IL VESCOVO DI SAN CRISTOBAL

Don Felipe Arizmendi è il nuovo vescovo della diocesi di San Cristóbal succeduto a Ruiz nel 2000. La sua nomina creò un forte dibattito all'interno della diocesi ( ma non solo) in quanto tutti si aspettavano che il naturale successore fosse Don Raul Vera che fu affiancato a Don Samuel nel 1995. Vescovo differente da Ruiz, molto vicino agli ambienti vaticani è stato messo a capo della diocesi per frenare la pastorale indigena che aveva caratterizzato il lavoro di Don Samuel.

Il lavoro svolto in questi due anni è stato caratterizzato da segnali controversi che sembrano porsi sulla linea vaticana ma che per certi aspetti rispettano il lavoro svolto precedentemente dalla diocesi.

Un esempio di quest'ultimo aspetto è la conferma di collaboratori che avevano affiancato nel lavoro don Samuel come Gustavo Andrade e Gonzalo Ituarte ( anche se egli ha recentemente abbandonato l'incarico di vicario di Giustizia e Pace per andare a fare il sacerdote nella Chiesa di Ocosigno) o il rifiuto del diktat vaticano di non nominare, più per cinque, anni diaconi indigeni. Allo stato attuale non è possibile quindi definire integralmente la linea di lavoro di questo vescovo anche se la differenza con Don Samuel è evidente come lo è pure un certo grado di insoddisfazione che aleggia sia nelle comunità zapatiste che negli ambienti delle organizzazioni civili e sociali vicine a Don Samuel nei confronti del Vescovo Arizmendi.

D: Che cosa sta succedendo in Chiapas?

R: Innanzi tutto è bene chiarire che non è vero che in Chiapas non sta succedendo niente. Il principale problema è l'emarginazione indigena e campesina. Il risultato di questa emarginazione è l'aumento dell'emigrazione. Nella Sierra del Chiapas (diocesi di Tapachula) questo processo di migrazione iniziò dieci anni fa mentre nella diocesi di San Cristóbal tutto questo risale a circa quattro o cinque anni fa. Questo significa che non c'è da mangiare. Una delle cause è quella del basso prezzo che hanno i prodotti agricoli che vengono coltivati in questa zona mentre i beni di prima necessità che devono essere acquistati hanno un prezzo molto alto. Una crisi che non riguarda solo lo stato del Chiapas ma tutto il sistema economico internazionale.

La situazione adesso non è così grave come nel periodo dal 1994 al 1998. Con il cambio del governo si è notata una diminuzione della pressione sulle comunità indigene zapatiste. Sulle strade non vi è più la presenza di posti di blocco militari tranne che nelle zone di frontiera dove è presente il problema della droga e del traffico di armi. Il fatto che l'EZ sia un gruppo guerrigliero postmoderno ci dice che la guerra non avviene attraverso un conflitto frontale come succedeva nelle precedenti guerriglie latinoamericane. E' un lotta più politica che militare e che non vede la prospettiva di un'attivazione dell'azione militare. Questo perché l'EZ ha ascoltato la società civile deponendo le armi e avviando una lotta politica. L'EZ non compie atti di terrorismo o sequestri. Il municipi autonomi funzionano nella direzione di una autonomia nei campi della salute dell'istruzione e dell'amministrazione indipendente dalle leggi. questo ha provocato divisioni interne nelle comunità che è attualmente il problema maggiore che pone i poveri contro i poveri.

Questa autonomia provoca tensioni interne soprattutto per la questione della terra e per le divisioni politiche corrispondenti nonché per quelle religiose. C'è chi appartiene all'EZ, chi al PRI, chi al PRD, chi è cattolico, chi è evangelico, chi accetta i programmi del governo e chi no.

D: Il suo lavoro come si inserisce in un contesto che ha visto quarant'anni di pastorale indigena portata avanti da Don Samuel Ruiz?

R: Ho continuato il lavoro della Diocesi di Don Samuel. Ma il punto è che non bisogna continuare il lavoro della CONAI, che non ha avuto più prospettive per la responsabilità di una parte dell'EZ e del Governo, ma collaborare insieme alle altre chiese evangeliche. A questo proposito abbiamo risposto creando un consiglio Interreligioso del Chiapas all'interno del quale possano lavorare tutte le chiese presenti in Chiapas. Un lavoro comune con l'obiettivo di favorire la riconciliazione tra le aree religioni. Un esempio di scelta della via di riconciliazione è rappresentato dalla comunità di Las Abejas. In Chiapas vi è una forte emarginazione indigena e un razzismo verso di essi.

Si sono però fatti dei passi avanti anche nella realizzazione delle infrastrutture come ad esempio la costruzione di strade. Certo ancora ne mancano però sono di più rispetto a prima.

Sono state fatte dall'esercito ma anche esso deve portare avanti i suoi interessi però il punto è che comunque sia vi sono nuove strade. Vi sono più scuole pur nella carenza di maestri, più cliniche pur con pochi medici ma tutto questo evidenzia che si sono fatti dei passi avanti.

D: E sullo stato della tutela dei diritti umani?

R: In tutte le comunità della diocesi ci sono gruppi cattolici che lavorano per i diritti umani e la stessa diocesi lavora con il Frayba perché necessario che chiunque ha commesso dei crimini di violazione dei diritti umani debba pagare.

D: La Chiesa come si pone, adesso, all'interno del conflitto in atto in Chiapas?

R: In questo momento non vi è mediazione della chiesa e di nessun altro in quanto il dialogo è sospeso perché l'EZ non vuole il dialogo.

Vi sono difficoltà di convivenza all'interno delle comunità, questi problemi hanno radice ideologica ed etnica.

Vi sono molte differenze fra le varie comunità, molte accettano programmi sociali del governo mentre quelle autonome no . Certo questi aiuti non risolvono molto ma sono pur sempre meglio che niente e certo è che chi accetta gli aiuti del governo non è costretto a passare dalla sua parte. Il lavoro della Chiesa sta proprio nel far capire loro che sono liberi di scegliere.

Abbiamo pochi soldi per aiutare i villaggi ma cerchiamo di portare avanti programmi all'interno delle comunità su tematiche come il rispetto dell'ambiente. Sono programmi realizzati per tutti e tutti sono liberi di accettarli o non accettarli. Non usiamo un criterio religioso nella distribuzioni degli aiuti. Abbiamo 8000 catechisti sparsi nelle varie comunità che portano avanti il lavoro della diocesi.

D: Che cosa ne pensano le comunità indigene della legge indigena di riforma costituzionale approvata dal Congresso meno di un anno fa?

R: Gran parte delle comunità indigene non conoscono la legge. Vi sono comunità che non accettano questa legge perché concepisco un'autonomia collettiva mentre la legge prevede una autonomia individuale.

La legge ha dei contenuti più avanzati rispetto a quella anteriore(1) però è ancora insufficiente a rispondere alle esigenze che provengono dalle popolazioni indigene. La chiesa sta lavorando perché si riconoscano più diritti alle comunità indigene. Questa legge riflette la società messicana che non conosce la situazione indigena. La composizione attuale del Congresso non lascia speranza di passi avanti ulteriori. Anche l'ultima proposta dei 168 deputati non credo troverà grande ascolto all'interno del Congresso in quanto la componente di gran lunga maggioritaria si oppone a questa legge.


1) Si riferisce alla legge elaborata dalla CO.CO.PA dopo i falliti accordi di San Andrés




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