LA JORNADA 2 MARZO 2003

Iraq: ultimatum agli scudi umani

O proteggono i bersagli designati dalle autorità o devono andarsene dal paese

BLANCHE PETRICH - INVIATA SPECIALE

Baghdad, 1° marzo - Ali Jamel, amministratore della raffineria di petrolio di Adurah, in questa capitale, è incantato dei suoi ospiti, una dozzina di stranieri variopinti che da venerdì si sono installati per proteggere, addirittura a costo delle loro vite, questo impianto. Ha comprato loro palloni da calcio e coperte nuove e si preoccupa per loro quando vanno da soli a fare shopping invece di aspettare che le famiglie dei lavoratori portino il mangiare che hanno preparato apposta per loro. Contare su di un accampamento di scudi umani lo riempie d'orgoglio, come molti iracheni.

Weltraud Schauer, un'austriaca di 61 anni, è pure molto contenta del posto che le tocca proteggere, l'impianto per il trattamento delle acque Sette d'Aprile, nonostante che nelle installazioni non ci siano né docce né acqua calda. Lì passano le veglie 14 pacifisti di Stati Uniti ed Europa, fumando e facendo mila speculazioni sul vulcano a punto di scoppiare su cui sono seduti. È convinta che in questo momento della sua vita, è qui che deve stare e non seduta di fronte al televisore di casa sua, a Vienna, guardando impotente il possibile genocidio.

Lei ed altri 200 stranieri, 50 dei quali decisi a rispettare lo loro missione di scudi, la maggioranza esprimendo soltanto solidarietà al popolo iracheno, hanno camminato oggi alle tre del pomeriggio per un lungo viale fino alla piazza Tahrir. Vengono da una trentina di nazioni, dall'Islanda fino all'India. La missione di pace del Messico è l'unica latino americana. Hanno gridato "el pueblo unido yamas sera vencido" in turco e in inglese. Hanno cantato John Lennon: Give peace a chance. Dai marciapiedi migliaia di abitanti di Baghdad hanno salutato stupiti e con giubilo.

Però nonostante l'alta dose di buona volontà per rispettare l'inedita missione degli scudi umani, questa mattina, nell'albergo Palestina di questa capitale, ospiti e anfitrioni hanno dovuto un duro dibattito. Al Hashimi, presidente dell'Istituto di Amicizia con i Popoli e portavoce del governo per i pacifisti di tutto il mondo che in gruppi da 15 fino 20 persone continuano a entrare ogni giorno in questo paese attraverso le frontiere della Giordania o della Siria, ha informato che in modo definitivo le autorità permetteranno solo l'installazione di accampamenti nei punti chiave dell'infrastruttura del paese: raffinerie, magazzini di alimenti, impiantii di purificazione dell'acqua e centrali elettriche. A coloro che accettano queste assegnazioni, ha detto Hashimi, "il paese sarà eternamente grato per la loro generosità". Coloro che non accettano e decidano di non installarsi in quei posti, "li ringraziamo pure profondamente e prepararemo la loro immediata partenza dal paese".

Vari gruppi di scudi, forse la maggioranza, volevano che tra le zone da proteggere simbolicamente figurassero posti umanitari - cioè: scuole, ospedali e aree archeologiche - non solo d'infrastruttura, per dare alla loro missione il suo autentico carattere umanitario. Però il governo non li ha autorizzati.

Dopo giorni di discussioni, si è smesso d'insistere sulle scuole e sulle università, dato che una volta iniziate le ostilità, queste chiuderebbero immediatamente. In quanto ai siti archeologici, unici nella cultura universale, dato che sono i resti delle civiltà più antiche dell'umanità dopo l'età della pietra, con per lo meno quattro millenni di storia, sono stati pure scartati della lista delle priorità. La ragione è semplice e non ha che vedere con un disinteresse per il patrimonio culturale.

