La Jornada 3 gennaio 2003

NONO ANNIVERSARIO DELLA SOLLEVAZIONE ZAPATISTA

L'EZLN INVITA I POPOLI INDIOS AD ESERCITARE L'AUTONOMIA"DENTRO O FUORI DELLA LEGGE"

Hermann Bellinghausen - Inviato

San Cristóbal de Las Casas, 2 gennaio - I sette comandanti dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) hanno tenuto una serie di discorsi che, con toni e stili diversi, hanno affrontato gli aspetti attuali della lotta zapatista ed affermato la sua continuità e validità.

Invitando i popoli indios del Messico a sviluppare l'autonomia e la libera determinazione come un diritto acquisito, "dentro o fuori della legge", la comandancia zapatista ha ribadito la sua resistenza a: militarizzazione, controinsurrezione, sgomberi, alle "briciole e immondizia" che dà il governo invece di rispettare i suoi impegni, ed il carattere globale della loro lotta, perché anche gli indigeni hanno il diritto ed il dovere di avere opinioni sul mondo e di offrire alternative contro il neoliberismo e "la globalizzazione della morte e della miseria".

Il comandante Bruce Lee, primo a parlare, ha affermato: "siamo quelli che ci siamo ribellati in armi nel 1994 per una causa giusta e degna. La nostra lotta non è solo per i popoli indigeni, è per tutti, indigeni e non". Ha comunque chiesto "in particolare la pace per le comunità indigene".

Ha invitato i popoli del Messico ad "organizzarsi seriamente" e costituire municipi autonomi. "Non si deve aspettare che il governo ci dia il permesso", ha aggiunto rivendicando il diritto all'autonomia "dentro o fuori della legge".

"Bisogna resistere agli inganni ed alle persecuzioni che possono venire dal nemico, come i malgoverni". Bruce Lee ha segnalato che dopo nove anni di inadempimenti "i popoli indios non si aspettano più una soluzione da parte dei partiti politici e dei governi".

Ha invitato a "mantenere all'erta contro il TLC per quanto concerne l'agricoltura, che va solo a beneficio dei ricchi. Non è vero che è per migliorare le nostre condizioni. Quello che vogliono i governi, è distruggerci e sterminarci. Ma non lo permetteremo. Ci difenderemo. La terra è di chi la lavora. La nostra terra è nostra madre. Noi non vendiamo nostra madre. Non permetteremo che qualsiasi figlio di puttana ce la tolga. Meglio morti che permettere questo. Non cadiamo nella trappola. Noi zapatisti non ci facciamo ingannare, né tantomeno potranno conquistarci".

Il messaggio di Fidelia, rivolto "alle sorelle della campagna e della città", ha denunciato che le donne "da anni soffriamo la discriminazione, anche nelle nostre case". "Ci alziamo alle tre del mattino per preparare da mangiare per i nostri figli". Per tutto il giorno, oltre che le faccende domestiche, le donne - ha detto Fidelia - "devono lavorare di machete, zappa e vanga", ma "non abbiamo nessun diritto all'educazione e all'alimentazione".

Riferendosi alle donne che emigrano o vivono nelle grandi città, ha denunciato che anche loro sono sfruttate e violentate. Ciò nonostante "il signore con gli stivaloni, insieme al suo gabinetto di lucertole, alza i prezzi del paniere".

Il comandante Omar ha enunciato con chiarezza: "ancora una volta veniamo a dire che siamo vivi e proseguiamo, non ci siamo arresi ". Rivolgendosi ai giovani di tutto il mondo, li ha invitati a non disperarsi: "abbiate speranza e fiducia nella lotta zapatista".

"Non tradiremo mai la lotta indigena. Siamo presenti qui, davanti al naso del governo" per augurare a tutti quelli che lottano nel mondo: "divertitevi con le vostre lotte".

Proseguendo sul filo di Omar, il comandante Míster ha detto che gli zapatisti si sentono uniti a "tutti i popoli che lottano per la loro liberazione" ed ha messo in discussione l'idea generalizzata delle classi dominanti "che noi indigeni non pensiamo nelle cose internazionali, però invece abbiamo diritto di opinare, proporre e decidere. Questi governanti pensano che non conosciamo il mondo ed i loro piani di morte contro l'umanità".

