INTERVISTA A DON SAMUEL RUIZ ED A SERAPAZ(1)

Nascita del Serapaz

Samuel Ruiz: Quando la CONAI ha deciso di sciogliersi, per non essere strumentalizzata dal governo, in una situazione di totale mancanza di volontà di proseguire nel dialogo, è nata l'esigenza della società civile di uno spazio di incontro indipendente dal governo, per tutte quelle organizzazione intenzionate a lavorare per il processo di pace.

Coordinatrice Serapaz: Esisteva un archivio molto vasto della CONAI, inerente al suo ruolo di mediazione nel processo di dialogo, che testimoniava la peculiarità del conflitto messicano, la nuova congiuntura latinoamericana, gli sforzi unilaterali per favorire il processo di pace. Tutto questo materiale non poteva rimanere inutilizzato, così abbiamo deciso di fondare questo centro, che ha due sedi, una al Distretto Federale, l'altra in Chiapas. Allo stesso modo pensiamo che sia necessario un lavoro coordinato con gli altri attori della società civile che vogliono la pace.

Cambio di governo e questione indigena

Samuel Ruiz: Alla domanda su cosa ne penso della riforma indigena non posso che rispondere chiedendo quale riforma indigena. Infatti non c'è stata nessuna riforma ma solo una contro riforma.

Durante i dialoghi di San Andrés, esistevano sette tavoli di discussione: soltanto uno venne affrontato e si giunse ad un accordo bilaterale da essere presentato come legge, quello su "Diritti e Cultura indigeni". Il secondo tavolo, su "Giustizia e Democrazia", fu aperto: gli zapatisti si espressero in merito, ma il governo non entrò nel dialogo e questo tavolo e i seguenti non furono mai affrontati. Il governo dichiarò infatti che prima si sarebbe dovuto far approvare come legge quanto emerso dagli accordi sul primo tavolo di discussione. Passò così molto tempo, finché la COCOPA dette forma di legge agli accordi. Gli zapatisti firmarono, anche se non erano totalmente soddisfatti dalla formulazione, ma il governo si rifiutò. Al momento del suo insediamento, Fox promise di firmare la riforma indigena e di ritirare l'esercito dal Chiapas.

Per quanto riguarda l'esercito, fu solo in parte spostato, ancora è presente il 30% dell'esercito in questa regione; mentre rispetto alla riforma, possiamo dire che non c'è stata alcuna riforma: quella di cui si sta oggi parlando io la definirei piuttosto una controriforma. Le dichiarazioni iniziali del nuovo presidente, crearono però una forte aspettativa negli zapatisti, e questa si diffuse nel paese con la marcia dello scorso anno. Al contrario di quello che solitamente si afferma, non si è trattato di una marcia zapatista, ma di una marcia indigena. In Messico si ha l'idea diffusa che gli indigeni impediscano lo sviluppo del paese, e quindi molti vorrebbero che scomparissero. La marcia ha invece evidenziato la vita, l'esistenza degli indios, che dopo 500 anni di violenze, massacri, oppressioni ancora non sono scomparsi, ancora mantengono coscienza della loro identità: quello che chiedono non è separarsi dal Messico, ma vogliono vedersi riconosciuti i loro diritti e la loro storia.

L'attitudine del governo è sempre la stessa, non è cambiata neppure con il passaggio del potere ad una diversa forza politica: né PRI, né PAN hanno alcuna intenzione di far approvare la legge nella formulazione originaria, quella della COCOPA.

Coordinatrice Serapaz: La legge approvata al congresso, disconosce nel modo più completo il concetto di diritto collettivo. Questo testo non può essere accettato, ma purtroppo riscontriamo una profonda carenza di coscienza nella società politica Inoltre mancano da parte delle forze di intermediazione energie sufficienti per incidere sulla situazione.

Miguel Alvarez: Al tempo dell'ultima visita della Commissione Civile Internazionale per l'Osservazione dei Diritti Umani, nel 1999, c'era nel Paese una speranza per il processo di pace.

Oggi no: oggi non si parla della speranza, ma del vincolo imprescindibile della pace e del dialogo.

Si ha avuta in Messico una transizione politica, è vero, ma non ha comportato il passaggio alla democrazia: possiamo parlare di alternanza, non di cambio effettivo di regime. Per quanto riguarda l'attitudine degli organismi della pace, si può registrare un cambiamento dalla morte di Digna Ochoa, nello scorso ottobre: si ha ormai la convinzione diffusa che la questione dei diritti umani non possa più rimanere al margine dell'agenda politica. La speranza è che si formi, a livello tanto nazionale quanto internazionale, una convergenza più solida e progettuale per lavorare in direzione della costruzione della pace. Certo è che non possiamo affidarci al governo, né per quanto riguarda quello Federale, né per quello Statale. Infatti come Fox, anche Salazar non ha una strategia e un programma di governo alternativo. Per Salazar le speranze erano maggiori, poiché era stato sostenuto da un'ampia coalizione di tutti i partiti di opposizione, ma anche nel suo caso il problema di primario interesse è la governabilità del paese in modo da poter rimanere in carica tutto il sessennio del mandato: non si pone neppure la questione della risoluzione delle cause, soprattutto sociali, del conflitto nello Stato.

