Il manifesto 6 febbraio 2003

IPOTESI SULLA GUERRA

E se Reagan non avesse armato Saddam ...

CARLOS FUENTES*

E se il governo di Ronald Reagan non avesse armato Saddam Hussein per rafforzare l'Iraq contro gli ayatollah iraniani, visti in quel momento come i nemici mortali degli Stati Uniti nella regione? E se il governo di George Bush padre non avesse armato Osama bin Laden e i Taleban per lottare in Afghanistan contro la presenza del nemico sovietico? E se i successivi governi degli Stati Uniti avessero dato un ultimatum al governo di Israele perché restituisse i territori occupati, cessasse la politica degli insediamenti nei territorio palestinesi e obbedisse alle risoluzioni 194 e 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU? E se gli Stati Uniti avessero difeso dal primo momento il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato? E se uno Stato palestinese normale, con frontiere sicure e autorità debitamente elette, si fosse convertito nella migliore garanzia per la pace e sicurezza per lo Stato di Israele? E se le agenzie di sicurezza nodramericane - FBI e CIA - avessero dato peso alle informazioni e ai tempestivi avvertimenti dei loro stessi funzionari minori per evitare la tragedia dell'11 settembre? E se gli Stati Uniti non avessero sviato l'attenzione mondiale dalla lotta contro il terrorismo, sacrificando l'universale simpatia provocata dal brutale attacco dell'11 settembre, per centrarla nei preparativi di guerra contro l'Iraq? E se non esistesse alcuna prova della connessione fra al Qaeda e Baghdad? E se il vero rifugio di al Qaeda fosse in Pakistan, intoccabile grazie alla sua alleanza opportunistica con Washington? E se non si incontrassero prove in Iraq di altre armi rispetto a quelle a suo tempo consegnate dai governi degli Stati Uniti a Saddam Hussein e di cui Donald Rumsfeld possiede la minuziosa contabilità? E se gli Stati Uniti si spazientissero con i piani imposti dalle ispezioni di armamenti in Iraq e iniziassero la guerra contro Saddam, con o senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU? E se il Consiglio di Sicurezza avallasse l'attacco contro l'Iraq e rinunciasse a ogni futura autorità di fronte all'egemonia unipolare degli Stati Uniti? E se l'opinione pubblica occidentale contraria con maggioranze fino all'80% all'avventura irachena di Bush, si rivoltasse contro i suoi stessi governi che seguono docilmente la politica bellica di Washington? E se "lo scontro di civiltà" popolarizzato da Huntington si spostasse dall'opposizione Occidente-Islam all'opposizione Occidente europeo - Occidente nordamericano? E se le armi degli Stati Uniti scatenassero la guerra totale contro l'Iraq e sconfiggessero Saddam dal cielo? Ma, e se la resistenza irachena obbligasse i nordamericani a battersi nelle strade di Baghdad, casa per casa, con perdite crescenti fra i soldati degli Stati Uniti? E se l'opinione pubblica degli Stati Uniti, come accadde nel caso del Vietnam, togliesse la sua fiducia al presidente Bush nel caso che l'Iraq divenisse un nuovo marasma militare? E se nessuno potesse governare un Iraq diviso caoticamente fra sciiti, sunniti e kurdi? E se il popolo iracheno non tollerasse una occupazione sine die e un proconsolato del tipo di quello esercitato dal generale MacArthur nel Giappone vinto?

Come risponderebbe la Turchia, paese alleato della Nato, all'improvvisa esplosione del problema kurdo alle sue frontiere con l'Iraq? Come risponderebbero i governi della periferia islamica, dall'Algeria fino all'Egitto e dalla Siria fino all'Arabia Saudita, all'insediamento di un'occupazione militare in Mesopotamia? E come risponderebbero le popolazioni islamiche della stessa regione alla visibile subordinazione di un paese di fede islamica agli Stati Uniti?

E se le potenze nucleari minori, dall'India fino alla Corea del nord, approfittassero della distrazione nordamericana sull'Iraq per arricchire i loro arsenali? E se gli Stati Uniti non fossero capaci di condurre più di una guerra - quella contro l'Iraq - senza poter rispondere al quell'insigne membro dell'"asse del male" che è il satrapo nordcoreano Kim Jong Il? E se l'Afghanistan, abbandonato e a mezza cottura, continuasse a deteriorarsi? E se la guerra nordamericana contro nazioni - il famoso "asse" Baghdad-Tehran-Pyongyang - aprisse un fronte mondiale permeabile al terrorismo che attua senza bandiere e senza frontiere? E se la Russia e la Cina si sentissero minacciate nei loro interessi nazionali dall'assedio nordamericano? E se il mondo intero finisse per vedere nell'azione di Bush una petro-guerra decisa per accaparrarsi fino al 75% delle riserve mondiali dell'oro nero? E se la stessa cittadinanza degli Stati Uniti finisse per identificare l'attuale amministrazione nordamericana come un semplice "petro-potere" più interessato a proteggere gli interessi economici delle compagnie rappresentate, de facto, da Bush e Cheney? E se il governo di Bush non riuscisse a equilibrare le spese crescenti per la difesa, le calanti entrate fiscali, la dilapidazione dei superavit fiscali e di bilancio lasciati da Clinton? E se entro due anni Bush perdesse le elezioni lasciandosi dietro "campi di solitudine e pozzi avvizziti"? E se il Partito democratico si armasse di coraggio politico e morale, sfidasse la catastrofica arroganza del governo di Bush e proponesse una ricomposizione morale e strategica degli Stati Uniti fondata sull'esercizio prudente del potere, sulla capacità di dialogo con alleati e avversari e sull'assoggettamento alle norme del diritto pubblico internazionale? E se Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa e non le usasse a meno di essere attaccato, sapendo che se le usasse sarebbe, massicciamente, attaccato? E se fossimo sulla soglia della Terza - e ultima - Guerra mondiale?

E se le ragioni psicologiche dell'Apocalisse fossero la vanità di un bambino ricco che non ha mai combattuto in una guerra ed è entrato all'università di Yale con voti infimi e raccomandazioni massime, dicendo a suo padre: "Guarda, papino, io sì che sono stato capace di fare quello che tu non sei riuscito a fare"? E se anche il primo impero egemonico unipolare dai tempi di Roma non ascoltasse, come Roma non ascoltò, la voce di saggezza dell'altro, il greco di sempre: "La tracotanza, l'orgoglio smisurato, l'insolenza lasciva perdono gli uomini e le nazioni"?

E se, davvero, la situazione fosse "scritta in greco"?

*Carlos Fuentes, scrittore messicano, autore fra gli altri di La Morte di Artemio Cruz e Il gringo vecchio



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