembre 2003

Buongiorno, buona sera, buona notte. Vi parla il sup Marcos. Siate benvenuti e benvenute tutti e tutte.

Siamo qui per dare inizio alla celebrazione di una storia e per presentare un libro che racconta buona parte di questa storia.

Contrariamente a quanto si possa pensare, la storia da celebrare e raccontare non è sui 20 e 10 anni dell'EZLN. Voglio dire, non solo. Molte persone si sentiranno partecipi di quei 20 e quei 10. Non mi riferisco solo alle migliaia di popoli indigeni ribelli, ma anche alle migliaia di uomini, donne, bambini e anziani del Messico e del mondo. La storia che andiamo a celebrare oggi è anche la storia di tutti loro.

Le parole che ora sto scrivendo e pronunciando sono rivolte a tutte quelle persone che, senza comporre le fila dell'EZLN, condividono, vivono e lottano con noi per un'idea: la costruzione di un mondo in cui stanno tutti i mondi. Questo potrebbe essere enunciato anche dicendo che vogliamo un compleanno in cui ci stiano tutti i compleanni.

Quindi, iniziamo la festa come si aprono le feste di compleanno sulle montagne del sudest messicano da 20 anni, cioè in pratica, raccontando una storia.

Secondo il nostro calendario la storia dell'EZLN prima dell'inizio della guerra ha toccato 7 tappe.

La prima di queste è quando si sono scelte le persone che avrebbero fanno parte dell'EZLN. Questo è avvenuto intorno al 1982.

Si organizzavano corsi di preparazione di uno o due mesi nella selva e si valutava l'impegno dei partecipanti per vedere chi avrebbe potuto "essere abile". La seconda tappa è quella che definiamo della "installazione", ovvero, la fondazione propriamente detta dell'EZLN.

Oggi è il 10 novembre del 2003.

Vi chiedo d'immaginarvelo per un momento: un giorno come oggi, ma 20 anni fa, nel 1983, un gruppo di persone stava preparando in qualche casa sicura l'equipaggiamento che avrebbe dovuto portarsi sulle montagne del sudest messicano. Forse, 20 anni fa, il giorno era trascorso verificando le difficoltà, raccogliendo informazioni sulle strade, i percorsi alternativi, i tempi; dettagliando gli itinerari, gli ordini, le apparecchiature. 20 anni fa, forse a quest'ora, si stava salendo su un veicolo e incominciava il viaggio verso il Chiapas. Se avessimo potuto essere lì, forse, avremmo chiesto a quelle persone che cosa andavano a fare. E sicuramente ci avrebbero risposto: "a fondare l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale". Avrebbero però aspettato altri 15 anni per poter pronunciare quelle parole.

Supponiamo dunque che il loro viaggio inizi il 10 novembre del 1983. Qualche giorno dopo arrivano alla fine di una strada sterrata, scaricano le proprie cose, salutano l'autista con un "arrivederci" e dopo aver sistemato gli zaini iniziano la salita di una di quelle alture che attraversano, inclinate ad occidente, la Selva Lacandona. Molte ore di cammino dopo, con circa 25 kg di peso sulle spalle, montano il loro primo accampamento all'interno della sierra. Sì, è possibile che quel giorno facesse freddo e perfino piovesse.

Oggi, 20 anni fa, la notte è sopraggiunta sotto i grandi alberi e, con l'aiuto delle torce, questi uomini e donne alzano a protezione dei teli di plastica con una corda, appendono le amache, cercano della legna secca e, dando fuoco ad una borsa di plastica, accendono il falò. Alla sua luce il comandante scrive sul suo diario di campo qualcosa come: "17 novembre 1983. Tanti metri sul livello del mare. Piovoso. Abbiamo montato l'accampamento. Nessuna novità". Nella parte superiore sinistra della pagina su cui sta scrivendo, c'è il nome che hanno dato a questa prima tappa di un viaggio che tutti sanno essere molto lungo. Non c'è stata nessuna particolare cerimonia, ma quel giorno e a quell'ora è stato fondato l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Sicuramente qualcuno ha proposto allora un nome per quell'accampamento, non lo sappiamo. Quello che invece sappiamo è che quel gruppo era formato da 6 persone. I primi 6 insurgentes, cinque uomini e una donna. Di quei 6, tre erano meticci e tre indigeni. La proporzione di 50% meticci e 50% indigeni non si è mai più ripetuta nel corso dei 20 anni dell'EZLN e neppure la percentuale di donne (meno del 20% in quei primi giorni). Attualmente, 20 anni dopo quel 17 novembre, la percentuale è di un 98,9% di indigeni e 1% di meticci. La percentuale di donne si avvicina ormai al 45%.

