LA JORNADA 1° MARZO 2003

Due milioni di donne sfidano gli USA

Tutte le donne irachene "atte alla guerra" hanno ricevuto armi ed addestramento di base

BLANCHE PETRICH - INVIATA SPECIALE

Baghdad, 28 febbraio - La nutrologa Iftakhar Ahmed Al Samair, elegante e mollemente adagiata su una poltrona, afferma: "Che vengano, li aspettiamo. Li affronteremo. Però li vogliamo vedere in faccia. Che non scarichino i loro razzi dall'aria senza rischiar niente. Codardi!". Si riferisce, insomma, allo scontro disuguale tra le quasi due milioni di componenti della Federazione delle Donne dell'Iraq e le truppe di Stati Uniti e Gran Bretagna, che si apprestano dalle frontiere della Turchia e del Kuwait ad avanzare dal nord e dal sud.

Oltre ad appartenere alla Casa della Saggezza, il centro di investigazioni scientifiche e estetiche più importante del paese, la dottoressa Iftakhar è stata tre volte membro dell'Assemblea Nazionale, è dirigente del Partito Socialista Arabo (Baas) e vicepresidente della potente Federazione. Non sembra una che ne sappia di temi militari però, come ogni donna "atta per ciò" nel suo paese, le si è assegnata un'arma ed ha l'addestramento necessario per resistere ad un'invasione di truppe straniere. "E come me, siamo più di un milione le donne che si sono unite nei comitati di difesa di quartiere, di distretto e di regione", che rappresentano i 18 stati della nazione. Non solo sanno maneggiare un fucile ed hanno addestramento di base per respingere un attacco alle loro case o alle terre. Hanno anche le conoscenze di base per l'aiuto ai feriti, per organizzare il passaggio delle informazioni in tempo di guerra e delle cucine da campo per la popolazione e la truppa.

Le donne della Federazione si chiamano tra di loro "camerate". Però nei suoi discorsi, il presidente Saddam Hussein ha assegnato loro la denominazione di al majideh, che significa "eterna, forte". Nella legge del partito Baas iracheno, l'articolo due consacra l'uguaglianza di genere. A partire da lì, tutti i regolamenti garantiscono i diritti delle donne.

Nella Legge del Lavoro, per esempio, si consacra l'uguaglianza nel mondo del lavoro, in quella dell'agricoltura si dichiara il diritto della donna a ereditare o a vendere la proprietà delle terre, si garantisce l'accesso all'assicurazione sociale ed all'educazione gratuita. Inoltre esistono leggi specifiche sul diritto della famiglia che regolamentano il divorzio e le obbligazioni degli uomini e delle donne nella cura dei figli.

Senza dubbio, afferma Iftakhar, tra gli Stati islamici l'Iraq è uno dei più progressisti in quanto ai diritti delle donne. Alla fine degli anni 70, il tasso di analfabetismo tra la popolazione femminile era quasi dell'80 per cento. Un'intensa campagna della Federazione è riuscita ad abbattere questo retaggio, assicurano, al 7 per cento. Ci sono nuove leggi sulla famiglia che garantiscono il diritto della donna a divorziare ed a conservare la casa.

Secondo le cifre ufficiali, della popolazione economicamente attiva il 40 per cento è composto dalle donne. Nel settore salute sono il 76 per cento della forza lavoro, nell'agricoltura il 48 per cento, nell'amministrazione e nell'economia il 36. Però nella politica non si riflette la stessa equità. Dei 250 scranni all'Assemblea Nazionale, solo 50 sono occupati da donne.

Questo vuol dire, spiega la dirigente baasista, che le mussulmane irachene fanno una lettura corretta del Corano. "Scientificamente, la dottrina dell'Islam è per la pace e l'amore, è una religione aperta, che crede nel valore intrinseco della donna, che parla dei loro diritti nella società. Sono i fondamentalismi quelli che fanno una lettura erronea del Corano".

Marine pirati all'arrembaggio

Nella sala per le visite della Federazione proliferano le fotografie di Hussein però, ed è eccezionale, al suo fianco ci sono anche le immagini della moglie... Però non sono queste le foto che risaltano, ma una grande foto a colori che fa vedere un abbordaggio di marine armati a una nave con, esclusivamente, donne arabe pacifiste. Ai piede della scaletta, affrontando a urla il commando statunitense, si vede Menal Younis, la presidente della Federazione.

È stato un episodio drammatico avvenuto 12 anni fa, a bordo del nave Ibn Khaldoun. Alla fine del 1990, quando cresceva la tensione e si prevedeva come imminente il primo attacco degli Stati Uniti contro l'Iraq, in rappresaglia per l'inopinata invasione delle truppe husseiniste al Kuwait, 136 donne di diverse nazioni arabe intrapresero un gesto di pace. A bordo della nave, che battezzarono "la nave della pace", hanno iniziato un percorso per il Mediterraneo con l'obiettivo di portare un messaggio di pace.

Partirono da Tripoli nei primi giorni del 1991. Attraccavano nei porti del Mediterraneo e divulgavano il loro messaggio. Però quando di ritorno erano già entrate nelle acque del Golfo, il 6 gennaio, l'imbarcazione fu accerchiata dalla marina statunitense. Dagli elicotteri sono stati lanciati paracadutisti. "Nemmeno una di noi portava armi. Però con le mani li avremmo ammazzato se avessimo potuto", afferma la dottoressa Iftakar. La truppa statunitense ammanettò l'equipaggio e tentò di prendere il controllo della nave. Però una catena di donne arrabbiate glielo impedì. Con le corde e con i loro corpi, le mussulmane serrarono tutti gli accessi alle cabina. I militari buttarono a mare medicine ed alimenti. Però non sono riusciti a passare alla parte alta del ponte. Nella scala impediva loro il passo, vociferante, l'irachena Menal Younis. È dottoressa in diritto internazionale. Negli anni della lotta clandestina del Baas contro il regime reale, Younis, allora giovane come Hussein, fu clandestina. Oggi fa parte dell'élite politica.

Il 6 gennaio ci fu l'abbordaggio del Ibn Kauldhun. All'albeggiare del giorno seguente Baghdad ha iniziato ad essere bombardata dall'esercito statunitense. Circa 200 ponti in tutto il paese, che attraversano i tre principali fiumi, sono stati distrutti. Baghdad è rimasto divisa a metà, con la polverizzazione di sei dei suoi 12 ponti che attraversano il torrente Tigri. Insomma tutto il paese è rimasto diviso a metà. Bombe statunitensi caddero su un rifugio per civili, su magazzini di alimenti, su impianti per il trattamento delle acque, su centrali elettriche e raffinerie.

E alla metà del golfo arabico, intanto, 136 donne andavano alla deriva su una nave invasa da soldati statunitensi fortemente armati e con le facce coperte. L'occupazione è durata 17 giorni. Durante questo periodo i marine non permisero che le donne buttassero l'ancora in mare per stabilizzare la nave. Non le permisero di comunicare con la terra ferma. Però non le piegarono. "Dopo 42 giorni di navigazione siamo arrivate al nostro destino", dice Iftakhar.

Adesso, nonostante i tempi critici che si vivono, la federazione, che conta con 85 sedi nazionali, 350 sedi locali e delegazioni in 2 mila 300 settori del paese, prepara il suo grande congresso annuale per marzo. Si aspettano una partecipazione di circa 2 milioni di donne. La soluzione finale è prevedibile: stringere le file di fronte all'invasione che si avvicina.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



logo

Indice delle Notizie dal Messico


home