il manifesto - 6 luglio 2003

Tre anni di Fox l'impantanato
65 milioni di messicani andranno oggi alle urne per il rinnovo della camera. Giunto a metà del suo mandato, l'uomo che doveva incarnare il rinnovamento non ha mantenuto nessuna delle sue promesse. E se i risultati confermeranno i sondaggi con il nuovo Congresso il prossimo triennio sarà per lui ancor più difficile, a causa dei numerosi scandali sotto il tappeto e del recupero del PRI

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

Oggi, mentre impera la ley seca, la proibizione degli alcolici, 65 dei 100 milioni di messicani dovrebbero andare a votare. Si rinnova, dopo tre anni, l'intera camera dei 500 deputati federali, giusto a metà della presidenza di Vicente Fox. In dieci dei 32 stati, si celebrano anche elezioni locali. Ma si prevede un'astensione da record, l'elettorato è voltato di spalle e preso da tutt'altri problemi. Tre anni di Fox sfibrerebbero chiunque, figurarsi i milioni di messicani che votarono per lui nel 2000 credendo di inaugurare una nuova stagione, dopo 70 anni del PRI, il partito-stato.

Gli unici realmente interessati all'esito di queste elezioni sono il presidente Fox e i partiti politici. Il primo perché la ricomposizione del parlamento decide i suoi prossimi tre anni di governo, i secondi per vedere come si posizionano in vista della successione presidenziale del 2006. Le inchieste d'opinione, sospese da qualche giorno, non indicano grandi sorprese.

I pensieri dei messicani

La VolksWagen di Puebla ha rinviato il licenziamento di migliaia di operai solo perché questi hanno accettato una diminuzione dell'orario. Le famigerate maquilas, nuovi inferni dei lavoratori precari, fuggono dal Messico. Preferiscono paesi meno cari e con meno problemi. L'agricoltura nazionale, grazie al Nafta, è annientata da quella statunitense, sostenuta da enormi sussidi. Il paese che ha dato il mais all'umanità è costretto a importarlo, per di più transgenico, dal potente vicino del Nord e si vede rifiutare il proprio tonno con pretesti ambientalisti. La sovranità alimentare è un ricordo del passato.

Nel bel mezzo della disoccupazione e della fame montante, appaiono gli spot di Fox che annuncia che tutto va benissimo nel migliore dei mondi possibili e facessero tutti il favore di andare a votare. Poi dopo vedremo come la mettiamo con il Plan Puebla-PANamá e l'Alca, intanto ai gringos gli abbiamo garantito l'impunità e non c'è Corte penale internazionale che possa giudicarli.

Per quanto si sforzi di accontentarli, il presidente Fox è in ritardo per l'agenda neo-liberista: la privatizzazione del petrolio e dell'energia elettrica, ultimi bastioni del patrimonio nazionale, non vanno ancora in porto, anche se lui le promette ai quattro venti nei suoi tour all'estero e si è scoperto che un buon numero di imprese straniere opera già nel settore elettrico. Se il Congresso continua a fargli ostruzionismo - o peggio, ad aumentarlo dopo le elezioni - Fox non potrà portare a termine neanche una delle riforme che aveva promesso ai suoi grandi elettori.

Perché, tra l'altro, è ormai certo che Vicente Fox, il primo "presidente dell'opposizione", è stato eletto nel 2000 non solo grazie a un'agenzia d'immagine statunitense ma anche con un aiutino economico di oltre-frontiera dato agli Amigos de Fox, un'organizzazione "spontanea" dedita alla raccolta di fondi. Ricardo Pascoe, ex ambasciatore messicano a Cuba, esibisce fior di testimoni - da congressisti statunitensi a diplomatici europei - che avrebbero visto il futuro (ora ex) ministro degli esteri messicano Jorge Castañeda - ex izquierdista e castrista - ricevere "sottoscrizioni" dai cubani di Miami per finanziare l'elezione di Vicente Fox. Così si capisce meglio lo storico e cafonissimo "ceni e te ne vai" che impose Fox a Fidel Castro l'anno scorso, in occasione del vertice ONU di Monterrey.

In tema di scandali elettorali, il PRI, che ha perso la presidenza tre anni fa ma ha pur sempre il maggior gruppo parlamentare con 208 deputati, non è da meno. Nelle elezioni del 2000 sembra abbia messo mano alla cassa di Pemex, l'ente petrolifero pubblico, come d'altronde aveva sempre fatto. Ma, per le elezioni di oggi, i due maggiori partiti sembrano aver stipulato un patto di non aggressione: il PAN, il partito del presidente e della destra cattolica con i suoi 205 deputati, non tira fuori la storia di Pemex, se il PRI, in attesa del suo gran rientro, rinuncia ad andare a fondo con lo scandalo degli Amigos de Fox. Ma è chiaro che da domani il patto non varrà più.