Come si chiamava quel primo accampamento dell'EZLN? Al riguardo non c'è accordo tra quei primi 6 insurgentes. Secondo quanto ho appreso in seguito, i nomi degli accampamenti si sceglievano senza nessuna logica, in modo naturale e senza scervellarsi, si evitavano i nomi apocalittici o profetici. Nessuno di questi accampamenti si è chiamato, per esempio, Primero de Enero de 1994.

Secondo quanto raccontano quei primi 6, un giorno mandarono un insurgente ad esplorare un sito per verificarne le condizioni per potersi accampare. L'insurgente rientrò dicendo che il posto "era un sogno". I compagni marciarono verso il luogo e si ritrovarono in un pantano. Dissero allora al compagno: "questo non è un sogno, è un incubo". Ergo, l'accampamento si chiamò La Pesadilla [L'incubo]. Deve essere stato nei primi mesi del 1984. Il nome di quell'insurgente era Pedro. In seguito sarebbe stato sottotenente, tenente, secondo capitano, primo capitano e subcomandante. Con questo grado ed essendo il capo di stato maggiore zapatista, 10 anni dopo cadde in combattimento il primo gennaio del 1994 durante l'occupazione di Las Margaritas, Chiapas, Messico.

La terza tappa, sempre prima della sollevazione, è quando ci siamo dedicati alle attività per la sopravvivenza, ovvero, a cacciare, pescare e raccogliere frutta e piante selvatiche. In quei momenti ci siamo dedicati alla conoscenza del terreno, cioè: orientamento, marcia, topografia. Studiavamo strategia e tattica militare sui manuali dell'esercito statunitense e di quello federale messicano, e l'uso di diverse armi da fuoco, oltre alle cosiddette "arti marziali". Studiavamo anche la storia del Messico e, certamente, conducevamo una vita culturale molto intensa.

Io arrivo nella selva Lacandona in questa terza tappa, nel 1984. Tra agosto e settembre di quell'anno, circa 9 mesi dopo l'arrivo del primo gruppo. Il mio arrivo è avvenuto con altri due compagni: una compagna indigena chol e un compagno indigeno tzotzil. Se non ricordo male, al mio arrivo l'EZLN disponeva di 7 elementi di base ed altri due che "andavano" e "venivano" in città con la corrispondenza e per i rifornimenti. L'attraversamento dei villaggi si effettuava di notte o camuffati da ingegneri.

Gli accampamenti di quell'epoca erano relativamente semplici: avevano un'area di intendenza o la cucina, i dormitori, l'area per le esercitazioni, la posta, l'area di 25 e 50, i campi di tiro per la difesa. Forse qualcuno che mi sta ascoltando si chiederà che cos'è "l'area di 25 e 50". Bene, sembra che per soddisfare le necessità che si definiscono "primarie", ci si doveva allontanare ad una certa distanza dall'accampamento. Per andare ad orinare bisognava allontanarsi di 25 metri, per andare a defecare erano 50 metri, oltre a fare un buco con il machete e poi coprire il "prodotto". Chiaramente queste disposizioni valevano nel periodo in cui noi eravamo, come si dice, un pugno di uomini e donne, cioè non superavamo le 10 unità. Tempo dopo, abbiamo costruito latrine in zone più lontane ma i termini "25" e "50" sono rimasti.