È perché altre devastazioni, dal nipote di Gengis Khan fino ad oggi, hanno raso al suolo le antiche città della Mesopotamia lungo i millenni fino a giungere al clímax della barbarie, quando agli inizi del secolo xx archeologi tedeschi smontarono pezzo a pezzo l'antica Babilonia, con la sua porta di Ishtar, coperta di ceramica vetrosa. Oggi la leggendaria città, che splendette sotto Nabucodonosor è a Berlín, non nella provincia di Hilla, cioè a 180 chilometri di Baghdad.

Succede lo stesso con i pezzi originali che stavano nei musei di Baghdad, Ur, Uruk, Samara e tanti altri siti. Oggi rimangono solo le copie. A partire dalla guerra del 1991, questi tesori sono stati riposti in posti sicuri e segreti. Come spiega Nur, una guida dei turisti a Babilonia, non tanto per timore dei bombardamenti quanto per quello di nuovi saccheggi.

Come proteggere quelle ricchezze se tutta le forze sono concentrate nella difesa del paese?

Così i pacifisti cedono e lasciano da una parte le scuole ed i siti archeologici. Però l'installazione di accampamenti di pace di fronte agli ospedali si converte in una discussione irritata.

Hashimi, a nome del governo di Hussein, pone condizioni: per i pacifisti che sono entrati nel paese volontariamente con l'obiettivo di proteggere bersagli civili da un attacco statunitense, sono solo autorizzati i posti strategici menzionati. Gli ospedali, che conforme alla Convenzione di Ginevra dovrebbero essere rispettati dall'aggressore, entrerebbero in una fase critica per l'affluenza di un incalcolabile numero di feriti. "Capitemi, al posto di aiutare, gli scudi saranno un peso in più per noi".

I volontari insistono: per l'opinione pubblica del mondo occidentale, il messaggio degli scudi umani nei punti più vulnerabili sarebbe un messaggio di pace di gran impatto.

Però sono stati giorni di gran tensione. La diplomazia e il buon senso spariscono nell'assemblea. Hashimi risponde: "Ripeto il nostro ringraziamento per il vostro nobile cuore, però non siete voi quelli che ci devono dire di che cosa abbiamo bisogno".

Anissa Badaoui, una giovane franco-marrocchina che è appena arrivata ieri con un gruppo di europei, studenti di arabo a Damasco, guarda e scolta l'accesa polemica con angustia. Fa parte dei numerosi solidali che pensano di dare l'apporto con la loro presenza davanti agli ospedali. Però la sconcerta l'aggressività di alcuni pacifisti verso Hashimi, che accusano di essere indolente. Teme che dopo questa discussione molti dei brigatisti decidano di abbandonare l'Iraq, debilitando l'iniziativa. Questo sarà, magari, il caso dei catalani, che portano pure una dichiarazione del sindaco di Barcellona, Joan Clos, a favore dei cinturoni di pace negli ospedali.

Alla fine, Hashimi abbandona il tavolo in mezzo alle grida, però prima di raggiungere l'uscita si ferma, ritorna indietro e inizia a negoziare di nuovo. Non promette niente. Però dopo un'ora, le autorità iracheni presentano un'altra lista di possibili posti suscettibili di ricevere nuovi accampamenti di pacifisti al Comitato Posti per Scudi Umani, sotto la responsabilità del giornalista messicano-statunitense John Ross. Così, mentre da un lato della via dell'albergo Andalus passa la marcia dei brigatisti stranieri, dall'altro parte l'auto con Ross e altri scudi a bordo. Vanno a ispezionare le condizioni dei nuovi posti. Hanno 48 ore per informare il governo sulla loro posizione definitiva.

Anche se vari hanno già deciso da prima. "Niente mi farà cambiare opinione. Io sono venuto qui con un fine, tentare proteggere vite umane ancora a costo della mia vita. E rimango." È Ernest Levy, il più anziano del gruppo, 75 anni portati bene, statunitense residente a Londra.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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