La Jornada - Martedì 9 settembre 2003
Calma al presidio zapatista nonostante le intimidazioni
Mezzo carro di legna secca mette a dura prova i poteri Esecutivo e Giudiziario del Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 settembre - Un cordone di poliziotti con la "armatura" antisommossa, scudi, bastoni e fucili lancia-lacrimogeni circonda il passaggio verso gli uffici del penale di questa città (Cereso numero 5) di una commissione della giunta del buon governo Arcobaleno della Nostra Speranza e del municipio autonomo Miguel Hidalgo. Sui tetti del penale, vari agenti impugnano fucili a lunga portata e puntano indistintamente contro le autorità zapatiste ed il centinaio di indigeni riuniti fuori dal carcere, in presidio da sabato.

Due agenti di polizia si avvicinano alla cancellata che li separa delle basi zapatiste e con gestire volgare li puntano direttamente con i loro fucili lancia-lacrimogeni. Gli uomini e le donne zapatisti, col volto nascosto, ridono della minaccia in un estraneo coro: una miscela di burla e dolore.

Sono stati pacifici, pazienti e chiari. Invece, le autorità li hanno trattato con il loro disprezzo abituale per "curare" l'indio.

Adesso, sette rappresentanti autonomi a volto scoperto ed un difensore comunitario entrano nelle installazioni, dove si incontreranno con la giudice María del Carmen Monzón e le chiederanno la liberazione di Juan Sántiz Gómez e Fernando Sántiz Pérez, basi d'appoggio dell'EZLN, e di Hilario Bautista, abitante del municipio ufficiale di Amatenango del Valle.

Ieri si è presentato qui il sindaco costituzionale di Amatenango per rendersi conto della situazione di Bautista. Incontrandosi con gli zapatisti, ha chiesto loro di appoggiare l'indigeno arrestato nello stesso operativo. "Se gli zapatisti lo possono far scarcerare, bene", ha detto prima di ritirarsi, lavandosi le mani.

La moneta è stata lanciata. La polizia ha arrestato Juan e Fernando Sántiz alle 11 di giovedì, mentre andavano da Teopisca a Tulancá trasportando "mezzo carro" di legna secca, per uso "domestico e comunitario". Con notevole celerità, il Ministero Pubblico (MP) di Teopisca li ha accusati venerdì nelle prime ore e li ha trasferiti al Cereso di San Cristóbal de Las Casas.

Ancor più notevole questa celerità, considerando che le stesse autorità hanno permesso il passaggio lo stesso giovedì senza nullaosta legale a incredibili carichi di tavole e assi, mediante la tradizionale risorsa del "pizzo".

Gli indigeni detenuti, accusati di ecocidio ("danno doloso e premeditato" secondo il Codice Penale, e "reato grave") avevano l'autorizzazione del municipio autonomo Miguel Hidalgo per sfruttare e trasportare il legname di cui oggi li si accusa. Lo stesso consiglio autonomo testimonierà domani di fronte alla giudice ed annuncia che presenterà le prove documentate.

Insomma, mezzo carro di legna ha messo a dura prova i poteri Esecutivo e Giudiziario. La punizione dei contadini zapatisti (contrastante con gli atti di corruzione flagrante, o di ricatto, che lasciano andare liberi ciò che il gergo giudiziario chiamerebbe i "pesci più grandi") denuda il modus operandi delle polizie per le strade del Chiapas. Dato che tutto si riassume nel fatto che gli zapatisti non hanno pagato il "pizzo" né han fatto "comunella" col PM di Teopisca.

Dopo l'installazione dei Caracoles zapatisti, il governatore Pablo Salazar Mendiguchía e il segretario di Governo, Santiago Creel, si sono prodigati in dichiarazioni nelle quali riconoscevano che le giunte del buon governo non violavano la legalità.

Domani, quando il consiglio autonomo di Miguel Hidalgo presenterà alla giudice Monzón i documenti, si saprà se le autorità dormono e russano.

Per ora, la giudice ha esteso per altre 72 ore il tempo per la raccolta delle prove, che così arriva a giovedì. Dopo potrebbe dettare l'atto di arresto formale, o liberare gli indigeni.

"Nei nostri municipi autonomi siamo contro il taglio degli alberi. Lo abbiamo regolato bene", dice Sebastián, portavoce del municipio zapatista, ai giornalisti. Inoltre rivela che Juan e Fernando Sántiz "sono stati intimiditi dalla polizia quando hanno reso le loro dichiarazioni".

Rubén Moreno, difensore della Rete dei Difensori Comunitari per i Diritti Umani, considera "ingiusto" l'arresto degli indigeni. "Tutti sanno che si è permesso il passaggio di camion con molta più legna senza nessun nullaosta". Aggiunge che Juan e Fernando hanno il nullaosta di una "autorità riconosciuta", come sono le autorità comunitarie e ejidali. In questo caso, del municipio autonomo Miguel Hidalgo.

- Sono tre giorni che stiamo qui aspettando. E sopportatelo. Vorrei vedere se voi accettereste che qualcuno vi trattasse così - spiattella in faccia ai poliziotti del carcere una donna piccola e sottile, con un passamontagna marrone e dei vestiti molto umili.

L'avvocato Miguel Angel de Los Santos, pure della Rete dei Difensori Comunitari, ha dichiarato più tardi: "Se il governo riconosce che le giunte del buon governo sono nel quadro del diritto, non vedo perché non possa risolvere favorevolmente il caso. È il momento di riconoscere in pratica ciò che ha sostenuto in teoria". Ed ha aggiunto: "Non si commette un reato quando si sta agendo con il nullaosta di una autorità legittima".

Un dialogo molto rivelatore aveva avuto luogo questa mattina attraverso la cancellata del carcere. Gli impiegati del Cereso stavano andando e venendo, assicurando agli zapatisti che sarebbero stati ricevuti. L'ufficiale di turno dell'operativo antisommossa dice agli incappucciati con tono paternalistico e di buon umore:

- Nominate una commissione voi, per poter entrare.

A mezzo metro dalla sua faccia, dal suo passamontagna uno degli indigeni gli replica:

- No, voi non avete capito. Stiamo aspettando la delegazione della giunta del buon governo e allora entreranno, insieme alle autorità del municipio autonomo.

- Fate pure come volete - "perdona" il poliziotto.

- Non è come vogliamo. Entreremo quando arriveranno le nostre autorità, che vengono dal Caracol Mulinello delle Nostre Parole. Noi non nominiamo qui nessuna commissione - replica con dignità l'indigeno.

- E va bene. La giudice ha già detto che controllerà la pratica, per essere più preparata per decidere secondo il diritto.

Il poliziotto, soddisfatto di ciò che ha detto, sorride, e dando un paio di passi indietro si ripara dietro a due agenti con gli scudi di acrilico. L'indigeno insiste, offeso:

- Voi non capite che stiamo reclamando ciò che è giusto. Noi non siamo così come si vuole credere. Abbiamo le nostre autorità che ci rappresentano.

Sì, la moneta è stata lanciata.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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