C'era un accampamento che si chiamava El Fogón [Il focolare], perché lì fu la prima volta che ne costruimmo uno. Prima di questo, il fuoco si faceva in terra e le pentole (due: una per i fagioli e l'altra per l'animale che avevamo cacciato o pescato) si appendevano su una traversa fissata con le liane. Ma cominciavamo ad essere di più e siamo quindi entrati "nell'era del focolare". Allora l'organico dell'EZLN era di 12 combattenti.

Tempo dopo, in un accampamento chiamato Reclutas (perché era lì che si addestravano i combattenti), entravamo "nell'era della ruota". Cioè, abbiamo lavorato con il machete una ruota di legno ed abbiamo costruito una carriola per caricare le pietre per le trincee. Devono essere stati i tempi, perché la ruota era alquanto quadrata ed abbiamo finito per caricarci le pietre sulla schiena.

Un altro accampamento si chiamava Baby Doc, in onore di colui che, con il beneplacito e il sostegno degli Stati Uniti, ha martoriato le terre haitiane. Era successo che ci stavamo muovendo con una colonna di reclute per accamparci vicino ad un villaggio. Durante il tragitto ci imbattiamo in un branco di cinghiali, ovvero, un mucchio di porci selvatici. La colonna guerrigliera si disimpegna allora con disciplina ed abilità, cioè, quello che stava all'avanguardia ha gridato "porci!" e con il panico come motore e combustibile, è salito su un albero con un'abilità che non siamo più riusciti a vedergli. Altri si sono messi a correre coraggiosamente… ma in direzione contraria a quella del nemico, che erano dei cinghiali. Alcuni hanno preso la mira e si sono resi conto che si trattava di due maiali selvatici. Nella ritirata nemica, ovvero, quando i maiali sono scappati, è rimasto abbandonato un maialino della dimensione di un gatto domestico. Lo adottammo e lo chiamammo Baby Doc perché a quell'epoca Papà Doc Duvalier moriva lasciando al suo rampollo in eredità la carneficina. Ci accampammo lì per cucinare e mangiare. Il maialino si affezionò a noi, credo per via dell'odore.

Un altro accampamenti di quegli anni si chiamava De la juventud [Della gioventù], perché lì si è formato il primo gruppo di giovani insurgentes che si chiamava Jóvenes rebeldes del sur [Giovani ribelli del sud]. Una volta alla settimana i giovani insurgentes si riunivano per cantare, ballare, leggere, fare sport e gare.

Il 17 novembre 1984, 19 anni fa, è stata la prima volta in cui abbiamo celebrato l'anniversario dell'EZLN. Eravamo in 9. Credo fosse in un accampamento che si chiamava Margaret Thatcher, perché avevamo catturato una scimmietta che, ve lo giuro, era il clone della Dama di Ferro.

Un anno dopo, nel 1985, lo abbiamo festeggiato in un accampamento chiamato Watapil, perché così si chiama una pianta con le cui foglie costruivamo il riparo per gli alimenti.

Io ero capitano in seconda, ci trovavamo nella cosiddetta "Sierra del Almendro" e la colonna madre si era fermata su un'altra altura. Al comando avevo 3 insurgentes. Se la matematica non m'inganna, in questo accampamento eravamo in 4. Abbiamo festeggiato con tostadas, caffè, cacao con zucchero ed un fagiano che avevamo ucciso nella mattinata. Ci sono state canzoni e poesie. Uno cantava o declamava e gli altri tre applaudivano con una noia degna di miglior causa. Quando è stato il mio turno, con un discorso solenne ho detto loro, senza altri soggetti che gli insetti e la solitudine che ci avvolgeva, che un giorno saremmo stati migliaia e che la nostra parola avrebbe dato una svolta al mondo. Gli altri tre hanno allora convenuto che probabilmente la tostada era guasta e sicuramente mi aveva fatto male perché stavo delirando. Ricordo che quella notte pioveva.