Si assiste ad una maturazione civile nel paese, non all'interno dei partiti, che si proclamano grandi attori del cambiamento, ma non lo sono. Unica speranza è che almeno nella COCOPA si pensi come congresso e non si riportino all'interno gli interessi e gli scontri di partito. Se ci poniamo la domanda sul perché il congresso non ha approvato la legge della COCOPA, la risposta è duplice: da una parte abbiamo una forte responsabilità dei partiti che non volevano in alcun modo che la legge passasse nella formulazione originale; dall'altra parte però dobbiamo anche riconoscere una colpa ai movimenti civili, che si sono affidati in maniera totale allo zapatismo, considerando la sua sola azione sufficiente, senza proseguire con pressioni sul congresso anche al ritorno dell'EZLN in Chiapas.

La questione militare in Chiapas

Marina Patricia del Frayba: Nonostante le dichiarazioni del governo, la presenza di militari in Chiapas è ancora molto forte. Per esempio nella comunità di Chenalò, se è vero che non si ha più una presenza all'interno della comunità, è altrettanto vero che da ambo i lati risiedono militari in abiti civili che impediscono il normale e tranquillo svolgersi delle attività.

Le denunce della presenza dell'esercito vengono soprattutto dalla Zona Norte, dove storicamente esiste una massiccia presenza anche di gruppi paramilitari. Rispetto a questo, il gruppo più numeroso nella zona è quello di Paz y Justicia che ha recentemente subito forti scissioni all'interno; la frangia più violenta e radicale si trova anche a Tila, proprio in questa zona.

Da parte del governo di Salazar non appare una decisa volontà di risolvere la questione, mancano chiare risposte in merito all'amministrazione della giustizia, al tema dei desplazados, dei desaparecidos, dell'impunità verso i responsabili.

Assistiamo ad alcuni sporadici atti positivi, ma il contesto generale è ancora di forte tensione. Positivo è ad esempio il ritorno dei desplazados ad Acteal, ma oltre al fatto che in questa comunità è ancora forte il timore di nuove aggressioni, la maggioranza di coloro che ha dovuto abbandonare la propria terra, soprattutto a causa di pressioni paramilitari o militari, ancora vive nella medesima condizione di esilio e povertà.

La questione della terra

Samuel Ruiz: La fase che si sta passando attualmente in Chiapas rispetto al conflitto sulla terra, ha assunto toni diversi dal periodo precedente, forse più simili alla situazione del Guatemala per il non compimento pieno degli accordi di pace. Il governo agisce sulle comunità in vario modo, ma ogni azione e programma è mosso dall'interesse di creare divisioni interne e indebolire così la resistenza.

Questo ha conseguenze anche sull'EZLN: al momento esiste meno controllo interno, e accade che alcuni intraprendano azioni indipendenti, creando ulteriore confusione e ingovernabilità. Esiste, all'interno dell'Ezln, gente che dirige alcune operazioni in modo da creare conflitti ed effetti negativi.

Marina Patricia: La politica del governo federale si muove chiaramente verso la privatizzazione della terra, contro la proprietà collettiva che da sempre è praticata nelle comunità indigene.

Si crea a questo modo una maggiore povertà e conseguenti massicce migrazioni.

Samuel Ruiz: Esistono fortunatamente nuclei dove le cose si svolgono in maniera diversa: sono le cooperative, spazi di unificazione, luoghi dove si aggregano persone di diverse comunità e a volte di diversi popoli e lingue.

Esistono in particolare quattro cooperative dove, grazie ad una scelta economica basata sulla produzione e sullo scambio in aree territorialmente ridotte, non si hanno avute ripercussioni delle crisi economiche. La dimensione non solo comunitaria, è legata anche alla ideologia o alla teologia del servizio. Alcune sono portate avanti da gente cristiana e non hanno avuto crisi economiche.

Compiono revisioni e verifiche periodiche basate non solo sull'andamento economico ma anche sui valori ideologici e teologici alla base.

Miguel Alvarez: Esiste un conflitto dell'EZLN e di altre organizzazioni nei confronti del governo rispetto al tema della terra. Tale conflitto si svolge su tre livelli: locale (indigeno), nazionale e internazionale (legato ai temi del neoliberismo e della globalizzazione economica).

Nell'anno passato, come ha chiaramente mostrato la marcia, l'attenzione è stata rivolta soprattutto agli attori nazionali.

Adesso sembra essersi tutto spostato più sul livello locale. La strategia adottata è quella della resistenza: rimangono cioè in silenzio, in attesa, continuando però a parlare per altri canali. Si possono avere differenze tra i municipi autonomi, ma nel segno di una comune strategia.

La logica della teoria non va insieme a quella della politica e del territorio. Non è un problema che riguarda solo la Comandancia ma tutto il tessuto sociale del conflitto.

Situazione della Chiesa

Samuel Ruiz: E' esistito un conflitto interecclesiale tra la diocesi di San Cristóbal e il Vaticano, dal momento di una più chiara opzione della diocesi per la difesa dei diritti umani attraverso denuncie delle frequenti e gravi violazioni e il conseguente scontro con chi detiene la ricchezza cioè i latifondisti. La documentazione e il lavoro del Frayba provocò in particolare molti conflitti con questi soggetti.


(1) Incontro al Serapaz con Don Samuel Ruiz, Miguel Alvarez e una coordinatrice del centro. All'incontro erano presenti anche Marina Patricia Jimenez del Frayba, un ex membro della CONAI e Pablo Gonzales Casanova.




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