La Jornada 25 ottobre 2002

I GRUPPI PARAMILITARI DEL CHIAPAS CONTINUANO AD AGIRE CON L'AVALLO DEL GOVERNO STATALE

UNO STUDIO DI TRE ORGANIZZAZIONI CIVILI SEGNALA CHE FOMENTATI DAGLI ALTI COMANDI DELL'ESERCITO, LE BANDE ARMATE APPLICANO UNA GUERRA DI BASSA INTENSITA' CONTRO GLI INDIGENI

HERMANN BELLINGHAUSEN

 

San Cristobal de Las Casas, 24 ottobre - Alla fine del sessennio passato, le organizzazioni civili avevano identificato in Chiapas 17 gruppi civili armati, 10 dei quali erano paramilitari; la maggior parte erano considerati bande di criminali che compivano azioni di controinsurrezione. Secondo gli studi di Global Exchange, Cencos e Ciepac, la paramilitarizzazione in Chiapas è il prodotto "di una strategia elaborata dalle strutture militari ed avallata dal governo".

Il governo priista non ha mai ammesso l'esistenza dei paramilitari neppure dopo il massacro di Acteal.

Quindi, nessuno si è preoccupato di smantellare questi gruppi né di punire i loro crimini. Ad eccezione de Los Chinchulines (di Chilón) ed una parte di Paz y Justicia, tutti i gruppi registrati a partire dal 2000, continuano ad esistere; alcuni sono rimasti tali e quali, altri hanno nuovi nomi e strategie diverse (sarebbe questo il caso del Movimento Indigeno Rivoluzionario Antizapatista, MIRA, che oggi si è diffuso attraverso la Opdic ed altre organizzazioni priiste di Ocosingo ed Altamirano).

Le bande propriamente criminali non sono state fermate e neppure quelle che continuano ad operare come Los Aguilares di Chilón dapprima legati a Paz y Justicia e a Los Chinchulines, ed ora con la Opdic, ma sempre legati alla polizia statale ed alle truppe federali.

Non essendo stato ben definito il carattere "paramilitare" e di controinsurrezione di certi gruppi priisti che operano in Chiapas dal 1995, i governi che si sono succeduti hanno potuto così negare la loro esistenza e nessuno ha potuto procedere contro di loro (al meno, non in quanto paramilitari).

Sebbene l'esistenza di questi gruppi in Chiapas viene negata, le autorità statali annunciano l'arresto formale di 27 membri di Paz y Justicia. I rapporti della Procura Generale della Repubblica e la stampa ufficiale li chiamano paramilitari, ma non è per questo motivo che vengono giudicati penalmente e rinchiusi a Cerro Hueco.

Il giudice penale di Tuxtla Gutiérrez, ieri ha emesso un secondo atto formale contro Carlos Torres López, ex presidente municipale di Tila, "per il presunto dirottamento di risorse pubbliche per finanziare attività dell'organizzazione Desarollo, Paz y Justicia".

La PGJE segnala che durante la gestione di Torres López, il signor Sabelino Torres Martínez, responsabile dei programmi sociali di Tila, ha destinato "parte delle risorse pubbliche ad altri scopi che non corrispondono precisamente a progetti produttivi o sociali". Ma non si precisano quali "altri scopi".

L'indagine preliminare è stata eseguita dalla Unidad Especializada en Delitos Cometidos por Servidores Públicos, e la denuncia contro Carlos Torres è stata presentata dal Controllo Conti Generali dello Stato.

Quindi, si tratta solo di un procedimento amministrativo per presunti danni contro il patrimonio del municipio di Tila per 3 milioni 155mila 991 pesos.

Sabelino Torres è uno dei 27 arrestati del 13 settembre scorso. Sono tutti accusati di associazione a delinquere, sequestro, furto, porto illegale di armi ad uso esclusivo dell'esercito e danni al patrimonio del governo statale. Tutti crimini comuni senza alcuna relazione con "la guerra chol" tra il 1995 e 1998, quando Paz y Justicia assassinò ed espulse intere comunità. Non viene loro attribuita neppure la caratteristica di "delinquenza organizzata" che potrebbe configurarli come paramilitari.

Questo panorama spiega il perché gli osservatori del conflitto guardino con sospetto l'arresto di questi priisti. "Non si può interpretare questo come un vero attacco o lo smantellamento dei paramilitari", sostiene l'avvocato Miguel Angel de los Santos.

Per esorcizzare la confusione dei termini, ci si deve attenere alla descrizione che offre lo studio Siempre cerca, siempre lejos. Las Fuerzas Armadas en México (Cencos, Ciepac y Global Exchange, 2000).

"Il paramilitarismo cela gli autori intellettuali della guerra affinché si continui a garantire impunità alle bande. All'opinione pubblica si vuol far credere ad una guerra tra indigeni. La sua origine si inserisce in uno schema di controinsurrezione che si nasconde dietro aggressioni per problemi di terra, conflitti tra partiti, conflitti religiosi, rivalità personali, stregoneria, vendette famigliari o semplici incidenti".

In questo modo si nasconde "la strategia paramilitare di controllo, destabilizzazione, divisione e repressione selettiva come parte di una guerra sporca studiata e diretta dalle più alte strutture del governo e dell'Esercito".

Le autorità attuali federali e statali sostengono che questa situazione, semplicemente, non esiste. Come a dire "lo que no fue en mi año no fue en mi daño'', senza dirlo chiaro ma lasciando trapelare che forse queste strategie sono esistite in passato.

Tra agosto e settembre dell'anno in corso, una serie di "incidenti" apparentemente isolati hanno provocato la morte di quattro persone basi di appoggio zapatiste, diversi feriti e famigliari espulsi ad Amatick che fino ad oggi non hanno potuto ritornare alle proprie case.

Quegli attacchi sono stati tanto "casualmente" simultanei quanto lo sono ora l'immobilismo dei gruppi aggressori. Tanto impuniti come i crimini del passato, "nessuno sa, nessuno sapeva" degli "incidenti" e "accidenti" avvenuti il 6 agosto a Kana'kil, Amaytick, Quexil, La Culebra e Polhó.

Secondo diversi analisti consultati da La Jornada, le aggressioni simultanee sono tanto sospette quanto lo è ora l'immobilismo dei gruppi responsabili. La Rete dei Difensori Comunitari, per esempio, comunica che "si rivela una struttura di trasmissione, un legame tra i gruppi, sia paramilitari o solo armati. Pare che ora abbiano ricevuto l'ordine di abbassare le armi". Unanimi nel muoversi e nello stare tranquilli.

Inoltre, viene mantenuta la tolleranza nei loro confronti. Le autorità non agiscono. Si lascia passare il tempo, i casi invecchiano e si accumulano ad altri "fatti avvenuti in passato". E persiste un tacito messaggio: nuovi o vecchi, questi crimini restano impuniti.


(tradotto dal Comitato Maribel di Bergamo)



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