In quella che definiamo la quarta tappa, ci sono stati i primi contatti con i villaggi della zona. Per prima cosa si parlava con uno e poi questo parlava con la sua famiglia. Dalla famiglia si passava al villaggio. Dal villaggio alla zona. Così, a poco a poco, la nostra presenza era diventata un segreto ed una cospirazione di massa. In questa tappa, che si svolge parallela alla terza, l'EZLN non era già più quello che avevamo pensato al nostro arrivo. Già allora eravamo stati sconfitti dalle comunità indigene e, frutto di questa sconfitta, l'EZLN aveva cominciato a crescere geometricamente e a diventare "molto altro", ovvero la ruota ha continuato a smussarsi fino a che, finalmente rotonda, ha potuto fare quello che deve fare una ruota, cioè girare.

La quinta è quella della crescita esplosiva dell'EZLN. A causa delle condizioni politiche e sociali crescevamo molto aldilà della selva Lacandona fino ad arrivare ne Los Altos e al nord del Chiapas. La sesta tappa è quella della votazione per la guerra ed i suoi preparativi, compresa la cosiddetta "Battaglia di Corralchén", nel maggio del 1993, quando ci sono stati i primi scontri con l'esercito federale.

Due anni fa, durante la Marcia per la Dignità indigena, in qualcuno dei posti in cui siamo passati, ho visto una specie di bottiglia panciuta, come una pentola con l'apertura stretta. Era di coccio, credo, ed era formata da pezzetti di specchio. Riflettendo la luce, ogni specchietto dell'orcio-bottiglia restituiva un'immagine particolare. Tutt'intorno aveva un riflesso singolare e, nello stesso tempo, l'insieme sembrava un arcobaleno di immagini. Era come se molte piccole storie si fossero unite per formare una storia più grande, senza perdere la loro singolarità. Ho pensato allora che, forse, la storia dell'EZLN poteva essere raccontata, guardata e analizzata come quella bottiglia-orcio.

Oggi, 10 novembre 2003, 20 anni dopo quel viaggio iniziato dai fondatori della nostra organizzazione, si apre una campagna promossa dalla rivista Rebeldía, per celebrare il ventesimo compleanno dell'EZLN e il decimo anniversario dell'inizio della guerra contro l'oblio e si presenta questo libro EZLN: 20 y 10, el fuego y la palabra, di Gloria Muñoz Ramírez. Questo libro si potrebbe sintetizzare in un'immagine e non vedrei niente di meglio che quella dell'orcio-bottiglia formato da pezzetti di specchio.

In una parte del libro, Gloria raccoglie le testimonianze di alcuni compagni basi d'appoggio, responsabili, comitati e insurgentes che parlano del loro pezzettino di specchio nelle ultime 5 tappe prima della sollevazione, precisamente le tappe 3, 4, 5, 6 e 7. È la prima volta che dei compagni, che portano avanti la loro lotta zapatista da più di 19 anni, aprono il loro cuore e la loro memoria su quegli anni di silenzio. Così, Gloria riesce a trasformare quei pezzetti di specchio in un pezzo di cristallo che permette di avvicinarsi un poco ai primi 10 anni dell'EZLN.

Si può così indovinare un'altra storia, molto diversa da quella costruita dai governi di Carlos Salinas de Gortari ed Ernesto Zedillo con le menzogne, dai rapporti di polizia appositamente alterati e con la complicità di intellettuali che nascondevano sotto la copertura di presunte ricerche "serie" l'assegno e la carezza incassati dal potere per avallare la loro "obiettività scientifica".

Con i pezzetti di specchio e cristallo che Gloria ha raccolto, il lettore si renderà conto che si sta avvicinando solo ad una certa parte di un gigantesco rompicapo. Un rompicapo i cui pezzi chiave si trovano nel primo giorno dell'anno 1994, quando il Messico entrava nel primo mondo attraverso il Trattato di Libero Commercio.

Prima di quel primo gennaio, la vigilia, c'è la settima tappa dell'EZLN.

