LA JORNADA 3 MARZO 2003

INTERVISTA A TAREK AZIZ

PRIMO VICEPRESIDENTE IRACHENO

Il Messico non ci guadagnerebbe niente ad appoggiare un attacco all'Iraq

AFFERMA LA SUA SPERANZA CHE SI CONSERVI LA POSIZIONE PER LA PACE

L'America Latina, dice il funzionario iracheno, ha di fronte a sé un'opportunità storica: se fallisce il progetto imperialista degli Stati Uniti in Medio Oriente, le forze progressiste della regione potranno crescere e rafforzarsi

BLANCHE PETRICH - INVIATA SPECIALE

Baghdad, 2 marzo - Tarek Aziz, primo vicepresidente dell'Iraq, ha detto che il Messico "non ci guadagnerebbe niente" ad abbandonare la sua attuale posizione nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU contro un attacco unilaterale degli Stati Uniti all'Iraq ed ha espresso la speranza che "continuino ad essere fermi" i due paesi latinoamericani i cui voti sono cruciali per evitare che questo organo delle Nazioni Unite dia luce verde all'intenzione bellicista degli Stati Uniti, parlando del Messico e del Cile.

"Il Messico è un paese amico. Non ha ragione alcuna per prendere una posizione negativa nei confronti dell'Iraq. E se lo fa, che ci guadagnerebbe? Il popolo del Messico non ha niente da guadagnare se il suo governo appoggia gli Stati Uniti per fare guerra al nostro paese. Non ci guadagna nessuno, nemmeno il capitalismo messicano", ha detto nell'intervista con La Jornada.

Aziz ha sostenuto che America Latina "ha un'opportunità storica in questi giorni cruciali. Se fallisce il progetto imperialista degli Stati Uniti in Medio Oriente, le forze progressiste dell'America Latina potranno crescere e rafforzarsi".

Ha descritto ciò che, secondo lui, si è convertito in una trappola per la superpotenza: "Se gli Stati Uniti lanciano una guerra saranno sconfitti. E se non la lanciano - e questo sarebbe meglio - falliranno pure".

Ha spiegato anche che negli ultimi due giorni il governo di Baghdad ha cambiato la sua posizione ed ha accettato finalmente la distruzione dei suoi missili Al Samoud "perché vogliamo cooperare con quei governi che, come la Francia ed il Messico, sono coscienti che è necessario frenare gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Spagna". Però aggiunge: "che sia chiaro, non si tratta di armamento di distruzione di massa".

Propone durante l'intervista un quadro puntuale della situazione latino americana: "In Venezuela, gli Stati Uniti hanno fallito nel loro tentativo di destabilizzare il governo di Hugo Chávez. Questo presidente è arrivato, democraticamente eletto, al potere in Venezuela e non hanno potuto rovesciarlo. Però se l'Iraq cade, il Venezuela può essere minacciato militarmente, come noi adesso. E se Bush avesse successo adesso e riuscisse a decapitare il governo dell'Iraq, il mio paese non sarà l'unico a cadere. Così come l'Iraq, anche il Messico ed il Venezuela hanno petrolio".

Ricorda che in America Latina, nel passato, gli Stati Uniti "hanno usato gli stessi procedimenti per cambiare i regimi, destabilizzando, assassinando e finanziando forze dell'opposizione". Puntualizza che non sempre ha tenuto successo. "In Argentina è fallito il modello del Fondo Monetario Internazionale. In Colombia dicono che vogliono combattere il narcotraffico e usano questo pretesto per invadere e dominare loro stessi questo mercato della droga".

Quasi alle ventuno, il sontuoso palazzo che occupano i vicepresidenti ed il primo ministro è deserto. Un paio di guardie disarmate a prima vista autorizza il passaggio del veicolo che trasporta la missione di pace messicana all'incontro con Tarek Aziz. Di fronte al cancello, un maggiordomo vestito con semplicità conduce il gruppo attraverso il fastoso vestibolo agli ascensori fino al secondo piano, nell'area degli uffici.

Lì non c'è lusso. Le stanzette sono semplici e funzionali, anche il salone dove avviene l'incontro. Tarek Aziz veste questa notte la sua divisa militare, segnale inequivocabile che il paese vive in stato di allerta. Fuma un sigaro e nonostante il tono da protocollo della riunione, mantiene un atteggiamento gioviale con i visitanti.

Rivela che pochi minuti prima era stata nello stesso salone una delegazione di libanesi.

"Mi hanno detto che se l'Iraq resiste una settimana all'attacco degli Stati Uniti, loro potevano in questo lasso alzare in armi tutto il mondo arabo. Io ho detto loro che non resisteremo una settimana; resisteremo fino a trionfare e far fallire l'invasione. Però ho detto pure loro che se prima tra tutti riusciamo a fermare la guerra sarebbe molto meglio, sarebbe un gran trionfo contro l'imperialismo".

Dopo ha concesso un'intervista a La Jornada.

Un problema universale

Aziz ha affermato che la minaccia di bombardamenti di massa sull'Iraq "non è più solo un problema nostro. È un problema universale. Perciò si è formato un grande fronte contro la guerra. Addirittura dentro agli Stati Uniti questo fronte ha trovato degli alleati. Se si riuscisse a coordinare tutte le forze in questo nuovo fronte potremmo tra tutti fermare la guerra".

- All'inizio di questa crisi, lei diceva che l'Iraq era condannato in anteprima dagli Stati Uniti, che accettasse o no la presenza degli ispettori dell'ONU. Adesso avete finalmente accettato gli ispettori e avete accettato molte altre condizioni che inizialmente rifiutavate Adesso la pensa allo stesso modo?