Míster ha aggiunto che i campesinos ribelli hanno scoperto il mondo "nelle parole della gente delle decine di paesi che ci ha visitato e accompagnato" da quasi dieci anni a questa parte. "Con le loro parole", ha ribadito, "abbiamo conosciuto più terre di molti intellettuali".

"Diciamo ai potenti che se loro vogliono globalizzare la morte noi vogliamo globalizzare la dignità e la libertà". Il comandante tojolabal ha assicurato che gli zapatisti appoggiano la ribellione del popolo argentino, la lotta politica del popolo basco ed i "disobbedienti" italiani e ha salutato i campesinos di San Salvador Atenco, i maestri ed i campesinos messicani, "nostri fratelli di lotta", così come il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale.

Il comandante Míster ha confermato "noi zapatisti vogliamo parlare per la vita e la lotta e contro la morte", e "per un posto per tutti nella vita dell'umanità". Con ottimismo, ha concluso: "abbiamo la speranza che vinceremo tutte le giuste lotte del mondo".

I sette membri del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, comando generale dell'EZLN, che hanno parlato ieri notte ai più di 20 mila civili zapatisti che colmavano la Plaza de la Paz, di fronte alla cattedrale di San Cristóbal, erano apparsi di sorpresa ai piedi del palco alle 21. Alcuni avevano ancora i loro scarponi pieni di fango, come Tacho, Míster e Bruce Lee.

Il comandante Tacho ha annunciato che avrebbe pronunciato "alcune parole per i partiti politici e per gli intellettuali di destra", e ha avvertito: "non accettiamo di obbedire a niente che non venga dai nostri popoli. Quelli che ci vogliono comandare, vogliono occupare il posto dei grandi latifondisti".

Agli "esperti e critici" che hanno parlato contro lo zapatismo, li ha invitati a che "vengano dai nostri popoli" e scoprano tutto quello che possono apprendere. "Non chiediamo loro che resistano e sopportino tutto quello che il subcomandante Marcos ha sopportato per tutto questo tempo", ha ironizzato, però si è impegnato a che gli indigeni insegnino loro "tutto ciò che il sub ha imparato con noi" e con pazienza.

Rispetto alle critiche che riceve l'EZLN per non situarsi con i partiti politici, ha accennato che "sicuramente esisteranno partiti che non sono corrotti", però in Messico "non ce n'è uno buono; lo hanno dimostrato nei fatti" serrando "le porte del dialogo" ai ribelli.

Ha accusato: "stanno obbedendo agli interessi dei loro padroni e hanno voltato le spalle ai popoli indios".

Il PRI, ha detto Tacho, "è incavolato perché noi abbiamo iniziato la sua disfatta". Nel 1994 i governanti "erano uomini di prestigio e di potere", ha ricordato e allora si comprese che erano dei "vendipatria". Fino all'insurrezione zapatista, "il PRI governava in tutto il paese e la maggioranza teneva il capo basso".

Nel 1994 "pareva impossibile la ribellione e così, noi facemmo l'impossibile". Oggi, ha aggiunto Tacho, "ci dicono di nuovo che non si può fare niente". Ha accusato i tre partiti principali (PRI, PAN e PRD) di "impedire la pace" rifiutando la ley Cocopa e approvando in Parlamento una legge che non rispetta gli accordi di San Andrés (nel cui negoziato, tra il 1995 e il 1996, lo stesso comandante Tacho aveva avuto un ruolo molto importante).

Ha definito "razzista" il PAN ed ha detto rispetto al PRD: "con molta pena" che i suoi senatori hanno votato contro la ley Cocopa, "perché se fosse arrivata la pace, gli zapatisti sarebbero venuti fuori a fare politica apertamente " ed i perredisti "hanno pensato che sarebbero rimasti senza clienti".

Secondo Tacho, che come gli altri comandanti aveva iniziato il suo discorso dichiarando "Con la mia voce parla la voce dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale", la legislazione indigena approvata dal Parlamento è come "una legge di guerra", anche se ha riconosciuto "il coraggio" dei deputati di PRD, PT e PVEM che si sono opposti al progetto. "Però il danno è stato fatto".

Rispetto alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione ha pure riconosciuto che anche se "ci sono stati giudici onesti e coraggiosi, vince sempre la codardia".