Ricordo che la notte del 30 dicembre del 1994 mi trovavo sulla strada Ocosingo - San Cristóbal de las Casas. Quel giorno ero nelle posizioni che mantenevamo nei dintorni di Ocosingo. Per radio avevo verificato la situazione delle nostre truppe che si stavano concentrando in diversi punti ai bordi della strada, lungo le vallate di Patiwitz, di Monte Líbano e di Las Tazas. Queste truppe erano il terzo reggimento di fanteria: circa mille e 500 combattenti. La missione del terzo reggimento era l'occupazione di Ocosingo. Ma prima di questo dovevano, "di passaggio", prendere le fattorie della zona ed appropriarci delle armi delle guardias blancas dei proprietari. Da quanto riportavano, sopra il villaggio di San Miguel sorvolava un elicottero dell'Esercito federale sicuramente allertato dalla moltitudine di veicoli che si stavano concentrando in questo centro abitato. Dall'alba del giorno 29 tutti i veicoli che entravano nelle vallate non ne uscivano, tutti erano presi "in prestito" per muovere le truppe del terzo reggimento. Il terzo reggimento era formato interamente da indigeni tzeltales.

Passando avevo verificato le posizioni del battaglione numero otto (che faceva parte del quinto reggimento) incaricato di prendere il capoluogo municipale di Altamirano in una prima mossa. Dopodiché, in marcia, avrebbe occupato Chanal, Oxchuc e Huixtán per poi partecipare all'attacco al quartiere militare di Rancho Nuevo, alla periferia di San Cristóbal. L'ottavo era un battaglione rinforzato. Per l'occupazione di Altamirano contava su circa 600 combattenti, dei quali una parte sarebbe rimasta nella piazza occupata. Nella sua avanzata avrebbe incorporato altri compagni per arrivare a Rancho Nuevo con circa 500 effettivi di truppa. L'ottavo battaglione era formato in maggioranza da tzeltales.

Ancora sulla strada mi fermai in una delle zone più elevate e mi misi in contatto radio con il battaglione 24 (anch'esso parte del quinto reggimento) la cui missione era l'occupazione del capoluogo municipale di San Cristóbal de Las Casas e l'attacco congiunto (in concomitanza con il battaglione otto) al quartiere militare di Rancho Nuevo. Anche il ventiquattresimo era un battaglione rinforzato. Numericamente la truppa raggiungeva quasi i mille combattenti, tutti della zona de Los Altos e indigeni tzotziles.

Arrivando a San Cristóbal, costeggiai la città e mi diressi alla posizione in cui sarebbe stato il quartiere generale del comando dell'EZLN. Da lì comunicai via radio con il comando del primo reggimento, il subcomandante insurgente Pedro, capo di stato maggiore zapatista e secondo al comando dell'EZLN. La sua missione era l'occupazione del capoluogo municipale di Las Margaritas e l'avanzata per attaccare il quartiere militare a Comitán. Forte di milleduecento combattenti, il primo reggimento era formato in maggioranza da tojolabales.

Inoltre, nella cosiddetta "seconda riserva strategica" c'era un battaglione formato da indigeni choles e nelle profondità delle nostre basi di dispiegamento, con 3 battaglioni disposti nelle zone tzeltal, tojolabal, tzotzil e chol, si trovava la cosiddetta "prima riserva strategica".

Sì, l'EZLN esce alla luce del sole con più di 4 mila 500 combattenti nella prima linea di fuoco, la cosiddetta ventunesima divisione di fanteria zapatista, e circa 2 mila combattenti nella riserva.

All'alba del 31 dicembre del 1993 confermai l'ordine di attacco, la data e l'ora. Riassumendo: l'EZLN avrebbe attaccato simultaneamente 4 capoluoghi municipali ed altri 3 "sul percorso", avrebbe bloccato le truppe di polizia e militari in quelle piazze ed avrebbe marciato dopo aver attaccato due grandi quartieri dell'Esercito federale. La data: 31 dicembre del 1993. L'ora: le 24:00.

La mattina del 31 dicembre del 1993 si provvide allo sgombero delle posizioni urbane che si mantenevano in alcune località.