- Noi diciamo che il ritorno degli ispettori è stato un pretesto. Li accettiamo, hanno fatto il loro lavoro come hanno voluto e non hanno trovato nemmeno un pugno di armi di distruzione di massa. Adesso non vogliono più gli ispettori in Iraq, perché ciò che stanno comprovando è che non siamo una minaccia per gli Stati Uniti. È molto chiaro che ciò che gli Stati Uniti vogliono è invadere, colonizzare ed impadronirsi dell'Iraq. Voi, come cittadini messicani, capite molto bene questo. L'opinione pubblica mondiale lo ha capito. Perciò ci sono state risposte popolari senza precedenti in Europa, Stati Uniti, Africa e Asia.

- A questo punto, parrebbe che se si riesce a fare lo stesso un attacco militare degli Stati Uniti sarà una sconfitta per George Bush.

- Se gli Stati Uniti lanciano una guerra, sarà una sconfitta per loro. E se non la lanciano - il che sarebbe meglio - sarà un fallimento lo stesso.

- Adesso gli Stati Uniti stanno aprendo la variante di provocare una caduta del vostro governo. Lo vede lei come uno scenario possibile?

- Il vicepresidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, ha detto al suo popolo che quando entreranno in Iraq i soldati statunitensi saranno ricevuti con musica e fanfare. Ha detto che il popolo iracheno è contro al signor Hussein. Se fosse così, com'è che distribuisce armi al popolo? Perché addestra militarmente contadini, operai, i comitati di quartiere, i quadri e le basi del partito? Perché sa che quei fucili e quelle granate non volteranno contro il signor Hussein. Abbiamo fiducia nella nostra gente. Cheney si sta burlando del popolo statunitense e sta ingannando i suoi soldati. Non sta dicendo la verità. Se entrano da terra in Iraq le truppe statunitensi saranno ricevute dai proiettili.

"Negli Stati Uniti c'è fame e recessione. I figli dei poveri si mettono nell'esercito perché lì pagano dei buoni salari. Le loro armi rappresentano la tecnologia più avanzata. Però nelle strade dell'Iraq, faccia a faccia con il nostro popolo, questo non servirà a niente.

Possono devastare città, fabbriche, ponti. Le ricostruiremo di nuovo. Però se entrano da terra sarà un'altra storia. Li vinceremo. È già successo un'altra volta nella storia, in Vietnam".

- Che pensa della possibilità che il presidente Hussein ed il suo governo se ne vadano dall'Iraq per evitare un bagno di sangue?

- Sappiamo che la popolazione civile può soffrire molte vittime, però non abbiamo scelta. Ci sono quelli che ci hanno consigliato che sarebbe meglio che il signor Hussein esca dal paese per evitare la sofferenza del popolo. Noi, funzionari di governo, se ciò che pretendessimo fosse il nostro benessere personale e le ricchezze materiali, da molto tempo saremmo burattini dell'imperialismo. Potremmo essere miliardari e servire gli Stati Uniti. Però dalla nostra gioventù, da che eravamo studenti, abbiamo lottato. Non abbiamo mai immaginato d'arrivare al potere, di diventare ministri, d'avere posti di potere. Quando lottavamo negli anni cinquanta eravamo disposti a dare le nostre vite per una causa. Oggi è uguale. Non siamo morti allora. È possibile che adesso moriamo. Però noi siamo nati e moriremo qui, in Iraq.

- Come deve intendersi la decisione di distruggere i missili Al Samoud, se appena alcuni giorni fa il presidente Hussein lo rifiutava decisamente?

- Accettiamo di distruggerli perché se non lo facciamo gli ispettori dell'ONU potevano argomentare nel Consiglio di Sicurezza che ci stiamo rifiutando di disarmarci. Però loro sanno molto bene che queste non sono armi di distruzione di massa. Ciò che vogliamo è non dare delle ragioni affinché il Consiglio di Sicurezza autorizzi i bombardamenti.

- Come valuta lei la ferma posizione del Vaticano contro l'attacco all'Iraq?

- Dopo la mia visita a Roma e la mia udienza con il papa Giovanni Paolo II, il primo ministro britannico Tony Blair, la cui moglie è cattolica, è andato in Vaticano ed ha tentato di convincere sua Santità affinché cambiasse atteggiamento. Adesso andrà pure il presidente del governo spagnolo, José María Aznar, a tentare di fare lo stesso.

- Crede che ci riescano?

- No, no! Il Papa non cambierà idea. O meglio il Papa convincerà loro a non continuare a commettere errori, farà vedere loro che questa guerra può far scoppiare un conflitto tra cristiani e mussulmani. Blair è stato cinque minuti con il Papa.

- E lei?

- Mezz'ora. Inoltre, nel mio viaggio a Roma mi sono incontrato con personaggi molto importanti della vita politica italiana. Giorni dopo, tre milioni di italiani hanno marciato contro l'alleanza di Berlusconi con Bush. Questo l'ha obbligato a cedere nella sua politica a favore della guerra. Prima era senza condizioni dalla parte di Bush. Adesso ha detto che un attacco a Iraq senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza sarebbe un gran danno per la convivenza internazionale. Credo che l'opposizione alla guerra che sta esprimendo il movimento popolare in tutto il mondo e la posizione delle chiese ci stiano aiutando molto.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



logo

Indice delle Notizie dal Messico


home