Da uno a undici partiti

Creato dal presidente Elias Calles nel 1929 per disciplinare la successione presidenziale, il PRI, che allora si chiamava Partido Nacional Revolucionario, sviluppò il modello dello stato corporativo con un certo successo e relativamente poca repressione. In questo, si è sempre differenziato dal tipico percorso latinoamericano fino a meritarsi la definizione di Mario Vargas Llosa di "dittatura perfetta".

La "saggezza" del PRI, oltre all'uso sfrenato di corruzione e clientelismo, si manifestava nel permettere l'esistenza di altri partiti, veri o fittizi che fossero. Il PAN, Partido de Acción Nacional, è uno dei veri, con più di sessant'anni di vita e le radici nella resistenza cattolica alla Rivoluzione. Grazie al "effetto Fox" del 2000, il PAN è arrivato al suo massimo storico, ma è già dagli `80 che cominciò a conquistare posizioni. Il suo allineamento neo-liberista è talmente ortodosso che già sotto la presidenza Salinas (1988-1994) si diceva: "il PRI governa con il programma del PAN".

Il fatto che nel 2000 il PAN sia stato portato alla presidenza da Vicente Fox - un ex-governatore con i colori Marlboro e CocaCola - prova la teoria chomskiana dei "due cavalli, un solo fantino".

L'antico PRI, un partito che non sapeva più dove mettersi il suo nazionalismo rivoluzionario e che sembrava un club di vecchi gangster, era ormai un partner impresentabile per il socio-padrone nord-americano. Andava cambiato con un gerente cocacolero, timorato di Dio e buon pagatore.

Dopo il PRI e il PAN, un altro partito vero è il PRD, il Partido de la Revolución Democrática, nato nel 1989 dal movimento maggioritario che sostenne la candidatura di Cuauhtemoc Cárdenas e vinse - ormai è storia - le elezioni presidenziali del 1988, prontamente usurpate da Salinas. Di fronte a quella cinica beffa, cui contribuirono deputati del PAN, l'ingeniero, come è chiamato il figlio del presidente Lazaro Cárdenas, il più popolare del Novecento messicano, scelse la via pacifica dell'organizzazione politica. E nacque il PRD, un partito che ai tempi di Salinas e Zedillo vantava centinaia di militanti uccisi e sembrava rappresentare la sinistra.

L'illusione è durata poco. Troppo aperturista, al punto di accettare qualunque transfuga del PRI purché porti voti, troppo occupato a disputarsi candidature e totalmente dimentico delle lotte popolari, dei diritti indigeni, degli zapatisti e delle minoranze, il PRD ha gravemente deluso la sua base tradizionale. Dai 54 deputati attuali, Rosario Robles, oggi alla guida del partito, spera di riportarlo ai livelli del 1997, quando aveva un centinaio di deputati e un peso molto maggiore. La Robles si è giocata la testa sul risultato, annunciando che si dimette se sarà inferiore al 20%.

Da una costola del PRD, che non ha trovato di meglio che definirsi nel suo statuto "un partito di sinistra", è nato México posible, una nuova formazione che debutta in queste elezioni e si centra sui diritti delle minoranze (indios, donne, omosessuali, handicappati), la legalizzazione della marihuana, il pacifismo e la difesa dell'ambiente. Tutte le cause che il PRD ha perso per strada, insomma.

Completano il panorama il Partido Verde Ecologista, riserva della famiglia Gonzalez Torres, che mette a disposizione i 17 deputati al miglior offerente (prima al PAN, ora al PRI). E il Partido del Trabajo, con i suoi 8 deputati, sospettato di ricevere aiuti governativi sotto Salinas ma ormai ripulito da quel peccato originale. Gli altri sono pulviscolo.

Dietro al PRI intanto, si profila di nuovo, minacciosa, la pelata di Carlos Salinas de Gortari. L'ex-presidente, che ha un fratello in carcere per arricchimento illecito, omicidio e vincoli con il narcotraffico, non ha mai smesso di contare nell'economia e nella finanza del Messico. Oggi il PRI è ancora in mano ai dinosauri più legati alla finanza speculativa internazionale, di cui il Wall Street Journal è portavoce. E sta ponendo un freno "patriottico" alla privatizzazione dell'industria elettrica. Con le elezioni vinte e Fox di spalle al muro, il PRI può farsi pagare molto caro l'appoggio alle "riforme energetiche". Addirittura con la prossima presidenza.

Votando si impara

Su più di 120mila seggi, solo una quarantina non si sono potuti installare. Molti di questi "focos rojos", come li chiamano i funzionari elettorali, sono qui in Chiapas, ma fuori dalle zone di influenza zapatista. In alcuni casi si tratta di comunità che hanno rivendicazioni specifiche e usano la giornata elettorale per attirare l'attenzione. In altri si tratta di boicottaggio da parte di organizzazioni indigene e contadine.