Intorno alle 14:00 i diversi reggimenti confermarono via radio al comando generale di essere pronti. Alle 17:00 iniziò il conto alla rovescia: "meno 7" si chiamò quell'ora. A partire da quel momento s'interruppero tutte le comunicazioni con i reggimenti. Il successivo contatto radio era programmato per le "altre 7", le 07:00 del primo gennaio del 1994... con quelli che sarebbero rimasti vivi.

Quello che seguì, se non lo sapete, lo potete trovare in questo libro, ma se già lo sapete, lo potrete ricordare. In questo libro, la pentola-bottiglia si trasforma in un gigantesco arazzo disegnato fortunatamente nelle sue linee generali da Gloria e pieno di questi pezzetti di specchio e cristallo di cui sono formati i distinti momenti dell'EZLN negli ultimi 10 anni, cioè, dal periodo che va dal primo gennaio 1994 al 10 agosto del 2002. Sono sicuro che molti troveranno lo specchio ed il cristallo che corrisponde a loro. Proprio pensando a questo ho scritto nell'introduzione:

"(…) una donna giornalista di professione è riuscita, non senza difficoltà, a varcare il complicato e spesso muro dello scetticismo zapatista ed ha vissuto nelle comunità indigene ribelli. Da allora ha condiviso con i compagni il sonno e l'insonnia, l'allegria e la tristezza, il cibo e la sua assenza, le fatiche e il riposo, la morte e la vita. A poco a poco i compagni e le compagne l'hanno accettata rendendola partecipe della loro quotidianità. Non racconterò la sua storia. Tra altre cose, lei ha preferito raccontare la storia di un movimento, il movimento zapatista, e non la propria".

Nel prologo del libro ho scritto quanto segue:

"10 anni fa, l'alba del primo gennaio del 1994, ci siamo sollevati in armi per la democrazia, la libertà e la giustizia per tutti i messicani. Con un'azione simultanea occupammo 7 capoluoghi municipali dello stato messicano sudorientale del Chiapas e dichiarammo guerra al governo federale, al suo Esercito e polizie. Da allora il mondo ci conosce come "Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale".

Ma noi ci chiamavamo così già da prima. Il 17 novembre dell'anno 1983, 20 anni fa, è stato fondato l'EZLN, e come EZLN abbiamo cominciato a percorrere le montagne del sudest messicano portando una piccola bandiera di colore nero con una stella rossa a cinque punte e la sigla "EZLN", anch'essa in rosso, alla base della stella. Porto ancora questa bandiera. È piena di rammendi ed è maltrattata ma ondeggia ancora ariosa nella comandancia general dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Anche noi abbiamo rammendi nell'anima, ferite che pensiamo cicatrizzate ma che si riaprono quando meno ce l'aspettiamo.

Per 10 anni ci siamo preparati per quei primi minuti del 1994. Ora s'intravede il gennaio del 2004. Presto saranno 10 anni di guerra, 10 anni di preparazione e 10 anni di guerra, 20 anni.

Ma non parlerò né dei primi 10 anni né dei successivi, né dei 20 in totale. Non parlerò di anni, di date, di calendari. Parlerò di un uomo, un soldato insurgente, uno zapatista. Non dirò molto. Non posso. Non ancora. Si chiamava Pedro ed è morto combattendo. Portava il grado di subcomandante ed era, al momento della sua caduta, capo di stato maggiore dell'EZLN e mio secondo al comando. Non dirò che non è morto. È morto ed io non avrei voluto che morisse. Ma, come tutti i nostri morti, Pedro è qui e ogni tanto appare e parla e scherza e si fa serio e chiede altro caffè ed accende l'ennesima sigaretta. Adesso è qui. Il 26 ottobre è il suo compleanno. Gli dico "buon compleanno". Lui solleva la sua tazza di caffè e dice "salute sub". Io non so perché mi sono messo il nome Marcos se nessuno mi chiama così, tutti mi chiamano sub o i suoi equivalenti. Ma mi dice sub. Parliamo con Pedro. Io gli racconto e lui mi racconta. Ricordiamo. Ridiamo. Ci facciamo seri. A volte lo sgrido. Lo sgrido perché è un indisciplinato, perché io non gli ho ordinato di morire e lui invece è morto. Non ha obbedito. Allora lo sgrido. Lui apre solo un po' di più gli occhi e mi dice "è andata così". Già, proprio così. Allora gli mostro una mappa. A lui piacevano le mappe. Gli mostro quanto siamo cresciuti. Sorride.