"E che dire del signor Fox e del suo governo", ha detto. Essi "non hanno difeso la ley Cocopa, che ha un sostegno popolare maggiore di qualsiasi altra riforma", ma anzi promuovono una legge "per distribuire ancor più denaro fra i partiti per le campagne elettorali". E ha annunciato come minaccia ma pure come promessa: "continueranno a sapere di noi".

La comandante Esther, piccola di statura, però ben piantata e con una parlata chiara, ha letto "alcune parole per il signor Vicente Fox e per Luis H. Alvarez".

Rivolgendosi al capo dell'Esecutivo, Esther ha recriminato: "al principio hai detto che avresti risolto i problemi degli indigeni ed ora non t'importa di buttar via gli sforzi di chi ti ha fatto Presidente".

Al commissario Álvarez, la comandante ha detto: "dici che sei il commissario per la pace, però non sei altro che un inviato di Fox. Distribuisci denaro per far tacere la gente e dici che sonoo i nostri popoli a riceverlo". Ha aggiunto che sia lui che "la signora Calderona" (riferendosi alla senatrice panista María Luisa Calderón, membro della Cocopa attuale), hanno mentito, dato che "nessun popolo zapatista ha ricevuto denaro né l'immondizia che manda il governo".

Ha aggiunto ancora per il commissario: "hai pubblicato che non esistiamo più noi comandantes e comandantas zapatisti. Come fai a difendere adesso le tue menzogne?", e lo ha avvisato: "Non permetteremo più che passi per i nostri territori", dato che "parli solo con le tue smanie di uomo politico".

"Non ci siamo alzati in armi nove anni fa per chiedere l'elemosina, ma per avere una democrazia con giustizia e dignità".

David, ultimo comandante a prendere la parola, nel suo costume chuj tzotzil e con il tipico cappello a listoni, si è rivolto "a tutti ed a tutte" quelli che "fanno parte dell'EZLN". Ha tessuto un discorso perfettamente bilingue rivolto ai suoi chiltak, compagni indigeni, in tzotzil e in spagnolo.

Rifiuto della ley indigena

Li ha ringraziati per la loro partecipazione alla mobilitazione "senza che importino le possibile conseguenze e pericoli" ed ha ricordato gli indigeni di tutti i villaggi e di tutte le regioni "che non hanno potuto arrivare" per mancanza di denaro o di trasporto: "auguriamo a tutti di proseguire con forza in questa lotta".

Una menzione speciale si sono meritati "i e le combattenti insurgenti", che ha salutato nella loro assenza "per aver compiuto 19 anni dalla nascita dell'organizzazione e nove di guerra", e ha chiesto loro "di proseguire fermi nelle loro convinzioni rivoluzionarie".

David ha salutato "i compagni che hanno sofferto e soffrono per l'aggressione dei militari e dei paramilitari, per gli sgomberi e per la perdita di familiari in questa lotta".

Ha ricordato che da quando il Parlamento ha approvato la cosiddetta ley indígena, l'EZLN ha espresso il suo rifiuto. "Siamo stati in silenzio per quasi due anni, per indignazione".

E "i progetti e le politiche controinsurgenti" di cui "tanto si fa bello il governo messicano in realtà sono briciole che non risolvono le richieste dei popoli".

Ha chiesto quindi alle migliaia basi d'appoggio dell'EZLN che avevano colmato stanotte la piazza di San Cristóbal de Las Casas: "Forse gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani che sono venuti a questa manifestazione sono disposti ad arrendersi?"; un "¡no!" multitudinario ha risuonato quasi così forte come avevano rimbombato i machete all'entrata degli indigeni nella città coleta, e che torneranno a risuonare pochi minuti dopo, alla conclusione del discorso di David e prima dell'inno nazionale e di quello zapatista, delle torce di ocote e dei grandi falò che hanno illuminato la piazza fino a mezzanotte.

"Non abbiamo bisogno che il governo ci appoggi con una miseria", ha detto il comandante David, "ma che riconosca la libera determinazione di tutti i popoli indigeni. Esigiamo che ci trattino con uguaglianza e giustizia. Siamo poveri, ma non siamo né mendicanti né delinquenti".

Ha lanciato un appello al Messico ed al mondo affinché "rimangano attenti all'iniziativa che ha lanciato pochi giorni fa il subcomandante insurgente Marcos", dato che la "nostra lotta sta solo cominciando".


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino e dal Comitato Chiapas "Maribel"-Bergamo)



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