La posizione degli stessi zapatisti nei confronti delle elezioni è molto variata, in questi anni. Dalla partecipazione aperta nel 1994, al boicottaggio delle elezioni successive fino alla libertà di coscienza attuale. L'ultimo documento del subcomandante Marcos ha sviscerato il fenomeno della globalizzazione ma, ancorché lunghissimo, non ha detto una parola sulle elezioni e sul voto. Sta di fatto che la grande presenza dell'esercito messicano in Chiapas, altera le cifre delle votazioni e scoraggia la partecipazione, già di per sé bassa.

Finiti i tempi delle frodi plateali, della compravendita di massa del voto, del folclorico finale con incendio di urne e pistoleros, nel Messico della modernità neo-liberista avanzano insieme l'astensione e il pluripartitismo.


Fox: bugie e corruzione. Come il PRI.

Elena Poniatowska. Intervista alla famosa scrittrice messicana (nella foto) sulle speranze tradite dal primo presidente non "priista" in 70 anni. "Le aspettative erano alle stelle ma nessuna è stata realizzata". Specie per quel che riguarda i diritti degli indigeni e dei migranti messicani negli Usa

GIA. PRO.

Splendida scrittrice - Fino al giorno del giudizio, Tinissima, Paseo de la Reforma - ombudsman del Messico profondo, portavoce di vinti e ribelli, Elena Poniatowska è la persona più indicata per fare il punto della situazione. Chi vuole conoscere il Messico che stanno cancellando le multinazionali ricorre ai suoi libri o, in mancanza, ai suoi articoli.

Che voto darebbe a questi tre anni di presidenza Fox?

I messicani sono molto delusi da un presidente che avrebbe dovuto salvare il paese. Le aspettative erano alle stelle ma praticamente nessuna si è compiuta. Una buona parte della delusione deriva anche dall'irrealtà delle aspettative. Nessun paese diventa democratico da un giorno all'altro. Fox ha anche mentito e questo lo rende simile ai vecchi politici del PRI, legati alla corruzione e alla retorica vuota. In questi anni, Fox non ha mai detto niente di significativo. E neanche fatto.

Regge il paragone fra l'invadente first lady, Marthita Sahagún de Fox, e Hillary Clinton?

Martha Sahagún è una Barbie vecchio modello. La coincidenza con Hillary Clinton sta nel fare della propria vita privata un argomento pubblico. Naturalmente il potere di Hillary è maggiore e la sua preparazione accademica e professionale è di molto superiore, ma tutte e due ottengono quello che vogliono ricorrendo alla stessa cosa: l'esibizione della propria intimità. Viviamo una cultura light, in cui Hola (la rivista spagnola di pettegolezzi, ndr) è la bibbia. Ogni figura pubblica è vittima propiziatoria, ma in questo caso hanno scelto tutte e due volontariamente di mettersi in vetrina.

Che pensa del "cambio" in politica estera, da Castañeda a Derbez? E del Messico nel Consiglio di sicurezza?

Il Messico almeno non si è comportato come Aznar, la cui condotta è orripilante. In quanto al Consiglio di sicurezza dell'Onu, il Messico ha smesso di essere uno yes-man, un servitore del potente, almeno un poco. Questo paese è sempre stato molto orgoglioso della sua politica estera. Ci assicuravano che era il meglio che avevamo. Ora la politica estera messicana segue i lineamenti nord-americani e, anche se si è astenuto sulla guerra in Iraq, Fox è stato molto tiepido nella sua condanna.

Come ha sentito questa campagna elettorale? Il fatto che in Messico si stia andando da un sistema mono-partitico verso il dodeca-partitismo è positivo per la democrazia?

La fine del mono-partitismo è sicuramente positiva, sebbene bisogna riconoscere che il PRIi, con tutto il suo orrore, non ha mai provocato guerre intestine come nel resto dell'America latina. A parte Porfirio Diaz, non abbiamo avuto dittatori, salvo Santana, che era più folclorico che crudele e alimenta solo aneddoti scherzosi. In questa campagna elettorale si vede molto protagonismo, molte vedettes, molte facce che cercano soprattutto riflettori. Caras vemos, corazones no sabemos, si vedono le facce ma si ignorano i cuori, e ancor più che cosa propone ogni candidato. C'è una gran confusione e quello che più abbonda sono le primedonne, come dice Soledad Loaeza. E in Messico le prime donne non mancano, anzi.

La Chiesa cattolica se l'è presa, senza mai nominarlo, con il nuovo partito México posible. È forte l'ingerenza clericale in politica?