Josué si avvicina, saluta e si congratula, "auguri compagno subcomandante insurgente Pedro". Pedro se la ride e dice "per la miseria, quando hai finito di pronunciare tutto questo io compio gli anni un'altra volta". Pedro guarda Josué e mi guarda. Io assento in silenzio.

Improvvisamente non stiamo più festeggiando il compleanno. Tutti e tre stiamo risalendo un pendio. In un momento di riposo Josué dice: "fra poco sono 10 anni dall'inizio della guerra". Pedro non dice nulla, accende solo la sigaretta. Josué aggiunge "e 20 anni da quando è nato l'EZLN. Bisogna fare un gran ballo".

"20 e 10" ripeto lentamente ed aggiungo "e quelli che ci mancano…".

Intanto siamo arrivati in cima all'altura. Josué posa il suo zaino. Io accendo la pipa e con la mano indico in lontananza. Pedro guarda in quella direzione, si alza e dice, dice a se stesso, ci dice: "sì, ya se mira el horizonte…".

Pedro se ne va. Josué si carica di nuovo lo zaino e mi dice che dobbiamo proseguire.

Sì, è proprio così: dobbiamo proseguire…

Che cosa stavo dicendo? Ah, sì! Siamo nati 20 anni fa e 10 anni fa ci siamo sollevati in armi per la democrazia, la libertà e la giustizia. Ci conoscono con il nome di "Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale" e la nostra anima, sebbene con rammendi e cicatrici, continua ad ondeggiare come quella vecchia bandiera che si scorge là in alto, quella con la stella rossa a cinque punte sullo sfondo nero e la sigla "EZLN".

Noi siamo gli zapatisti, i più piccoli, quelli che si coprono il volto per essere guardati, i morti che muoiono per vivere. Tutto questo perché 10 anni fa, un primo di gennaio, e 20 anni fa, un 17 di novembre, sulle montagne del sudest messicano…".

Qui termina il prologo e comincia lo scritto di Gloria Muñoz Ramírez così come oggi terminano le mie parole e comincia la campagna EZLN: 20 y 10, el fuego y la palabra, con la presentazione di un libro che a volte è pentola-bottiglia ricoperta di specchi e cristalli, a volte è un arazzo e che sempre è una storia che non bisogna dimenticare, perché dimenticandola, dimentichiamo noi stessi.

Adesso sì, è ufficiale: auguri a tutti e a tutte coloro che in questi 20 e 10 hanno messo il fuoco e la parola.

Questo è tutto. Se vi siete annoiati, andate domani 11 novembre alla mostra d'arte grafica: le opere verranno messe all'asta presso la Casa della Cultura Jesús Reyes Heroles ed al ballo del giorno 14 nel Salón Los Angeles.

E se continuate ancora pur annoiati, dimostrate d'aver la stoffa per essere deputati, senatori o precandidati alla presidenza del Messico.

Bene, me ne vado perché sento già le prime note di Cartas marcadas e faremo senz'altro tardi con tanto di torta e sacchetti di caramelle.

Bene. Salute e che tutti c'incontrino e s'incontrino.

Dalle montagne del sudest messicano e gonfiando palloncini solo perché non si dica che non ne sono più capace
Subcomandante insurgente Marcos
Messico, novembre 2003
20 y 10

[da Perfil de La Jornada 15 novembre 2003 - Versione leggermente modificata dall'originale. Sono stati omessi alcuni paragrafi relativi alla presentazione del libro 20 y 10. El fuego y la palabra pubblicati nell'edizione de La Jornada del 9 novembre 2003]


(traduzione del Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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