La Jornada - 2 maggio 2003

Include l'isola nella lista dei promotori del terrorismo, "perché fa parte di quella lista"

Washington protesta con L'Avana per i sequestri di aerei cubani

AFP, DPA e PL

Washington, 1º maggio - Gli Stati Uniti hanno protestato con le autorità cubane per i dirottamenti di aerei da parte di cubani che cercano di arrivare nehli Stati Uniti, mentre nello stesso momento ha incluso l'isola come promotrice di "terrorismo" perché a questa lista "appartiene", non perché ci siano dimostrazioni evidenti che abbia partecipato in qualche attentato durante il 2002, ha informato oggi il Dipartimento di Stato.

Il quotidiano El Nuevo Herald di Miami ha scritto nella sua edizione di giovedì che gli Stati Uniti hanno avvisato verbalmente Cuba la settimana passata che considereranno "una minaccia alla sicurezza nazionale" qualsiasi nuovo dirottamento di aerei o imbarcazioni cubani.

I dirottamenti di aerei cubani verso gli Stati Uniti sono azioni "inaccettabili nel contesto delle preoccupazioni rafforzate per la sicurezza interna" statunitense, ha detto il portavoce aggiunto del Dipartimento di Stato, Philip Reeker.

Washington ha ricordato a L'Avana "la sua responsabilità nel controllare il traffico aereo nella propria giurisdizione, mediante misure di sicurezza aeree effettive".

Il governo di George W. Bush, che ha trasmesso questo avvertimento per conto della Sezione di interessi cubani negli Stati Uniti, a livello diplomatico, ha anche chiesto all'isola di "rimediare immediatamente alle mancanze che hanno reso possibili i dirottamenti del 19 marzo e del 1º aprile".

Nel primo caso, sei uomini armati di coltelli avevano dirottato verso Cayo Hueso un apparecchio cubano con 27 persone a bordo. Nel secondo, un aereo Antonov-24 con 31 persone a bordo, dirottato in Cuba da un uomo armato con granate, atterrò nello stesso luogo.

Il 2 aprile scorso, un gruppo di uomini armati tentò di sequestrare una lancia passeggeri verso la Florida. Dopo aver frustrato il tentativo, i sequestratori sono stati arrestati e tre di loro condannati a morte e giustiziati l'11 di aprile, provocando le proteste di Washington e di altri governi. Il presidente Fidel Castro ha difeso le tre pene di morte applicate come misure eccezionali per evitare una crisi migratoria che potrebbe essere utilizzata come pretesto per un'aggressione militare degli Stati Uniti.

Proprio il cancelliere di Francia, Dominique de Villepin, ha criticato duramente alla vigilia le esecuzioni in Cuba, considerando "inaccettabile che un governo si comporti in questo modo".

Il papa Giovanni Paolo II continua a "confidare" nel presidente Castro ed è convinto che con "il dialogo si contribuisce alla democratizzazione del paese", secondo quanto ha dichiarato ieri il segretario di Stato del Vaticano, cardinale Angelo Sodano. "È vero che per il Papa e per tanti popoli liberi del mondo sono state una delusione le ultime decisioni prese, come le tre fucilazioni e le severe condanne dei tribunali. Perciò il Papa ha manifestato la sua sorpresa e il suo rammarico e fa voti perché almeno per gli arrestati si decida un gesto di clemenza".

Il coordinatore del Dipartimento di Stato per l'antiterrorismo, Cofer Black, ha detto presentando una relazione sul tema, che Cuba "rimane nella lista di Stati patrocinatori (del terrorismo) semplicemente perché le appartiene".

La stessa situazione di Cuba si applica alla Libia, paese che è in questa lista senza che abbia partecipato nel 2002 in nessun atto di terrore.

"La risposta è che Stati Uniti hanno memoria lunga: non ci dimentichiamo", si è giustificato Black, interrogato sulla presenza di quei due paesi. Washington considera che il regime di Castro dà rifugio a membri delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia e dell'Esercito di Liberazione Nazionale, anche se il governo di Colombia è "cosciente della situazione e apparentemente la accetta", così come a membri dell'organizzazione basca ETA. Queste ed altre sono ragioni sufficienti per tenere Cuba nella lista dove ci sono anche Libia, Iran, Iraq, Corea del Nord, Siria e Sudan.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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