LA JORNADA - Venerdì 2 maggio 2003

I lacandoni sarebbero usati per gli sgomberi

Possibile provocazione ufficiale verso le comunità dei Montes Azules

HERMANN BELLINGHAUSEN - INVIATO

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 1° maggio - "Il problema di fondo nei tentativi di sgombero nei Montes Azules è il rifiuto da parte dello stato dell'autodeterminazione indigena e del riconoscimento dei diritti territoriali dei popoli, vale a dire, del rispetto degli accordi di San Andrés", dice l'avvocato Miguel Angel de Los Santos. "L'attuale problema è un chiaro riflesso del fatto che in Messico non si adempie ai diritti indigeni".

Come membro della Rete dei Difensori Comunitari per i Diritti Umani, ha negato che l'organizzazione abbia chiesto al governo misure cautelari per le comunità minacciate di sgombero nei Montes Azules. "È una menzogna", dice De Los Santos riguardo alle recenti dichiarazioni governative. "Le misure cautelari le chiediamo alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH), che invece si è rifiutata di inoltrare la richiesta".

Riferendosi agli avvenimenti della seconda metà di aprile, quando gruppi della comunità lacandona hanno minacciato gli abitanti di Ignacio Allende (San Rafael) e San Isidro, l'avvocato De Los Santos pensa che "le autorità federali potrebbero essere colluse per portare avanti una provocazione che giustifichi l'uso della forza pubblica".

È facile pensare a questo, perché, "si vede l'impunità che si sta mostrando verso la comunità lacandona". Mentre la Segreteria del Medio Ambiente e delle Risorse Naturali (Semarnat), la Procura Federale per la Protezione dell'Ambiente (Profepa) e delle Aree Naturali Protette accompagnano questi "operativi punitivi" della comunità lacandona (come consiglieri e pure come portavoce), la CNDH dà un "trattamento di lite" alla richiesta di misure cautelari e nei fatti appoggia le linee d'azione del governo federale.

"Dal momento in cui i lacandoni intervengono, la situazione smette d'essere federale e si converte in statale", aggiunge l'intervistato. E tramite la via di "evitare" presunti scontri intercomunitari o "etnici", potrebbero giustificarsi operativi di sgombero.

È chiaro che i membri federali della tavolo ambientale che si occupano della problematica dei Montes Azules fanno pressione per coinvolgere di più il governo del Chiapas nelle misure di sgombero e castigo. La Profepa ha insistito su questo, nello stesso modo in cui la Semarnat tenta di rimescolare l'acqua proponendo la "mediazione" dei centri dei diritti umani (concretamente il Fray Bartolomé de Las Casas), senza offrire la minor soluzione.

Di fronte a tutto questo, "il governo dello stato ha la responsabilità di proteggere la popolazione", conclude il difensore ed attivista dei diritti umani.

Principi della selva e padroni in seconda

Le autorità federali insistono sulla necessità di espellere quanto prima le comunità dei Montes Azules, iniziando dai villaggi di più recente creazione. Perciò danno una mano alla comunità lacandona, che si sta convertendo in una piccola società di casta, con signori, plebei e paria. Due classi di "padroni": una, i lacandoni, tipo "principi della selva" per invenzione di antropologi, ambientalisti, investitori e filantropi. L'altra (la plebe, i "padroni in seconda" del vasto latifondo), la compongono i molto più numerosi comuneros choles di Nueva Palestina e Frontiera Corozal, che quand'è ora di intimorire o aggredire i "paria" mettono il numero, i machete e le armi.

I comuneros choles - anche se nessuno lo dice - hanno meno diritti dei lacandoni: non hanno a loro favore un decreto presidenziale, come quello dei lacandoni, che li garantisce in qualità di soci nei progetti turistici privati in Lacanjá Chansayab e per la stazione-albergo di Chajul, già in servizio, così come nell'annunciata stazione Jalisco di "osservazione biologica" (che conta, soprattutto, in un alquanto esclusivo albergo tassato in dollari) nei Montes Azules e nella riserva di Cojolita.

L'Associazione Civile Spazi Naturali e di Sviluppo, vincolata a ex funzionari federali zedillisti come Julia Carabias, Arturo Warman ed altri, appoggia la costruzione di quel centro turistico per conto della Cooperativa Stazione di Jalisco, dove 14 "membri lacandoni" parteciperanno nella "amministrazione, nel coordinamento, nell'accompagnamento di turisti e nella manutenzione del centro".

A parte i propositi di ricerca e di conservazione della ricchezza biologica, il progetto prevede, all'ultimo punto, la "diffusione e promozione di servizi che diano impulso alla generazione di una ripartizione economica ed all'impiego diretto degli abitanti della comunità lacandona".

Ossia… in questa sognata comunità lacandona arriverebbero ricercatori, investitori e turisti. Quindi, i lacandoni, simbolicamente "soci", amministreranno la pulizia, la cucina e le visite guidate dove abbondano rovine, lagune e santuari naturali. E in ultimo, i choles di Frontiera Corozal e di Nueva Palestina, ai quali arriverà qualcosa dalla "spartizione economica" promessa. Perciò stanno andando in giro adesso così bravamente "interessati" nel ripulire la selva dagli "invasori" e nel proteggere il "patrimonio genetico della nazione".

I nuovi signori maya

Siamo di fronte ad un fenomeno di civilizzazione? O è la storia, che quando si ripete lo fa a mo' di farsa? Molto prima della conquista spagnola, per motivi che i mayisti non conoscono, la struttura in caste era sparita da queste terre maya. Con ostinata indipendenza però è sopravvissuta in questi popoli per più di mille anni.

E dovuto arrivare il secolo XXI perché, con l'aiuto di governi e ambientalisti, i nuovi "signori maya" controllino, se non palazzi, al meno biglietterie, bungalow e servizi. Nella Stazione di Jalisco, un ridotto numero di "adulti" di Lacanjá Chansayab (lacandoni, secondo quanto specifica il progetto ecoturistico) riceveranno benefici in quanto "padroni legali" del latifondo più vasto e bramato del paese.

Indios di prima? Caporioni? Quinta colonna della privatizzazione? Carne da cannone nel caso che, letteralmente, il sangue arrivi al torrente?


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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