Con un presidente che ostenta il suo cattolicesimo, ovviamente la Chiesa ha recuperato una forza che aveva solo prima di Benito Juarez e le sue leggi di Riforma (1859), dove si sancisce la separazione di Stato e Chiesa. La Chiesa interviene politicamente nelle elezioni e nella vita pubblica. México posible è un tentativo di nuovo partito che raccoglie le richieste disattese dal Prd, il partito della sinistra tradizionale, ma a sua volta frammenta la sinistra. La divisione è sempre stata il grande errore della sinistra.

Però, insieme ad altri 63 intellettuali famosi, lei ha firmato un manifesto di appoggio a México posible, che in fondo è l'unica novità di queste elezioni. Che vi proponete? Formare un nuovo club dell'intellighentsia? Dare un avviso forte al Prd? O che altro?

México posible è un partito che non ha ancora avuto la registrazione definitiva (dovrà ottenere almeno il 2% dei voti per averla, n.d.r) e, come dice mia figlia Paula, è un partito di intellettuali presuntuosi che vogliono figurare. Queste elezioni saranno ricordate come la grande fiera delle vanità e del protagonismo sfrenato. México posible è ugualmente un messaggio forte al Prd ed è affetto anche lui da molto vedettismo, ma se si uniscono al nuovo partito lavoratori di tutti i tipi, almeno sapremo che è un partito pulito, che raccoglie le aspirazioni di gruppi minoritari o abbandonati. E l'onestà in Messico è già un gran progresso.

Ha letto l'ultimo saggio del subcomandante Marcos su La Jornada del 30 giugno? Che ne pensa?

Non posso dir nulla perché non l'ho ancora letto.

È vero che l'estrema destra del Ku Klux Klan si è impadronita dell'arsenale più temibile della storia e muore dalla voglia di usarlo? O è solo un incubo? Che dobbiamo fare per fermare Bush e i suoi neo-conservatives? Basteranno i no-global a salvarci?

La destra si impadronisce sempre degli arsenali. I no-global hanno tutta la mia simpatia, in Canada, in Messico, in tutto il mondo. È grazie a loro che il mondo mantiene viva la sua speranza.

I diritti indigeni sono spariti dal tavolo, quelli dei milioni di emigranti messicani verso gli Stati uniti (il cavallo di battaglia del candidato Fox) sono finiti nel congelatore. Che cosa non si è fatto e si potrebbe fare per queste due gravi questioni?

Uno dei grandi insuccessi di Fox è quello di non aver concretizzato un accordo migratorio con gli Stati Uniti. È chiaro che, in parte, il fiasco si deve all'attentato del settembre 2001 contro le torri gemelle di New York. Tuttavia, attualmente sono gli emigranti quelli che permettono la sopravvivenza delle loro regioni grazie alle rimesse che inviano dagli Stati uniti. Quanto ai diritti indigeni, c'è bisogno di un governo disposto a onorare gli accordi di San Andrés e a far fronte ai coletos (la borghesia urbana di San Cristobal, ndr) e ai latifondisti, i veri padroni del Chiapas. Il governo difende sempre i diritti dei potenti. In fondo, in Chiapas la guerra è fra ricchi e poveri.

A settembre, il presidente Chirac le appunterà la Legion d'onore. Come la fa sentire questa onorificenza?

In realtà, la Legion d'onore che riceverò è un tributo a mia madre, Paula Amor, che guidò un'ambulanza francese della Croce rossa durante l'ultima guerra mondiale e fu una donna molto coraggiosa per tutta la vita. Avrebbe dovuto riceverla lei, ma è morta due anni fa.

Il suo romanzo La piel del cielo denuncia lo stato della ricerca scientifica in Messico. A parte piangere, che si può fare per la scienza, la cultura (peraltro così ricca e giustamente famosa) e l'istruzione in questo paese?

Forse il problema principale, non solo del Messico ma di tutta l'America latina, dopo la fame, è quello dell'istruzione. La nostra vicinanza con gli Stati uniti ci fa importare da là scienza e tecnologia invece di creare la nostra propria scienza, di cui siamo totalmente capaci.

L'estradizione in Spagna del torturatore argentino Ricardo Miguel Cavallo ha riscosso un plauso mondiale per la giustizia messicana, che non gode a ragione di buona fama. Le cose stanno cambiando?

L'estradizione di Cavallo è stata una cosa buona. Per una volta la giustizia messicana, così corrotta, ha segnato un punto sopra tanta ingiustizia e corruzione. Gli esempi? Basta pensare alle centinaia di donne assassinate a Ciudad Juarez, che in qualsiasi altro paese avrebbero provocato una rivoluzione, all'omicidio ancora irrisolto di Digna Ochoa, una donna che ha dato la vita per la difesa dei diritti umani, alla strage di più di 250 studenti a Tlatelolco, nel `68...



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